Daniil Medvedev, 21 baci e nessun ritorno
“Lasciano una promessa. Mai più ritornano. In ogni porto una donna attende: i marinai baciano e se ne vanno.”
C’è una poesia di Pablo Neruda che si adatta perfettamente a Daniil Medvedev, una di quelle cose che sembrano scritte appositamente per lui. Ventuno trofei in carriera, ventuno città diverse, senza mai tornare due volte nello stesso porto. Ogni titolo un bacio, unico e irripetibile. Poi via, verso un’altra rotta, un’altra sfida, un’altra promessa.
E l’ultimo porto, quello di Almaty, in Kazakistan, arriva dopo 882 giorni di navigazione a vuoto. Dalla Roma del maggio 2023 – la sua prima e finora unica vittoria sulla terra battuta – fino a ieri quando il russo è tornato a sollevare un trofeo nel circuito ATP, battendo in finale Corentin Moutet per 7-5 4-6 6-3.
Un digiuno lungo 29 mesi
Era dal 21 maggio 2023, giorno della sua sorprendente vittoria agli Internazionali d’Italia, che Medvedev non metteva le mani su un trofeo. Allora aveva appena battuto Rune in finale e sembrava pronto per un nuovo capitolo, forse il più maturo, della sua carriera.
Invece, da lì in poi, un lento declino: finali perse (ben sei), battute d’arresto inattese, una frustrazione crescente che lo ha portato a separarsi dal suo storico coach Gilles Cervara. Nel frattempo, il mondo del tennis cambiava: Sinner e Alcaraz avanzavano, Djokovic continuava a dominare, e lui, Daniil, scivolava ai margini.
A tratti sembrava un campione smarrito, incapace di ritrovare continuità, di ritrovare sé stesso.
Eppure, come spesso accade con Medvedev, la resurrezione arriva nei luoghi più impensati. Almaty, che per molti sarebbe stata una tappa interlocutoria, è diventata la sua rinascita. Non un torneo patinato, non una vetrina mondiale, ma il posto giusto per ricominciare. Ad Almaty, per la prima volta, c’era tutta la sua famiglia. La moglie Daria e le due figlie, Alisa e Victoria.
A Roma, due anni fa, aveva dedicato la vittoria alla primogenita. Stavolta, invece, il pensiero è andato alla più piccola, Victoria, che portava tra le braccia durante la premiazione. “È per lei”, ha detto sorridendo, con una dolcezza che raramente si concede. C’è qualcosa di profondamente umano in questo ritorno. Un uomo che per due anni ha inseguito sé stesso, che ha sbattuto contro i limiti del proprio carattere e del proprio tennis, e che ora, finalmente, sembra aver ritrovato equilibrio.
Il valore romantico e leale di una scelta
Medvedev non ha scelto la città kazaka per caso. Qualche settimana fa aveva ricevuto una proposta più allettante — quella del Six Kings Slam, l’esibizione milionaria di Riad — ma ha preferito mantenere la parola data agli organizzatori kazaki.
Un gesto che, in un tennis dove tutto sembra monetizzabile, sa di antico. Un gesto alla Medvedev, di un ragazzo intelligente, un segno di rispetto e di etica sportiva che va oltre gli eccessi di campo, le baruffe, i comportamenti mentre gioca; un atteggiamento che può stupire chi non conosce questo ragazzo, uno dei più intelligenti di tutto il circuito. Forse anche un segno di umiltà: dopo un periodo così lungo senza titoli, non serviva la ribalta, ma una base da cui ripartire.
E questa base è stata tutt’altro che semplice. A testimoniarlo il percorso nel torneo: tre match su quattro vinti al terzo set, una semifinale sudata contro Duckworth, e una finale di grande intensità contro Moutet, capace di metterlo spesso in difficoltà.
Il russo ha ritrovato solidità al servizio — 69% di punti vinti con la prima, 8 ace — e ha riscoperto la capacità di tenere il campo, di usare le geometrie come lama e scudo. Quando la mente torna a funzionare, anche il tennis di Medvedev torna a essere un meccanismo preciso e implacabile.
21 trionfi, 21 città e la possibilità di replicare per la prima volta
Il dato più curioso — e in qualche modo poetico — è che i 21 titoli di Medvedev siano arrivati in 21 città diverse. Nessuno, nella storia dell’ATP, aveva mai vinto così tanto senza mai replicare nello stesso luogo.
Un record che supera quello di Michael Stich, fermo a 18, e che racconta più di qualsiasi altra cifra il modo di essere del russo: inquieto, inafferrabile, allergico alla ripetizione.
La lista è una sorta di diario di viaggio (rileggi tutte i suoi successi su Ubitennis, cliccando i link di seguito):
Sydney, Winston-Salem e Tokyo nel 2018.
Sofia, Cincinnati, San Pietroburgo e Shanghai nel 2019.
Parigi-Bercy e Londra (ATP Finals) nel 2020.
Marsiglia, Maiorca, Toronto e New York (US Open) nel 2021.
Los Cabos e Vienna nel 2022.
Rotterdam, Doha, Dubai, Miami e Roma nel 2023.
Infine, Almaty 2025.
Ventuno porti, ventuno baci, ventuno promesse.
Ogni volta una pagina nuova, mai un ritorno.
Con il titolo di Almaty, Medvedev risale al numero 14 del ranking mondiale e al 13 della Race, a poco più di 300 punti dalla top ten.
Le prossime tappe saranno Vienna e Parigi, due tornei che ha già vinto e che potrebbero — chissà — infrangere il suo singolare record dei “ventuno porti”, ma soprattutto potrebbero regalargli l’accesso alle ATP Finals, ancora matematicamente possibile a causa del 2025 finito in anticipo per Rune e Draper.
A fine ottobre del 2025, dunque, Daniil Medvedev torna finalmente a sorridere. Non sarà più il numero uno, forse non lo sarà mai più. Ma resta un personaggio unico, un tennista che ha saputo trasformare la diversità in cifra stilistica, l’ostinazione in bellezza, il caos in vittoria. Come i marinai di Neruda, bacia ogni porto e se ne va, senza voltarsi indietro e chissà che un giorno, in qualche città del suo lungo viaggio, non decida di tornare per un secondo bacio. Proprio a Vienna, proprio a Parigi.