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Alessandro Fabian: «Tokyo 2020, che (stra)figata!»

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Shimano e Giant al finaco di Alessandro Fabian
Shimano e Giant al finaco di Alessandro Fabian
Shimano e Giant al finaco di Alessandro Fabian

Alessandro Fabian è appena rientrato da Abu Dhabi dove ha partecipato alla prima tappa dell’ITU World Triathlon Series, evento che raduna i migliori triatleti del mondo e che farà tappa in altri otto Paesi. Quando lo incontriamo, durante la conferenza stampa che annuncia la collaborazione con Giant, colosso taiwanese nella produzione di biciclette di alta gamma e accessori per le due ruote e Shimano, leader nella realizzazione di componenti per biciclette, non smette di sorridere. Un sorriso sincero, aperto, contagioso, che rivela il suo entusiasmo. Entusiasmo per questa nuova collaborazione, «Non solo si tratta di una partnership prestigiosa, ma apre le porte ad un futuro insieme a due brand leader nel settore che mi accompagneranno nell’avventura verso Tokyo 2020», e del percorso sportivo e di vita, «un viaggio continuo», che sta portando avanti.

Classe 1988, Fabian inizia dal nuoto per passare, successivamente, ad aquathlon e duathlon fino a che non approda al triathlon, disciplina per cui ha vinto diversi titoli italiani. Incluso nell’élite internazionale ha chiuso il 2018 aggiudicandosi il quarto e il quinto posto nelle tappe di Coppa del Mondo rispettivamente a Miyazaki (Giappone) e Tongyeong (Corea del Sud).

Quando ha capito che sarebbe diventato un grande triatleta?
«Durante la mia prima gara internazionale, i Campionati Junior di Triathlon nel 2006. Lì è scattata la molla. Ho iniziato con il nuoto, ma i risultati non rilevanti. Continuavo a praticare questo sport più per passione e per rispetto nei confronti del mio allenatore, che mi sosteneva. Dopo quella competizione è andato tutto veloce, ho iniziato a toccare con mano le realtà internazionali. In soli due anni sono diventato un professionista e già parlavo di Olimpiadi. Prima pensavo solo ai campionati italiani».

Cosa rappresenta per lei il triathlon?
«Una scuola di vita. Non si tratta solo di vincere o di perdere, ma di sapere interpretare se stessi. Il triathlon è una scuola anche più severa di quella classica, ti obbliga a fare i conti con te stesso. Dico sempre che la nostra vita è un po’ come una mano: noi siamo il palmo, i nostri ambiti come sport, lavoro, sociale sono le dita. Nel momento in cui una persona si realizza in uno degli ambiti, con i conflitti e o vittorie che ne derivano, anche gli altri subiranno un’influenza positiva o negativa. È tutto correlato e con regole ben precise».

È il volto del triathlon italiano. Che effetto le fa essere il punto di riferimento di un sport che ultimamente non è più di nicchia ma è seguito e praticato da sempre più appassionati?
«Cerco di rappresentare questo sport al meglio. Voglio dare al triathlon e alle persone che mi stanno accanto il meglio di me stesso. In modo molto semplice».

Il triathlon è uno sport complesso, si percorrono lunghe distanze in acqua, in bici su strada e di corsa. L’allenamento che prepara a una competizione è complesso perché si deve essere competitivi su tre discipline diverse.
«Il mio allenatore usa tre parole chiave: pazienza, costanza e divertimento, o meglio enjoy the process, goditi il percorso. La nostra mente è, spesso, focalizzata sul risultato, ma la nostra vita è un viaggio. Saperla interpretare come tale, come un viaggio, fa la differenza e ci fa godere appieno di ogni momento e non solo del risultato. Se rendi magico il viaggio intrapreso, anche il risultato sarà magico».

Come gestisce la fatica? 
«Cerco di pensare che la fatica che sto facendo è relativa a un momento preciso e che non sarà sempre così».

Sempre a proposito di fatica, non si è mai detto «ma chi me lo ha fatto fare»?
«Certo! Più di una volta. Soprattutto quando sono vicino a una gara, a una competizione molto attesa e sento di più l’emozione e l’adrenalina. Ma non dura molto, torno in me molto presto.»

Nuoto, bici, corsa: quale delle tre le piace meno?
«So che sembrerà strano perché da quello ho iniziato, ma senza dubbio il nuoto. Tra noi è stato da subito amore e odio (ride). E poi delle tre è la disciplina più noiosa».

Quali sono le qualità di un atleta di triathlon?
«Bisogna essere consapevoli e rilassati, sapersi adattare in qualsiasi situazione».

Il suo punto debole?
«Qualche volta credo poco in me stesso».

Non si direbbe, visto i risultati che ottiene…
«È vero, ma questi risultati non i bastano. Nello sport ad alto livello non conta solo la capacità fisica, ma essere confident, avere fiducia in se stessi, è di grande aiuto. Non si smette mai di imparare e anche se sono alla soglia dei 30 anni sto ancora imparando. Perché, come dicevamo, alla fine la vita è un eterno viaggio».

Giochi Olimpici di Tokyo 2020: a cosa punta?
«La mia parte razionale punta (ovviamente) al risultato. La parte più romantica si aspetta una stra-figata (ride)!»

Per un triatleta la scelta dei partner tecnici è fondamentale, oltre che determinante. Questa collaborazione Giant-Shimano cosa ti dà in più?
«Partiamo dal presupposto che un atleta dovrebbe solo pensare ad allenarsi. Avere partner che garantiscono un aiuto tecnico di alto livello, perché usano materiali di altissima qualità, fa la differenza, sia durante l’allenamento, ma soprattutto in gara. È indubbiamente un valore aggiunto. Giant è uno dei principali produttori di bici al mondo e ha un’importante esperienza alle spalle, ma ciò che aggiungerà valore al mio staff sarà soprattutto l’assistenza che Shimano e Giant forniranno da un punto di vista tecnico. Saprò di poter contare su prodotti di qualità e questo mi fa sentire sereno nel cammino verso le prossime Olimpiadi. Il cambio Shimano assicura massima precisione, mentre la struttura delle biciclette Giant, super leggera, ti permettere di spingere di meno, di consumare meno energia e di conseguenza di essere più performante».

A novembre partirà il suo progetto ecosostenibile Element Fury. 
«Saranno tre giorni in cui sensibilizzeremo l’opinione pubblica sull’ambiente e su ciò che ci circonda. Vorrei contribuire concretamente, aiutare un mondo che dal punto di vista dell’ecosostenibilità sembra ormai allo sbaraglio».

Il suo sogno green?
«Chiudere i centri città alle auto. Al di là dei giardini cittadini riuscire a rendere un centro città più verde, per esempio attraverso l’utilizzo di mezzi pubblici e biciclette, sarebbe un enorme passo avanti».

Ci spiega che questo sport è fatto di pazienza, costanza, fatica e divertimento, o meglio enjoy the process, goditi il percorso. La nostra mente è, spesso, focalizzata sul risultato, ma la nostra vita è un viaggio. Saperla interpretare come tale, come un viaggio, fa la differenza e ci fa godere appieno di ogni momento e non solo del risultato. Se rendi magico il viaggio intrapreso, anche il risultato sarà magico»

 

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