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Saskia Santer: “Sono mamma e faccio la fisioterapista. Il biathlon mi ha formata come persona”

Continua il percorso di interviste esclusive targate OA Sport. La protagonista della chiacchierata odierna è una delle vecchie conoscenze delle discipline nordiche tra fine anni ’90 e primo decennio del 2000, Saskia Santer. La secondogenita di un terzetto di sorelle talentuose (le altre sono Nathalie e Stephanie) ha iniziato come fondista per poi seguire le orme della campionessa di famiglia e passare al biathlon. Il miglior piazzamento individuale nella disciplina l’ha ottenuto con un 12esimo posto nella sprint di Khanty-Mansiysk 2005.
Saskia, innanzitutto come stai? Come hai passato queste ultime difficili settimane di quarantena?

“Io ora abito in Germania, a Oberau, vicino a Monaco, e devo dire che da noi va tutto bene. Abbiamo sempre potuto fare sport per cui ho iniziato a correre, vorrei partecipare a una maratona. Gestisco uno studio di fisioterapia e l’ho dovuto drasticamente chiudere per un paio di settimane in quanto i pazienti avevano paura di farsi trattare. I miei due bimbi (2 e 5 anni) sono a casa con me, sempre attivi! Ora il mio studio ha riaperto e tutto segue ritmi normali”.

Come è stato per te gareggiare in Coppa del Mondo per tanti anni al fianco di una sorella maggiore come Nathalie che ha avuto più fortuna di te, in termini di risultati conseguiti? C’è stata sempre collaborazione o era presente anche una sorta di sana rivalità interna tra di voi?

“Io ho iniziato da fondista, dove vincevo quasi sempre in nazionale a livello giovanile. Sono salita in Coppa del Mondo dove mi aggiravo attorno ai 30, con miglior risultato un terzo posto a Lathi in staffetta con Belmondo, Paruzzi e Valbusa. Diciamo che non avevo un motore da campionessa nel fondo, sono diventata brava in quanto ho lavorato tanto. Poi un giorno ero a Brusson a fare un raduno con i fondisti e c’erano i campionati italiani di biathlon. Mia sorella mi ha detto di provare e mi ha prestato la sua carabina di riserva. Ho fatto 0+0, ma purtroppo sulla sagoma sbagliata, altrimenti avrei vinto! A quel punto mia sorella mi ha spinto un po’ verso il biathlon e pian piano è nata la passione. Era troppo divertente! È stato bello gareggiare con mia sorella, avevo sempre un pezzo di famiglia con me viaggiando per il mondo. Per me mia sorella è ed è sempre stata un idolo. Cuore grande e grinta enorme. È stata un’ottima compagna di allenamento per me, anche se è sempre stata più forte. I geni non si cambiano. Comunque mi ha sempre spinto a raggiungere i miei limiti e devo ringraziarla. Per quanto mi riguarda come persona e sportiva posso dire di aver sempre dato il 100%. Ogni tanto un po’ più di fortuna e menefreghismo mi avrebbero dato più risultati, ma lo sport mi ha insegnato tantissimo e mi ha formato come persona. Nella vita normale è molto difficile arrivare a conoscerti come persona come impari invece dalle situazioni estreme che ti mette davanti il biathlon”.

Qual è la gara che ricordi con più piacere tra quelle che hai disputato in Coppa? Da una parte ci sono dei buoni piazzamenti individuali, soprattutto in Russia, e dall’altra quel podio davvero sfiorato in staffetta a Kontiolahti 2004 con Nathalie, Ponza e Ciaramidaro.

“Diciamo che i miei ricordi più belli sono stati la mia prima e la mia ultima gara: ho fatto 0+0. Ero felicissima. La prima gara quando ero ancora fondista a Brusson, con quel 0+0, e poi con il Belgio un altro doppio zero in staffetta mista ai Mondiali di Anterselva. Anche in quella occasione è stata mia sorella a spingermi a gareggiare: avevo già chiuso la mia carriera sportiva e stavo studiano fisioterapia ad Amsterdam. Pur non avendo mai avuto il fucile in mano tutto l’anno, ho fatto comunque 0+0. L’ allenatore tedesco Müssiggang mi disse: ‘E brava Saskia, adesso è il momento per un comeback?’ “.

Dopo ritiro come hai proseguito la tua vita, sei rimasta attaccata al mondo dello sport? Segui ancora attivamente il circuito di biathlon?

“Come accennato in precedenza sono diventata fisioterapista sportiva e specializzata in terapia manuale. E’ sempre stato il mio sogno oltre lo sport. Ho seguito per qualche anno il team della Svezia, ma poi con la nascita dei miei due figli non volevo più andare in giro. Nel mio studio lavoro un po’ con atleti tedeschi e qualche giovane biathleta. Viaggiare per raduni e gare non fa più per me”.

Quali sono i tuoi ricordi legati a Torino 2006, ricordando che tra pochi anni i Giochi torneranno in Italia?

“Il mio ricordo più bello è stato vedere il mio tifoso più grande, Guido, supportarmi in una situazione sportiva per me davvero complicata! Spero di avere tempo e biglietti per venire a vedere le gare di Anterselva 2026… Ho anche un grande rammarico, quello di non essere mai riuscita a godermi una cerimonia di apertura dei Giochi Olimpici, in quanto le gare di biathlon erano sempre troppo vicine. Ma forse un giorno come fisioterapista potrò coronare questo sogno!”.

Un ultimo pensiero?

“Mi piacerebbe chiudere sottolineando una questione che mi sta a cuore. Al giorno di oggi con i social tutti possono scrivere quello che vogliono e ogni tanto ho letto qualche commento in direzione di atleti che non mi sono piaciuti per niente. Ognuno fa il suo meglio, la vita degli atleti non è sempre rose e fiori. Ogni atleta fa tanti sacrifici. Sia quelli che hanno successo che quelli che hanno meno fortuna fanno gli stessi sacrifici e le stesse ore di allenamento. Per cui mi piacerebbe che prima di dire qualcosa di negativo si riflettesse sempre perché si finisce soltanto con insultare la gente che ha passione e che quando fallisce non lo fa per volontà propria o cattiveria e quindi sta già male di suo”.

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