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il ragazzo della Torre

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Si era trasferito qui per imparare l’italiano, adorava quella lingua per i suoni musicali e aperti che parevan note.
Manuel in Galles studiava ingegneria e suonava la chitarra, o per meglio dire, studiava la chitarra e suonava a ingegneria. In effetti era l’arte ciò che più amava e lo attraeva. La sera si sedeva di fronte alla finestra della camera in affitto a Cardiff che condivideva con altri ragazzi e pizzicava le sei corde di quella vecchia chitarra italiana, dalla vernice consunta e graffiata, ricevuta a mo’ di strano prestito da un inquilino siciliano che abitava l’appartamento prima di lui. Se ne era andato in fretta e furia con ancora due mesi da saldare e Manuel aveva abboccato con facilità al raggiro di quell’italico giovanotto dallo sguardo di saraceno e dal sorriso ingannatore. “Tienila, vale un patrimonio, la vendi in un attimo, paghi i due mesi di pigione che devo al padrone e mi anticipi il rimanente. Quando torno, presto, la riscatto io, non ti preoccupare…”
Manuel aveva allungato i soldi e gli eran rimasti solo i sogni italiani, oltre a quelle consumate corde di budello per il Mi e per il Sol.
Fantasticava Giuliani e Paganini, un viaggio in Italia e d’apprender la melodia di quella lingua. Per questo si era iscritto a un sito ove far pratica in lunghe chiacchierate serali. Mezz’ora di inglese in cambio di mezz’ora di italiano. Nessuna o poca grammatica, solo chiacchierate di musica e d’arte.
Annalisa l’aveva conosciuta così, una sera di fine gennaio e, chiacchierata dopo chiacchierata, s’era talmente invaghito di lei da decidere d’andar a cercar fortuna nel paese dei liuti, delle note e dell’amore…
S’era allora trasferito, l’estate seguente, vicino a Perugia, di giorno studiava la lingua di Petrarca e la sera custodiva piccioni nella vecchia torre ove aveva trovato alloggio e impiego. Altro non c’era. E s’era affezionato a quegli uccelli dalle storie misteriose e dal volo suggestivo.
Quando si libravano dalla torre sognava partissero per volar verso l’amore, il suo cuore batteva forte.

Volavano per San Domenico e poi verso l’Eremo delle Carceri, mai oltre il Subasio. Tornavano sempre.
Non leggeva i biglietti che portavan i suoi piccioni, Manuel ne rispettava il segreto, inviolabile sul suo onore. Partivan a frotte, la sera, e di tutti ne riconosceva il volo, si alzavan contro il sole, al tramonto, e volavan via rapidi, leggeri, inconfondibili. Le sagome scure e foriere di sogni.
Ma una sera piovosa di giugno uno, il più giovane, tornò prima degli altri, la zampetta ferita e la cordicella slegata…
Manuel per la prima volta lesse un biglietto da quella torre.
La grafia, bellissima, era quella di Annalisa…

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