Dual & Post Career. ALESSANDRA FORMICA: L’AMERICA E L’ANALITICA.
Undicesima puntata della rubrica “Dual & Post Career”.
La protagonista è Alessandra Formica, classe 1993, ex-atleta che dopo le giovanili con la Lazùr Catania ha giocato con la Reyer Venezia e la Virtus Eirene Ragusa, oltre che con l’Italia.
Oggi Alessandra vive negli Stati Uniti d’America, immersa nella sua nuova avventura professionale.
Questa è la nostra intervista.
Quanto è stato importante, per la giocatrice Alessandra Formica, essere figlia d’arte della giocatrice Saška Ilieva Aleksandrova e quali sono i valori umani e sportivi che tua madre ti ha trasmesso?
«Fondamentale. Da giocatrice posso dire che la maggior parte delle cose che so le ho imparate da lei, non solo a livello cestistico ma sopratutto a livello mentale. Quando ero più piccola passavamo ore in palestra insieme, a lavorare individualmente. Non è sempre stato facile averla come allenatrice e oggi, guardando indietro, la ringrazio per tutte le volte che è stata “dura” con me e per avermi trasmesso la dedizione al lavoro e la passione per quello che si fa. Se non hai quel qualcosa dentro che ti spinge ad andare oltre, non cresci mai».
Con la Reyer Venezia hai fatto il doppio salto B1-A1, vincendo 2 campionati consecutivi e 2 volte la relativa Coppa Italia di categoria: qual è la vittoria alla quale sei più legata?
«La mia esperienza con la Reyer mi ha dato tanto. Sono arrivata da ragazzina di 16 anni, sono andata via da donna. È stato un bel viaggio da cui mi porto dietro tanti ricordi. Sicuramente la promozione in A1 è stata una delle vittorie più belle. Tornavo dalla mia prima operazione al ginocchio, non delle più facili. Vincere il campionato è stata una bella ricompensa».
Dopo Venezia, il ritorno in Sicilia, a Ragusa, vincendo la Coppa Italia. Quali i ricordi più belli?
«Ragusa è stata una tappa fondamentale. Mi hanno dato l’opportunità di esprimere me stessa e il mio potenziale al 100%. Ho avuto l’occasione di giocare a casa, di fronte al mio pubblico, ma soprattutto ho avuto l’occasione di costruire legami con le mie compagne di squadra che mi porto dietro tutt’ora. Penso a “Scons” (Chiara Consolini) e “Agne” (Agnese Soli), ma Il mio pensiero va in particolare a Gianni Recupido, che mi ha fatto crescere come giocatrice e sopratutto come persona. Ho il massimo rispetto per lui: è qualcosa che va oltre il campo da basket. Sono convinta che, alla fine di questo giochino, quello che resta sono le persone, le connessioni, le esperienze. Lasciare qualcosa di te che appunto vada oltre le ore spese in palestra».
Trafila Azzurra ed esordio con la Nazionale maggiore a 19 anni. Cosa si prova a giocare con l’Italia?
«La maglia Azzurra è la cosa di cui vado più fiera. I ricordi più belli con le nazionali giovanili e la nazionale senior. Quando indossi quella maglia è tutta un’altra storia. So che lo dicono tutti, è difficile da spiegare, ma è davvero così. Giochi per qualcosa di più grande, quando scendi in campo con la maglia della Nazionale».
Com’è maturata la decisione di smettere con il basket per dedicarti ad altro?
«Domanda difficile. Non è mai maturata in realtà. La scorsa estate, dopo il campionato mi sono sono sottoposta alla mia quinta operazione al ginocchio. Ho dovuto ascoltare il mio corpo per una volta e prendermi un po’ di tempo per rimettermi in sesto. Subito dopo è venuta fuori un’opportunità che non potevo lasciar perdere. Così ora sono a Dallas, in Texas, e lavoro per una compagnia di recruiting analitico: EPLAY Basketball. Lavoriamo con brand come Nike, NCAA ed NBA. Essenzialmente, aiutiamo i giocatori di qualsiasi livello, dalla high school alla NBA, a essere reclutati attraverso l’analitica. L’analitica sta rivoluzionando la pallacanestro. Purtroppo, specialmente in Europa, le nostre statistiche molto spesso sono incorrette, incomplete o troppo basilari. Per un giocatore è fondamentale raccontare la propria storia attraverso i propri numeri. Ed è proprio quello che fa EPLAY. Ci sono tantissimi atleti che vengono sottovalutati o nemmeno notati, mentre le statistiche possono fornire informazioni essenziali. I giocatori sono i primi a beneficiarne e subito dopo allenatori e squadre: dall’analizzare i punti di forza o debolezza del proprio avversario a semplicemente capire nel dettaglio che tipo di lavoro specifico fare con il proprio team. I giocatori possono vedere cosa funziona veramente per loro, assicurandosi di star lavorando sulle cose giuste. EPLAY usa l’analitica per raccontare la storia di ogni giocatore, ma sopratutto per massimizzare il valore che esprime in campo: il tutto porta ad assicurargli un contratto migliore e affinare il suo modo di giocare. In questa realtà così interessante, in particolare io mi occupo di tutti i progetti riguardanti i giocatori, eventi, combine, skill development training e recruiting a livello internazionale».
Cosa ti manca di più del basket giocato?
«Probabilmente il vivere la squadra e le compagne. Da quando sono negli Stati Uniti, la mia vita va a mille e non c’è un attimo per pensarci davvero. Se ti fermi, resti indietro. Continuo ad allenarmi come se dovessi giocare domani, forse anche di più, ma non ditelo ai miei allenatori (sorride, n.d.r.). Sono impegnata con EPLAY e con la mia accademia “Grind Sports Academy” praticamente full time, ma cerco sempre di trovare lo spazio per giocare ed allenarmi. Continuo a considerarmi un’atleta: chissà un domani che porte si apriranno».
Cosa ami di più del tuo nuovo lavoro?
«Credere in quello che faccio. Penso che da giocatrice, se avessi avuto l’opportunità di conoscere EPLAY durante la mia carriera, avrei beneficiato di molte più opportunità a livello di miglioramento individuale e sopratutto finanziario. Qui si lavora di squadra, che è quello a cui sono abituata e, soprattutto, ci si spinge a migliorarsi ogni giorno».
Qual è il consiglio che ti senti di dare a giocatrici e giocatori, in relazione al loro futuro dopo il campo?
«Di tutto questo, la cosa che rimane veramente sono le persone che incontriamo e le connessioni che creiamo: qualcosa di inestimabile, che va oltre il semplice giocare a basket. Noi atleti siamo preziosi per tutte le esperienze che facciamo e abbiamo fatto: ne dobbiamo essere consapevoli. Un’altra cosa è pensare sempre al futuro. Il mio consiglio è studiare, utilizzare il tempo libero per studiare e preparare le basi per quello che viene dopo. Studiare e giocare è stata probabilmente una delle cose più difficili, ma ne è valsa la pena. Credo che qualsiasi lavoro o passione si abbia, abbia bisogno di conoscenza e preparazione».
Come stai vivendo la pandemia dovuta al Covid-19 e come è cambiata la tua quotidianità, anche lavorativa?
«La pandemia ha cambiato molto la mia quotidianità. Mi sono dovuta adattare ad uno stile di vita e una cultura lontana anni luce da quella a cui ero abituata e farlo durante un virus che ha bloccato il mondo non è stato facile. Adesso lavoriamo da casa, anche se le cose stanno pian piano tornando alla normalità. Avremmo dovuto partecipare a tantissimi eventi durante l’estate, specialmente tornei Nike ed NCAA, ma ci siamo dovuti adattare anche se non ci siamo mai fermati».
Il tuo pensiero sulla GIBA?
«La GIBA è una realtà unica! Non tutti i paesi hanno l’opportunità di essere assistiti da professionisti che credono in quello che facciamo e valorizzano il nostro lavoro. Grazie alla GIBA si sono raggiuntati tantissimi risultati sopratutto a livello femminile. Gli atleti e le atlete italiane sono fortunate. Supporto il movimento e il lavoro della GIBA al 100%».
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