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Storie di basket 2020-21: il coming out dello svizzero Marco Lehmann: “Nella pallacanestro essere gay è un tabù”

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La prima anticipazione è arrivata sabato, su Corriere.it, il sito del Corriere della Sera, ieri l’integralità della lettera, su Repubblica.it, e brani anche su ilmessaggero.it e sui quotidiani del gruppo Caltagirone.

L’omosessualità e lo sport è sempre un tema particolare. Addirittura per noi è disdicevole quando ne chiediamo a colleghi di atleti che hanno fatto outing, come Paola Egonu, nel volley femminile.

Nel calcio si sono dichiarati in 9, fra cui Thomas Hitzlsperger nel 2014 (tedesco, disputò partite nella Lazio, nel 2010) ed Anton Hysén nel 2011, è il figlio di Glenn, l’ex centrale della Fiorentina negli anni ’80.

Qualche brano, dunque, della storia, apparsa sul sito della Fiba.

“Mi chiamo Marco Lehmann, ho 27 anni, sono un professionista del basket 3×3 e non aspetterò il mio ritiro per annunciare che sono gay”. Preciso come un tiro da 3, perentorio come una schiacciata, il cestista svizzero ha affidato al sito della Fiba la lettera del suo coming out. “Questo è per tutte quelle persone che non vogliono più vivere una doppia vita, quelle persone che vivono in un sistema dove neanche esistono” scrive Lehmann. “Questo è per le future generazioni, perché possano vivere una carriera nello sport senza nascondersi. Non voglio mentire: questo è anche per me, così che possa vivere libero da questo peso”.

E’ il nodo centrale, liberarsi da un peso.

“La mia famiglia, i miei amici, i miei compagni di 3×3 lo sanno da tempo, ma solo loro. Probabilmente mi sarei tenuto il segreto fino al termine della mia carriera professionistica. Ma ho deciso diversamente. Ecco il perché. La forza mentale è uno degli aspetti più importanti per un atleta. Ho sempre considerato questa come una delle mie migliori qualità. Ma è stato proprio questo aspetto a cadere come un castello di carta alla fine del 2019. In quel momento, avevo giocato a basket professionalmente da nove anni. Era la mia terza stagione consecutiva in cui giocavo a basket d’inverno e 3×3 d’estate con la nazionale svizzera ed il Team Losanna nel World Tour. Per tre anni, ho giocato a basket in 47 weekend l’anno. Ho viaggiato in tutto il mondo, giocando in 20 paesi. Sydney, Los Angeles, Montreal, Tokyo: ovunque. Per un po’ di tempo, sono anche stato tra i top 15 al mondo. Stavo assolutamente vivendo il mio sogno. Nonostante tutto questo, non ero felice. Continuavo a cambiare personalità da tanto tempo, e questo stava attaccando la mia salute mentale. Ogni settimana la stessa cosa: il mio fidanzato mi portava all’aeroporto e appena passavo la security, l’uomo gay in una felice relazione si trasformava nell’atleta professionista senza emozioni, che non voleva parlare della sua vita personale”.

Nel dicembre 2019, la svolta.

“Ho toccato il fondo. Ho iniziato ad avere forti sfoghi emotivi, pianti, sudore freddo. E per cosa? Solo al pensare al prossimo allenamento. Non potevo sopportare il fatto di dover fare lo switch tra la mia personalità a casa e quella sul campo di nuovo. Mi sono dato per malato e mi sono chiuso in casa. Speravo che gli attacchi di panico si fermassero, ma non successe. I divieti di viaggiare e lo stop alle competizioni mi hanno aiutato a nascondere i miei problemi mentali dal mondo del basket. Ho sempre pensato che avrei finito la mia carriera dicendo sempre la stessa frase: “Non ho una fidanzata perché voglio concentrarmi sul basket.” Ma non ce la facevo più. È come se negli sport di squadra non ci fossero uomini gay. Essere gay in quei contesti è un tabù. Le persone non vogliono parlarne e questo deve finire ora. Perché francamente questo è il. Motivo per cui un sacco di ragazzi giovani smettono di fare sport di squadra quando scoprono di essere gay”.

Ecco, in Italia probabilmente procuratori, amici, confidenti, familiari suggeriranno a chi vive la stessa situazione dell’elvetico di tacere.

E’ un classico. Complimenti per il coraggio, comunque, a Lehmann.

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