Munar si batte per ‘classe media’ del tennis: “Lavoriamo tanto quanto i top player – se non di più”
di Nacho Encabo, pubblicato da Clay il 17 novembre 2025
Traduzione di Massimo Volpati
MADRID – In un’epoca dominata da Carlos Alcaraz e Jannik Sinner, e con l’ATP pronta a ridurre ulteriormente i tornei minori, Jaume Munar alza la voce in difesa della “classe media” del circuito. “Lavoriamo tanto quanto i top player – anzi, anche di più”, ha dichiarato a CLAY in un’intervista pubblicata anche da RG Media.
Il lavoro psicologico lo ha aiutato a controllare le emozioni che spesso gli si ritorcevano contro in campo. Si sente più maturo, e lo si percepisce nel modo calmo e riflessivo con cui si esprime: “Quell’instabilità emotiva che ho avuto spesso nel corso delle stagioni è svanita”.
Legge Plutarco, dice che avrebbe voluto fare il neuroscienziato se il tennis non fosse stata la sua strada, ed è raro vederlo sveglio dopo le 22. Sono solo alcuni tratti per descrivere un uomo che ha dovuto rimandare la luna di miele. Si è sposato l’8 novembre nella sua isola natale e ora dovrebbe trovarsi su una spiaggia paradisiaca. Invece è a Bologna, pronto a debuttare alle Finali di Coppa Davis. Dall’Italia, Munar parla con CLAY in videochiamata.
Nel 2025 ha disputato la migliore stagione della sua carriera. È numero 36 del ranking ATP, la sua posizione più alta, e insegue ancora il primo titolo nel circuito maggiore: “Quello che ho fatto quest’anno è un successo, ma non è il successo che sto cercando”.
Intervista a Jaume Munar
– Come stai? Avverti un tipo diverso di tensione?
– Sono molto felice. Far parte della squadra è sempre un’esperienza indimenticabile. Quest’anno ho potuto giocare ogni incontro e mi sono divertito moltissimo. Ogni giorno con la nazionale spagnola è un sogno. Stiamo solo aspettando che arrivi Carlos (Alcaraz) e poi saremo tutti qui. Lo sosterremo appena arriva e speriamo che il problema alla coscia non sia serio. Vedremo cosa succede qui a Bologna.
– Cos’è la Coppa Davis per Jaume Munar?
– Significa tutto. Probabilmente è la competizione che ho guardato di più da bambino. Sono stato fortunato a condividere il tour con persone che hanno avuto enorme successo in questa competizione. L’ho vissuta da vicino negli anni precedenti, come sparring partner, come membro della squadra nel 2017, anche se allora avevo meno esperienza. Per molti anni essere in nazionale è stato un obiettivo. Solo essere qui mi riempie di un’emozione indescrivibile. Sogno tutto ciò che verrà.
– Vincere la Davis sarebbe il finale perfetto della tua miglior stagione. Cosa è successo quest’anno?
– Sì, senza dubbio. È stato un anno eccezionale, più per il tennis espresso che per i numeri o le vittorie. Credo di essere migliorato praticamente in ogni aspetto del gioco e oggi sono semplicemente un giocatore migliore. Il salto è stato piuttosto radicale, ma la verità è che lavoro per questo da molti anni. La Coppa Davis è una ricompensa per una stagione fantastica, non solo per me ma per tutte le persone che lavorano con me, che erano altrettanto emozionate nel vedermi qui. Voglio iniziare e godermela al massimo.
– Perché questo salto è arrivato ora e non prima?
– Prima di tutto la maturità. Ho 28 anni e questo conta. Poi credo sia la continuazione di tutto il lavoro fatto negli anni. Non parlerei di transizioni o momenti critici: il giocatore che sono oggi è il risultato di un lavoro durato molti anni, ben oltre il semplice professionismo, grazie alla combinazione di tutte le persone che mi hanno aiutato, di tutti gli allenatori che mi hanno insegnato qualcosa, e anche di piccoli cambiamenti introdotti nel 2023 e alla fine del 2024 che hanno completato il giocatore che sono oggi.
– In un’intervista a El País ad agosto hai detto: «La mediocrità non mi soddisfa più». Com’è stato quel processo? Prima ti soddisfaceva?
– No. Bisogna contestualizzare tutto ed essere realistici. Sono un ragazzo di Santanyí, un paese di 5.000 abitanti, che guardava questi fenomeni in TV sognando di entrare un giorno nei primi 100. Poi continui a fare passi avanti, nel tennis e nella vita, che ti portano in una posizione privilegiata. Per me essere nei top 100 era un privilegio assoluto. E lì mi sono consolidato per cinque o sei anni. A un certo punto dici: «Voglio qualcosa di più».
Dire che la mediocrità non mi soddisfaceva significa che ero da anni nello stesso punto, mi sentivo stabile, e preferivo entrare in campo pensando di poter essere un po’ migliore, anche a costo di fare qualche passo indietro. Non è che la mediocrità mi soddisfacesse o meno: ero in una posizione comoda, guadagnavo, avevo realizzato i miei sogni, e avevo bisogno di un reset mentale e di rifocalizzarmi. Credo di esserci riuscito, e con la maturità e il livello di tennis, tutto è andato al suo posto.

