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Ferrero saluta la Pallacanestro e va a Brescia: «A Trieste esperienza unica»

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Ferrero saluta la Pallacanestro e va a Brescia: «A Trieste esperienza unica»

TRIESTE. Nella pallacanestro esistono i numeri, le statistiche, eppoi esistono gli uomini vestiti in canotta e pantaloncino. Giancarlo Ferrero è stato a tutti gli effetti un leader della stagione vincente della Pallacanestro Trieste, colonna portante dello spogliatoio e chirurgico esecutore nei playoff. E ora che il giocatore se ne va a Brescia arriva il saluto della società attraverso le paroledel Gm e amico Michael: «La mia più grande fortuna nel basket italiano è stata vivere ogni singolo giorno con Giancarlo Ferrero nella nostra squadra. I giocatori non sono chiamati solo a performare, ma anche a guidare, ispirare e portare gioia a ogni persona che incontrano. Ogni tiro da tre di Gianca valeva come se fossero quattro punti; ogni carica da lui subita equivaleva a tre stop difensivi consecutivi. È grazie alla brillantezza del suo carattere e ai suoi tiri da tre punti nei momenti cruciali che Trieste si prepara per la prossima stagione in Serie A. Sarà sempre il mio Capitano».

Giancarlo, una promozione in serie A come un film, come intitoleresti questa storia da raccontare?

«Incredibile, unica. Anzi, userò le parole di coach Christian per definirla, “epic novel”… una storia epica».

Ci sono momenti in una stagione che fanno svoltare, micro o macro situazioni, spesso invisibili. Quale è stato, secondo te, il cambio di passo della Pallacanestro Trieste?

«Penso che il post-partita vittorioso contro Rieti (ultima di stagione regolare ndr.), stretto fra le quattro mura dello spogliatoio, è stato decisivo. Il “turning-point” è avvenuto attendendo la diretta rivale nella post-season; lì ci siamo guardati negli occhi e abbiamo acceso la scintilla, abbiamo capito che potevamo aprire un capitolo diverso da quello della stagione regolare».

Giancarlo Ferrero e Trieste, un amore sincero perché nato dalle complessità?

«Assolutamente si. In una stagione anche per me non è stata facile, ho percepito l’affetto della gente che è divenuto riconoscenza nel momento finale».

Cosa ti resterà di Trieste?

«Mi porto dentro una città che accoglie, che fa stare bene, che dice le cose in modo diretto, nel bene e nel male, facendolo con assoluta competenza e passione. Trieste è una città che deve convincersi di essere una piazza importante nel basket italiano, deve voler ambire ad essere nella parte alta dell’elitè della pallacanestro nazionale, perché è in crescita».

E cosa hai capito dei triestini?

«Ho avuto un’infarinatura esaustiva dalle tante chiacchierate fatte con il mio amico Daniele Cavaliero e con il mio procuratore Massimo Raseni, entrambi triestini. Al di là di quanto già detto, in senso positivo, mi auto-educo in primis e suggerisco un cambio d’ottica a chi è strutturato per farlo, figlio dell’esperienza appena vissuta: non giudichiamo il momento, abituiamoci all’idea che ci possa essere un processo in atto, per cui il giudizio definitivo può essere dato alla fine. E’ una debolezza italiana, non triestina, ma può essere utile per metabolizzare un progetto innovativo, forse non semplice da codificare in prima battuta».

La scelta di proseguire l’attività agonistica a Brescia, significa che il “fuoco” è ancora vivo?

«Si. Non nego che durante la stagione ho avuto dei momenti in cui mi è balenata l’idea di poter interrompere il mio percorso da giocatore. Poi, l’offerta di Brescia e il finale di stagione con Trieste, ha riacceso quello che comunque ardeva sotto la cenere. Sono molto contento di mettermi alla prova con una squadra di serie A, per una opportunità da cogliere al volo».

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