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Becker: “Sinner mi chiese di diventare suo coach dopo Piatti…io gli consigliai Cahill”

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Intervistato dalla coppia Mara Gergolet-Gaia Piccardi del Corriere della Sera, in occasione dell’uscita del suo nuovo libro autobiografico, Boris Becker ripercorre la sua vita: i momenti d’oro e quelli in cui ha smarrito se stesso. Il tennis però rimane il capitolo più luminoso, non mancano infatti riferimenti al tennis di oggi e soprattutto a quello che poteva essere suo allievo: Jannik Sinner.

Poteva essere coach di Sinner, potrebbe ancora diventarlo nel post Cahill

Credevo fosse un segreto… Non ne ho mai parlato. È vero. Da lì a due mesi, aspettavo la sentenza di Londra. Ho detto a Jannik: non so come finirà, non posso prendermi l’impegno. Ma non volevo lasciarlo a piedi, gli ho fatto un paio di nomi: uno era Darren Cahill. Per me, il migliore. Darren non smetterà. Quanto a me, ero convinto che Jannik potesse diventare il più forte. All’epoca doveva migliorare il servizio e il gioco di piedi ma era unico, di testa era già un portento. Oggi sono in un’altra fase della vita, la famiglia si allarga, ho un nuovo business. Non voglio stare così tanto on the road e forse il ruolo di coach comincia a starmi stretto“.

Sinner con Becker al suo angolo sarebbe lo stesso o sarebbe un tennista diverso?

Quattro Slam a 24 anni: non credo che avrei potuto fare meglio di Cahill e Vagnozzi. Quando è stato scelto non era famoso, ma pochi capiscono il gioco come Simone. Il successo del team Sinner parla da solo. Ed è incredibile, se si pensa che Jannik gioca seriamente solo da quando aveva 13-14 anni“.

Il doping non esiste, sicuramente non quello di Sinner

Contano testa e personalità, e non conosco droghe che le migliorino. Ce ne sono che aumentano la resistenza e affrettano il recupero. Ma quando sei sulla palla break, sotto 5-4 nel quinto set, voi conoscete un farmaco che permetta di rimanere freddi come il ghiaccio e tirare un ace? Io no. Per tre persone metto la mano sul fuoco: Federer, Nadal, Djokovic. Il doping è lontanissimo dal carattere di Jannik. Mi fido meno di giocatori che magari hanno avuto una sola, straordinaria stagione sul rosso o sembrano fenomenali per due-tre tornei. Cose così puzzano un po’. Ma Jannik è tra i migliori da anni, i pesci grossi vengono testati. Una vita d’inferno: per 365 giorni all’anno devono dire dove dormono, dove mangiano. Metti che sto con una ragazza da Cipriani e arrivano per il test… Folle. L’antidoping oggi è un’enorme restrizione della libertà“.

Sulla scelta di rinunciare alla Davis e le pressioni che vengono richieste per restare al vertice

Ho letto che si è alzato un polverone. Capisco che Nicola Pietrangeli disapprovi. Io la Davis l’ho vinta due volte, nell’88 e nell’89: l’anno seguente non la giocai. Avevo bisogno di una settimana extra di riposo e ritenevo di essermi speso a sufficienza per il mio Paese. Esattamente come Jannik. Tendiamo a dimenticarci che il tennis è uno sport individuale. È maledettamente difficile restare al vertice. Se uno si fa male, la carriera è a rischio. Avete visto Rune: si è rotto il tendine d’Achille. In Italia tutti vogliono un pezzettino di Sinner. Lo invitano a Shanghai, a Riad, a Vienna. Da domenica prossima gli chiederanno di rivincere le Finals a Torino. Non ho mai voluto diventare una proprietà privata della Germania: cercai di proteggermi in tutti i modi. Arrivi a un punto in cui devi per forza dire dei no. Io tornai a giocare la Davis, Jannik farà lo stesso. Non siamo macchine. Non dico che faccia tutto alla perfezione: la comunicazione sulla Davis poteva avere un tempismo migliore, nelle interviste può fare progressi. Ma l’Italia è fortunata ad averlo“.

Sulle nuove generazioni di tennisti

Pretendiamo che questi ragazzi siano maturi, perfetti e invece loro chiedono solo di essere lasciati in pace, con il loro team. Non sanno nulla di politica e, spesso, nemmeno del Paese che rappresentano. Io, al contrario, sono convinto che per avere una lunga carriera si debbano coltivare altri interessi: il tennis, da solo, alla lunga annoia da morire. Quando hai vinto Vienna per la sesta volta, cosa ti cambia la settima? Anche l’entourage di questi ragazzi dovrebbe stimolarli con argomenti che non siano solo dritto e rovescio. Invece, è come se fossero incoraggiati a usare il cervello solo per il tennis: hanno tutto, non devono pensare. E a 30-35 anni, quando non c’è più un coach o il team a risolverti i problemi pratici, non sai nulla del mondo. E ti ritrovi spaesato, fuori dalla bolla. Badate che riguarda tutti gli sport. Ma non è facile rompere la bolla. Non è da tutti. E allargando lo sguardo: questi giovani privi di interessi e curiosità sono gli stessi che, tra dieci anni, saranno imprenditori, politici, gente chiamata a far girare il mondo. Aiuto“.

Wimbledon e la prigione di Wandsworth distano appena tre chilometri, quando il destino si prende gioco di noi

Che follia, la vita. C’è una rotonda quando esci da Londra, da Chelsea, verso sud-ovest e attraversi il ponte. Se vai a sinistra, arrivi a Wimbledon; se vai a destra, arrivi al carcere di Wandsworth. Entrambi a un miglio da quella rotonda. Quando Tom (Fordyce, il coautore del libro, ndr) è venuto a vivere insieme a me e Lilian a Milano per vedermi a casa, sentire la mia inflessione, mi ha detto: ‘Boris, se questo fosse un film di Hollywood, non sarebbe credibile. Ci ho riflettuto a fondo. Perché io, il più giovane campione di Wimbledon di sempre, 40 anni dopo finisco in prigione? Sono sempre stato un bubble breaker. È la mia storia“.

La figura del padre: Herr Becker, il tedesco atipico

Un tipico tedesco dell’Ovest. Però, il suo musicista preferito era Louis Armstrong, un sassofonista nero. E il suo atleta preferito non era Franz Beckenbauer, ma Muhammad Ali. A sei anni, mi svegliava alle due di notte per guardare insieme i suoi match. Non avevo scelta, ero già diverso. Mio padre era architetto, mi ha dato grande libertà. Inutile dire che i miei non hanno mai accettato un soldo da me. Conosco genitori tedeschi che vivono dei guadagni dei figli. Noi eravamo diversi“.

La bancarotta

È stata una vicenda complicata, ma sono felice di potervi spiegare. Il diritto fallimentare nel Regno Unito è molto diverso da quello tedesco o italiano: qui da voi avrei preso una multa. Dunque, c’è un prestito di una banca inglese nei miei confronti, e in cambio avevo dato in garanzia i miei diritti d’immagine. Quel prestito era inoltre garantito da una finca a Maiorca. Non c’era alcun bisogno che la banca si rivolgesse al tribunale, o mi spingesse verso la bancarotta. Due anni dopo la bancarotta, infatti, ho rimborsato la banca fino all’ultimo centesimo. Quel prestito prevedeva un tasso d’interesse del 25%. Il mio avvocato l’avrebbe dovuto notare, io l’avrei dovuto notare, ma ci si affida agli avvocati per questo, no? Però non cerco scuse. Ho fatto errori. Il fallimento è arrivato come uno shock, mentre ero in macchina: eppure, avevo ancora dei redditi, altre proprietà in Germania, a Londra. Ma il danno ormai era fatto, il brand compromesso, le aziende in ritirata“.

La capacità di Agassi di leggere il suo servizio tramite le linguacce tedesche, realtà o fantasia da strapazzo?

Sì, la conosco questa storia. Ma devo dirvi che non è vera. Io adoro Andre, davvero. Ma è nato e cresciuto a Las Vegas, e lì l’immagine è tutto. Ho letto Open, un libro magnifico, ma quel passaggio è, diciamo, in puro stile Vegas. Pensateci, logicamente: quanto è grande un campo da tennis? Come avrebbe potuto vedere la mia lingua a 30 metri di distanza? Ho la bocca grande, ma non vado certo in giro con la lingua di fuori! E poi, fino a un istante prima di colpire la palla, neppure io sapevo dove sarebbe andata. Quindi, spiacente: è una bella favola, simpatica, ma una favola“.

La paura della morte

Dopo otto mesi di detenzione trascorsi in due diverse prigioni, è inevitabile che dover affrontare alcuni spiacevoli incontri in situazioni al limite: “Due volte. La seconda alla fine, quando ormai mi ero organizzato bene. La mia cella era in fondo a un corridoio. Torno dal refettorio, e c’è una persona nuova nella cella del mio vicino e amico, Ike, un gigante muscoloso che godeva di enorme influenza. Non si fa mai: la tua cella è una zona sicura. Così gli dico: ‘hei cosa fai lì?’. Si gira, io ho il vassoio del cibo in mano e comincia a urlarmi, a venirmi addosso. Io rispondo a tono. Per fortuna, in 7 o 8 arrivano alle mie spalle, mi proteggono, non vi dico cosa gli fanno. E mi riportano in cella. Arriva anche Ike, lo conosceva da prima, si scusa per lui. Io sono scosso, me la sono vista brutta. Questo tizio a 18 anni aveva ucciso due persone. Tre giorni dopo, viene in lavanderia dove lavora Ike: cade in ginocchio davanti a me, mi chiede scusa, mi bacia la mano. Gli dico: non serve, qui è dura per tutti. Ho capito solo dopo che l’ha fatto per Ike. Io ero parte di un gruppo rispettato. E occorreva ripristinare il rispetto, o il ragazzo lì dentro non avrebbe avuto scampo. Il carcere è un posto duro, pericoloso, che ha regole proprie. Le prigioni sono gestite dai prigionieri, non dalle guardie. Nessuno ha idea di cosa succeda lì dentro...”.

Il quinto figlio in arrivo, la nuova vita a Milano

Viviamo in un mondo pericoloso, volatile. Dove scoppierà la prossima guerra? Con internet e i social, siamo dappertutto in ogni momento: l’interconnessione ha creato una società molto più aggressiva e radicalizzata, sia a destra che a sinistra. La gente è delusa dai governi. Il gap tra ricchi e poveri si è allargato, ed è peggio perché, con i social, tutti si accorgono di tutto. Servono leader intelligenti per mantenere la pace. Personalmente, sono felice di vivere in Europa. Sono stato in America, in Inghilterra, ma l’Europa è casa mia. Ho giocato bene in questa città, ho vinto il torneo quattro volte; ho vestito sempre brand italiani. Mia moglie è nata a Roma. E avere un altro figlio a questa età mi dà l’opportunità di occuparmene più di quanto io abbia fatto in passato, se Lilian me lo permetterà“.

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