Le pagelle degli italiani nel 2025: dalla A di Arnaldi alla D di Darderi. L’esplosione di Cobolli (8,5) e la fenice Berrettini (6)
Dicembre sta finendo e un anno se ne va. Il tennis azzurro è un fenomeno che non accenna a toccare il proprio acme. È un proiettile a lunga gittata che corre velocissimo nella sua parabola che continua ad attraversare tornei e calendari ATP. Non manca tantissimo, con tutta probabilità anche la disciplina con racchetta e palline potrebbe avere presto una “generazione di fenomeni” tutta italiana così come fu quella pallavolistica degli anni 90′ etichettata in modo magistrale Jacopo Volpi.
Paragoni arditi, epoche lontane e interpreti differenti, ma il talento trabocca come ai tempi, e come oggi. Generazione appunto, perché oltre al consolidato Jannik Sinner che nel biglietto da visita mette quattro Slam all’attivo, c’è una folta pattuglia che continua a crescere.
Tutta azzurra, tutta italiana in un 2025 stellare con pochissime note negative. Come lo scorso anno, da parte di Ubitennis arrivano i voti in pagella. Funzionali a fotografare la stagione degli atleti azzurri in top-100, ma scivolosi perché da 0 a 10 ci sono sfumature non sufficienti a racchiudere con un numero quel che è stato il rendimento di ognuno di loro. Compito spesso ingrato, ma qualcuno deve farlo. Un super Cobolli, l’intoccabile Sinner e la maturazione definitiva di Musetti sono solo tre degli otto protagonisti analizzati ripartiti in due articoli per facilitare la lettura degli appassionati.
MATTEO ARNALDI: voto 5,5
Inaugurava l’anno da numero 37 al mondo. Doveva e poteva essere la stagione della conferma, puntando a quella top-20 come ulteriore tassello della sua crescita come giocatore. Ma così non è stato. Il 2025 di Arnaldi si è trovato con un piede in fallo. Lo stesso che, forse, ne ha condizionato il rendimento eufemisticamente claudicante soprattutto nei momenti salienti della seconda metà dell’annata dove ha incassato batoste da rivali alla portata. Matteo, dal canto suo, non ha mai deciso di tirare i remi in barca e ascoltare il proprio corpo che evidentemente gli chiedeva qualche pit-stop non accolto.
Eccezion fatta per la terra di Madrid, non sono arrivate mai più di due vittorie consecutive pregiudicando inevitabilmente il bilancio stagionale fermo a 23 successi e 26 sconfitte. Uno dei pochi azzurri in negativo. L’unico sussulto è arrivato, appunto, nel 1000 spagnolo dove Arnaldi si è spinto sino ai quarti di finale prima di cedere a Jack Draper. La sua vittoria di Pirro è quella al secondo turno contro un Djokovic in fase di transizione. Uno scalpo blasonato che non lo salva da un’insufficienza stagionale che grida vendetta per il 2026. Le qualificazioni, giocate a Vienna e sul cemento di Parigi, dovranno essere un incomodo riservato ad altri. DOCTOR HOUSE.
MATTIA BELLUCCI: voto 5,5
E’ la grande illusione azzurra. Esopo ci andrebbe a nozze e lo paragonerebbe alla lepre della sua celebre favola con la tartaruga co-protagonista. Bellucci era entrato in top-100 sul calare del 2024. E i presupposti per quest’anno erano da leccarsi i baffi considerando la già folta fucina di talenti azzurri. Mattia non inizia benissimo, fallendo il pass per il main draw dell’Australian Open, ma in Olanda sboccia come un tulipano e concede un assaggio di quello che il suo bagaglio tecnico ha a disposizione. Nell’ATP 500 di Rotterdam si veste da ammazza-grandi, vince la battaglia con Medvedev e annichilisce Tsitsipas.
La prima semifinale nel circuito maggiore, persa contro De Minaur, sembra appagarlo e il lombardo si adagia sotto l’albero come il già citato roditore sino ad addormentarsi. Salvo i quarti raggiunti a Marrakech, la stagione su terra rossa non gli dà una mano, alla stregua di come lui non la dia a fine match d’esordio a Madrid con Dzumhur. Una delle nove sconfitte consecutive che lo porterà allo switch sul verde. La brillante vittoria contro Jiri Lehecka a Wimbledon, valida per il terzo turno, incrementa il rammarico per un giocatore dalla notevole padronanza di mano, ma ancora troppo fragile e inconsistente per esprimersi con continuità a certi livelli, auspicandoci un 2026 votato alla strutturazione definitiva di Bellucci. BELLO ADDORMENTATO.
MATTEO BERRETTINI: voto 6
Warning ai legali di Arnaldi: il mezzo voto in più nei confronti dell’altro Matteo è altamente contestualizzabile e situazionale. Senza contare le fatiche di Coppa Davis, Berrettini gioca 35 partite ATP nell’annata appena mandata in archivio. A voler essere caustici e forse un tantino iperbolici nei confronti, queste rappresentano meno della metà delle vittorie messe a referto da Carlos Alcaraz nella stagione che lo ha visto chiudere da numero uno al mondo. E’ ovvio che a The Hammer si chieda di martellare più spesso e volentieri.
Berrettini e la solita incognita legata al fisico
L’incognita è sempre la stessa: il fisico, quel maledetto fisico da 196 centimetri per oltre 90kg. Forse il treno della gloria già è passato e i fasti di Wimbledon sono difficilmente replicabili. Ma a Church Road, a Matteo piacerebbe ritornarci a giocare. Privilegio non avuto quest’anno per i soliti referti e le solite cartelle cliniche. Quando sta bene, continuando con le iperboli, lo si vede dal lancio della monetina. E lì possono essere dolori anche per top player come Zverev sconfitto a Montecarlo o quando ha spaventato Fritz nei quarti a Miami dopo un match straordinario.
Il resto, è noto ai più. Ritiro al Foro Italico contro Ruud, con tanto di querelle per il doppio giocato con il fratello Jacopo, e dopo Wimbledon un filotto di forfait che potevano mandare anzitempo i titoli di coda sulla sua stagione. Invece, capitan Volandri gli tende la mano. Matteo è uno di quelli che si è speso maggiormente per la causa azzurra e l’Italia si aggrappa a lui come secondo violino in Coppa Davis. Nessuna nota stonata, uno spartito d’annata, tre vittorie in campo e il numero di decibel che si alza quando è il primo tifoso dell’allievo Cobolli, come in un famoso video che li riguardava da ragazzini. Corsi e ricorsi storici da pelle d’oca e l’ennesimo anelito di rinascita per il 2026. ITALICA FENICE.
FLAVIO COBOLLI: voto 8,5
“Ho visto la sua statua di cera da qualche parte” rivolto a Christian De Sica con conseguente gesto apotropaico del figlio di Vittorio potrebbe tranquillamente essere la sua miglior giocata dell’anno. Ma c’è tanto, troppo agonismo da mettere in evidenza per rimanere rilegati all’angolo della goliardia, nonostante Cobolli abbia dato sfoggio di stare sul pezzo anche su questo aspetto. L’ospitata a Che Tempo che fa da Fabio Fazio è la certificazione nazional popolare di come Flavio sia divenuto trasversalmente famoso. E di come sia entrato nel cuore di tutti gli italiani come l’eroe di Coppa Davis targata 2025.
Nulla a che vedere con le prime cinque partite dell’anno dove Cobolli rimedia altrettante sconfitte, figlie della preparazione inesistente a causa dell’infortunio patito a novembre 2024 a Stoccolma. Poi arriva la Romania e la stagione del classe 2002 fa click. Nella terra di Dracula, Flavio affila i canini per azzannare alla giugulare la stagione. E inizia a fare quello che il suo talento gli imporrebbe: vincere. Il primo successo ATP a Bucarest, a distanza di un mese e mezzo il 500 di Amburgo conquistato contro Rublev in finale e la sensazione lanciata al mondo intero che la fabbrica di campioni italiani non accenni ad abbassare la produzione.
Cobolli primo violino in Coppa Davis
Tra i meriti della super stagione di Cobolli c’è anche la lezione impartita ai dogmatici di questo sport e i vari incasellamenti legati ai tecnicismi delle superfici. In sostanza? Se uno è bravo, gioca bene dappertutto. E così fu, perché l’entusiasmo e la sfrontatezza di questo guascone romano vincono sul poco feeling tra lui e l’erba regalandogli una strepitosa cavalcata a Wimbledon stoppata ai quarti di finale solo da Novak Djokovic. Tanti decantati specialisti del verde chiuderebbero la carriera dopo questo piazzamento nel terzo Slam dell’anno.
Flavio in Coppa Davis fa quello che non fa la sua città del cuore in una famosa canzone: lo stupido. Spieghiamo. Dopo il gran rifiuto di Sinner e Musetti, l’Italia tennistica è nel panico considerando la scarsa tenuta fisica di Berrettini e il ruolo di leader affidato, appunto, al classe 2002. Il tris nella massima competizione a squadre sembra lontano, ma Cobolli la vive con una tensione dominata da un mix di incoscienza e personalità che lo porta a conquistare il pubblico dell’Unipol Arena di Bologna anche tramite gesti eclatanti e pittoreschi: chiedere della maglietta stracciata post tie-break infinito con Bergs e la conferenza stampa carica di etanolo e allegria svoltasi dopo la vittoria con la Spagna. RUGANTINO.
LUCIANO DARDERI: voto 7,5
Cobolli dovrebbe essere la lectio magistralis per eccellenza. Ma la trasversalità su ogni campo non è abilità sbloccata per Darderi che senza chiamare la sua lavatrice agli straordinari, proprio non ci sa stare. Sì perché Luciano continua a dare il meglio di sé con i calzini sporchi di terra, mortificati dalle sue grandi rincorse e dalla soffocante aggressività che riesce a proporre quando si gioca nel suo habitat naturale. Il 2025 di Luciano Darderi è stato all’insegna del tutto o del niente, caratterizzato da uscite di scena ai primi turni oppure dai trofei sollevati in finale.
Sono tre nell’arco di questa stagione e negli almanacchi di questo sport meraviglioso si ricorderà questo. Non sicuramente delle sconfitte all’esordio con Jaime Faria a Santiago del Cile o Shintaro Mochizuki ad Almaty. Vincere non è mai scontato e i sigilli di Marrakech, Bastad e Umago hanno giocato il loro ruolo per far chiudere l’anno a Darderi da numero 26 del ranking, suo personale carreer high. Probabilmente è questa la sua dimensione definitiva. Ma seppur senza il clamore del coetaneo romano, il terzo turno conquistato a Wimbledon dal ragazzo di Villa Gesell ha dimostrato che qualche germoglio di policromia è possibile. Non esiste solo l’amato rosso, ma c’è speranza anche per qualche altro colore. ROJO DE AMOR.

