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Il ritorno di Alice Betto: “Mamma e sport: emozione intima. Voglio provare nuove distanze del triathlon”

La triatleta azzurra Alice Betto ha parlato a Focus, trasmissione che va in onda sul canale YouTube di OA Sport, della propria carriera, degli sport praticati in gioventù, e dell’avvicinamento al triathlon, che ha iniziato a praticare solamente durante gli anni di studio all’università.

L’inizio della pratica del triathlon a 22 anni: “Sono stata una discreta nuotatrice nel periodo delle scuole, fino all’ultimo anno del liceo ho nuotato e fino al terzo anno del liceo ho fatto contemporaneamente anche danza classica. Questo in realtà ci tengo a sottolinearlo, innanzitutto perché secondo me è una disciplina meravigliosa, e poi perché secondo me mi è tornata anche molto utile, perché se avessi fatto probabilmente solo nuoto, i piedi non li avrei mai allenati, invece con la danza classica devo dire che poi me la sono ritrovata anche nella corsa, infatti quando ho iniziato a correre, nel 2006, stavo già iniziando piano piano a smettere di nuotare, e così da niente, ho iniziato a correre e ho fatto tre maratone. Ci tengo a sottolineare questo aspetto della danza classica, perché comunque al di là del fatto che io ero una ranista, e quindi già i ranisti rispetto magari agli stileliberisti o ai dorsisti, usano un pochino più le gambe, i piedi, in più la danza classica mi ha aiutato a rinforzare le caviglie, le piante dei piedi, a lavorare di più con i piedi, e questo mi è tornato sicuramente utile quando poi ho iniziato a correre, per jogging, non era per nulla una corsa con finalità agonistiche, ma solo fitness, puro fitness, mi sono ritrovata subito ad esprimermi abbastanza bene, quindi questo mi ha motivata nell’andare avanti“.

La decisione di abbandonare il nuoto: “Ho capito che non sarei mai arrivata in alto, ero arrivata ad un certo punto, buono, agli Italiani Assoluti, a fare qualche piccolo podio, però a livello internazionale non sono mai sbocciata, quindi questo mi ha fatto capire che dovevo prendere un’altra strada, che poi è stato il motivo per cui ho smesso e mi sono dedicata ad altro, infatti poi mi sono iscritta all’università, ho percorso anche un’altra strada oltre poi a quella del triathlon, il triathlon è arrivato in un secondo momento. Mi sono iscritta all’Accademia di Belle Arti a Brera, quindi ho studiato restauro delle opere d’arte per cinque anni, ed al terzo anno dell’università, dopo le tre maratone fatte così, a livello amatoriale, per tenermi in forma, in realtà sono approdata al triathlon, un po’ in maniera casuale, un po’ per gioco, un po’ perché mi hanno buttato dentro, diciamo così, e mi sono innamorata poi di questa disciplina“.

L’approdo al triathlon: “Io il triathlon non lo conoscevo nemmeno. Parlando con il mio ex allenatore di nuoto, lui mi ha detto ‘Perché non provi a fare triathlon?’ E io gli ho detto ‘Che cos’è triathlon?’ E’ nata così, per caso, per gioco, come una sfida. All’inizio non sapevo neanche se mi sarebbe piaciuto, e non volevo neanche ritornare in quel loop dell’agonismo, che comunque era arrivata un po’ alla saturazione durante gli anni del liceo, anche perché tenere in piedi tutto, la scuola, il nuoto, la danza, non avevo mai tempo libero, quindi volevo un po’ vivermi anche un altro tipo di vita. Poi però, provando questo sport, le prime gare, a parte la prima gara che è stata un fallimento totale, nel senso che mi sono ritirata in partenza per paura, perché comunque non ero abituata a nuotare in acque libere, quindi quello è stato un trauma, poi, visto che mi son sempre piaciute le sfide, ci ho voluto riprovare, e la seconda gara l’ho vinta. Da lì ovviamente ci si fa ingolosire e questa cosa mi ha dato quella spinta in più per dire ‘Dai, proviamoci’. E così è andata, infatti il primo anno in cui mi sono cimentata nel triathlon è stato proprio un anno di prova“.

I primi risultati di rilievo nel triathlon: “Sono salita su podi internazionali in gare di livello un pochino inferiore, dalle Coppe Europa alle Coppe del Mondo, prima di arrivare a fare un podio in una World Triathlon Series nel 2017. Sono passati diversi anni ed anche diversi infortuni, ed il fatto di essere rientrata dopo, tra l’altro, un grosso infortunio al tendine di Achille, tra il 2015 ed il 2016, perdendo oltretutto anche l’Olimpiade di Rio de Janeiro del 2016, mi ha dato una spinta in più, una voglia di rifarmi, e forse anche quello ha contribuito a metterci qualcosa in più anche in gara, e poi è arrivata questa medaglia la settimana successiva, addirittura un bronzo europeo, quindi in dieci giorni ho fatto davvero due bei podi“.

Le Olimpiadi di Tokyo: “Anche lì è stato un po’ un periodo travagliato, tra il 2020, l’Olimpiade posticipata, tutti eravamo pronti un anno prima, ed in realtà abbiamo atteso altri dodici mesi. Nel 2020 c’è stato un anno di stop, un anno abbastanza faticoso, non solo per me, un po’ per tutti, un po’ condizionato anche dall’assenza di gare, un po’ dalla perdita dell’obiettivo, che in quell’anno doveva essere un obiettivo enorme, l’Olimpiade, e quindi il percorso di avvicinamento non è stato dei più sereni, però più si avvicinavano le Olimpiadi, più il momento critico del 2020 si allontanava, e la parte bella, coinvolgente, del periodo olimpico, ha un po’ cancellato quello che era stato il treno pre-Olimpiade, e devo dire che me la sono vissuta benissimo, anche perché l’ho rincorsa per dieci lunghi anni, quindi quando è arrivato quel momento ho cercato veramente di viverlo al 100%. Sicuramente tagliare il traguardo, come è stato anche a Parigi, tagliare il traguardo è sempre un qualcosa di emozionante“.

Il ricordo più vivido: “Il clima, l’atmosfera, che vivi all’interno del Villaggio Olimpico è qualcosa di unico, indescrivibile, e ti rimane dentro, vorresti riviverlo ogni giorno della tua vita, perché ti senti veramente in un mondo a parte, immerso tra atleti, persone che sono felici, contente di essere lì, di condividere insieme alla propria Nazione, insieme alle altre Nazioni, c’è un clima meraviglioso dall’inizio alla fine dei dei Giochi Olimpici, e questo eh l’ho potuto vivere sia Tokyo che a Parigi nello stesso modo nonostante due realtà completamente diverse, e due periodi storici anche completamente differenti. Il clima e l’atmosfera che vivi sono qualcosa di unico che ti porti dentro per tutta la vita“.

Alice Betto poi è diventata madre: “Quella è un’emozione davvero incomparabile con qualsiasi altra cosa, qualcosa di tuo, di talmente intimo che ecco, mentre di là condividi, qui vivi tu e solamente tu, quindi è un’emozione intima proprio. Mi piacerebbe innanzitutto che mio figlio trovasse uno sport con cui riuscisse a divertirsi, perché questa è la cosa più importante, la passione, il divertimento, poi viene tutto il resto, così è stato anche per me, questo sport continuo a farlo semplicemente perché ho la passione e mi piace quello che faccio, quindi questa è la prima cosa, potrebbe anche non fare sport, non mi interessa“.

La bellezza di questo sport: “Il triathlon è molto formativo, perché ti trasmette anche una capacità di adattamento alle situazioni ed alle cose importante. Io mi ricordo ancora la mia prima trasferta che ho fatto da sola, in cui mi sono smontata la bici, ho rimontato la bici, ho fatto tutta una serie di cose in autonomia che davvero non avrei mai pensato di riuscire a fare, soprattutto da donna, mettersi con le brugole, anche perché arrivavo da un ambiente come il nuoto in cui bastavano una cuffia ed un costume, non è che hai bisogno di tanto o non devi avere delle capacità. Il triathlon davvero è formativo da questo punto di vista, ti aiuta a sviluppare tante capacità, non solo quella dell’allenamento e quella del gareggiare o dell’essere atleta, ma anche proprio di sapersi adattare alle varie situazioni, poi si viaggia tanto, quindi comunque anche adattarsi a luoghi differenti, Nazioni differenti, cibo diverso, insomma tante cose non scontate che poi col tempo, con l’esperienza, uno impara anche a gestire meglio, però insomma, soprattutto per un ragazzo giovane, è una bellissima esperienza formativa, al di là proprio dell’aspetto agonistico“.

I progetti futuri nell’agonismo: “Quest’anno è un anno post olimpico, quindi è un anno un po’ particolare, in cui diciamo che gli obiettivi sono un filino inferiori rispetto a quello che può essere l’obiettivo olimpico, che è il massimo obiettivo raggiungibile per un’atleta, quindi vorrei sperimentare anche altre distanze, infatti domani sono in partenza per una nuova sfida, il T100 di Vancouver, che è una gara composta da 2 km di nuoto, 80 di bici e 18 di corsa, è ovviamente una gara no draft, quindi con la bicicletta da crono, sempre su strada però a cronometro, senza scia e quindi vorrei un po’ cimentarmi anche in altre distanze, anche perché diciamo che sono una persona che si pone sempre nuovi obiettivi, è questo che mi tiene anche anche viva, quindi mi piace l’idea di avere anche sfide nuove, sempre rimanendo focalizzata su quella che è la distanza olimpica, però intanto anche sperimentare qualcos’altro mi mi interessa, voglio vedere fino a dove mi posso spingere“.

La definizione che Alice Betto dà di se stessa: “Una mamma, un’atleta, una persona innamorata di quello che fa e sempre sempre positiva, che vive con continue sfide quotidiane sempre alla ricerca di qualcosa di nuovo”.

LA PUNTATA COMPLETA DI FOCUS

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