Biathlon, fra gli uomini Lenzerheide 2025 è stato il Mondiale di Bø e della Norvegia. Si leccano le ferite Fillon Maillet e gli svedesi
Nel settore maschile, i Mondiali di biathlon di Lenzerheide 2025 sono giocoforza stati quelli di Johannes Bø. La sua ultima recita iridata lo ha visto scavalcare Ole Einar Bjørndalen e Martin Fourcade per numero di titoli individuali vinti, raggiungendo una quota mai toccata neppure dagli altri due fuoriclasse.
È stata una manifestazione partita come un assolo del trentunenne scandinavo, ma evoluta come un autentico trionfo della Norvegia. La staffetta dominata in lungo e in largo sa tanto di “recupero con gli interessi” delle delusioni patite nel 2023 e 2024. Nelle ultime due stagioni, i nordici avevano vinto tutte le quattro staffette di Coppa del Mondo antecedenti al Mondiale, dove però si erano dovuti inaspettatamente inchinare prima alla Francia e poi alla Svezia. Viceversa, in questo 2025, la situazione si è ribaltata. La Norvegia ha trionfato dopo aver pagato perennemente dazio ai transalpini nell’arco dell’inverno. Scegliete voi se scomodare i Culture Club (Karma Chameleon) o i Radiohead (Karma Police), a seconda dei vostri gusti musicali.
Non solo, il podio monopolizzato nella mass start, dove JTB si è accontentato del bronzo alle spalle di un superlativo Endre Strønsheim e di uno Sturla Holm Lægreid in formato Real Madrid (nel senso che nunca muere, non muore mai) sa tanto di passaggio di consegne formale, di certificazione di una situazione invero già conclamata. La Norvegia è destinata a proseguire nel proprio dominio anche senza un semi-Dio qual è stato (ed è ancora) Johannes. Le frecce nella faretra scandinava abbondano.
Se l’apoteosi norvegese, cominciata come quella di un singolo e terminata in maniera corale, è stata assoluta, è viceversa doveroso fare dei distinguo sulla Francia. I transalpini sono usciti bene da questo Mondiale, nonostante la delusione della staffetta, ma il merito è soprattutto dell’emergente (anzi, ormai emerso) Eric Perrot, consacratosi con la medaglia d’oro nell’individuale.
Al contrario, questo Mondiale può essere inteso come una sconfitta per i due uomini più blasonati. Quentin Fillon Maillet proprio non riesce a spezzare la maledizione iridata. Ha aggiunto altri due bronzi alla sua collezione, il trentaduenne transalpino, ma quell’oro continua a restare stregato. Otto medaglie senza che nessuna sia del metallo più pregiato è qualcosa di inaudito, quasi privo di senso logico.
Una prece, inoltre, per Emilien Jacquelin, nuovamente accartocciatosi su sé stesso come troppo spesso accaduto in passato. L’esclusione dal quartetto per la staffetta è l’emblema delle difficoltà di un biathleta dalle enormi potenzialità, purtroppo non supportate adeguatamente da fragilità caratteriali.
Sono stati, inoltre, i Mondiali del nuovo che avanza. Quel Campbell Wright proveniente dal nuovo mondo (appunto), ma anche dall’altro mondo (l’emisfero australe, dove è nato). I presupposti di aver assistito ai primi barlumi di una brillante carriera ci sono tutti. Potremmo essere di fronte a colui che è destinato a diventare il miglior biathleta non europeo d’ogni tempo.
Infine, non sono stati i Mondiali di Sebastian Samuelsson. Nessun piazzamento nei dieci per il loquace svedese, che non perde occasione per ammorbare l’auditorio con le sue opinioni non richieste su qualsiasi argomento, aprendo bocca talvolta a sproposito. La polemica sui sei pettorali riservati alla Norvegia nella sprint e nell’inseguimento è stata solo l’ennesima (e più clamorosa) occasione persa per stare zitto.
Anziché lamentarsi a pié sospinto, ringrazi di essere svedese, perché se fosse nato a ovest del confine benedirebbe il suddetto contingente massimo. Sarebbe stata l’unica opportunità che uno come lui avrebbe potuto avere di partecipare ai Mondiali. Sempre che fosse stato in grado di convincere lo staff tecnico. Perché a ben guardare, i suoi risultati stagionali sono stati inferiori a quelli di almeno 5 norvegesi…