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L’ingombrante ombra saudita sul tennis mondiale

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A pochi giorni dal via all’annata 2026 del tennis professionistico, è sempre utile dare una ripassata alla classifica ATP come l’avevamo lasciata. Ma prima di scorgere i nomi dei due dominatori del circuito, Alcaraz e Sinner, l’occhio non può non cadere sul nome del ranking: PIF ATP Ranking. PIF, chi è costui? Public Investment Fund, un fondo d’investimento dell’Arabia Saudita che copre 13 diversi settori, più di 220 imprese e che amministra attività per 925 miliardi di dollari americani (all’incirca il PIL annuo della Svizzera), allo scopo di espandere il potere economico dello stato arabo finanziando grandi progetti di sviluppo, infrastrutture e nuove città, per diversificare l’economia oltre il petrolio. Questo è quanto molto sinteticamente riporta l’AI Overview di Google, ma a noi interessa più in particolare l’influenza dell’Arabia Saudita sullo sport, in primis il tennis ma non solo.

Tennis arabo

Questi signori, a partire da “Sua Altezza Reale” il Principe Mohammed bin Salman, Primo Ministro dell’Arabia Saudita, Capo del consiglio dell’Economia e dello Sviluppo e Presidente del PIF (tanto per non farsi mancare nulla), sono gli stessi che nel 2024 hanno messo in piedi in un amen il torneo di tennis più ricco di sempre – almeno per il premio al vincitore finale -, quel Six Kings Slam, che nei suoi due anni di storia è stato vinto da Jannik Sinner.

Due titoli dal valore complessivo di 12 milioni di dollari (6 milioni a edizione), con i partecipanti (quest’anno Sinner, Alcaraz, Djokovic, Zverev, Fritz e Tsitsipas) che per la sola presenza si sono portati a casa 1 milioncino e mezzo (tutti lordi, per carità…).

Un torneo monstre che è servito a promuovere ulteriormente l’Arabia Saudita come organizzatore di un grande evento tennistico, dopo che dal 2023 Gedda ospita le Next Gen ATP Finals e dal 2024 Riad è il teatro delle WTA Finals.

Il resto – praticamente tutto – l’hanno fatta i miliardi del fondo di cui sopra e così l’ATP ha pensato bene di premiare tutto questo con un nuovo torneo Masters 1000 che si disputerà dal 2028, indicativamente dopo l’Australian Open e probabilmente nella capitale Riad.

L’esempio della boxe

L’ATP Tour è ufficialmente nato nel 1990 e da allora ha sempre compreso nove tornei 1000: dopo 35 anni i petrodollari sauditi hanno portato a 10 il numero dei Masters 1000 ATP. Ma le ambizioni del Principe bin Salman e dei suoi sodali non si fermano al tennis: nel pugilato, dal 2020 gli incontri più importanti si disputano a Riad.

Se c’è una cintura importante in palio, solo pochi palcoscenici sold-out possono competere, peraltro sempre col beneplacito arabo. Riad Season” è scritto dappertutto: a Londra (Wembley) per il match tutto britannico del 2024 tra i pesi massimi Anthony Joshua e Daniel Dubois, come a Las Vegas per l’attesissimo (ma deludente in termini di effettivo spettacolo) titolo mondiale unificato dei supermedi tra Terence Crawford e Canelo Alvarez e a Miami per la recente pseudo-esibizione tra l’ex campione del mondo Anthony Joshua e l’ex youtuber Jake Paul.

Le due sfide per il titolo mondiale dei pesi massimi tra Oleksander Usyk e Tyson Fury si sono regolarmente (verrebbe da dire) disputate nella capitale saudita a maggio e dicembre 2024.

Il calcio italiano

Nel calcio, la Supercoppa Italiana si è giocata a Riad nelle ultime quattro edizioni e nel 2019, oltre che nel 2018 a Gedda, con le edizioni del 2020 e del 2021 giocate in Italia, rispettivamente a Reggio Emilia e a Milano. Insomma, solo il COVID ha temporaneamente arrestato l’avanzata saudita… Il campionato nazionale saudita attira poi le stelle del calcio europeo e mondiale a suon di miliardi, tanto per cambiare: dai campioni agli ultimi scampoli di calcio giocato (Cristiano Ronaldo, Benzema, Firmino, Brozovic, Neymar e Koulibaly) a giocatori e allenatori tuttora nel pieno della carriera (Mateo Retegui, Roberto Mancini, Stefano Pioli).

Accetta o rifiuta e va avanti?

Questa pioggia di denaro e risorse saudite sul tennis mondiale è un bene o un male? Da più parti si solleva il dilemma etico del fenomeno dello sportwashing, l’organizzazione da parte di dittature che reprimono i diritti umani di grandi eventi sportivi, finalizzata a distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica internazionale. È il caso dell’Arabia Saudita? Certamente sì. È dunque deplorevole da parte di ATP e WTA incassare i miliardi arabi voltandosi dall’altra parte? Vista da destra, lo sarebbe, ma è anche vero che secondo questo principio solo pochi Paesi occidentali organizzerebbero i grandi eventi, emarginando sempre di più il resto del mondo dallo sport internazionale. Vista da sinistra, certe questioni non sono negoziabili: va bene garantire l’universalità dello sport, ma espandersi accettando i soldi sporchi di dittature che vedono lo sport come strumento di propaganda e distrazione di massa non è mai, in alcun modo, accettabile.

Chi ha ragione? 

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