Il tennis al limite: il caso Rune riaccende il dibattito sugli infortuni
Durante la semifinale del Nordic Open di Stoccolma, Holger Rune è crollato a terra dopo un tentato recupero, apparentemente innocuo. Il dolore al tallone sinistro è stato immediato, il volto contratto, il verdetto crudele: rottura completa del tendine d’Achille.
Il 22enne danese, che sembrava finalmente aver trovato un po’ di stabilità all’interno del suo team e libero dai problemi fisici, dovrà essere operato già la prossima settimana. Uno stop lungo, di parecchi mesi, che rischia di compromettere anche buona parte della stagione 2026.
“Il mio tendine d’Achille è completamente rotto nella parte prossimale, dovrò essere operato subito e poi iniziare la riabilitazione”, ha scritto Rune nel suo comunicato ufficiale. Una frase che ha scosso il mondo del tennis, sempre più abituato a vedere giovani promesse fermarsi nel momento migliore delle loro carriere. Quest’anno ci sono stati anche gli infortuni importanti di Arthur Fils e Ben Shelton.
Draper: “Il tour deve cambiare se vogliamo durare”
L’infortunio di Rune ha subito riacceso un dibattito che cova ormai da mesi: quello sulla sostenibilità fisica del tennis moderno.
Tra le voci più forti si è levata quella di Jack Draper, uno dei giocatori più talentuosi della nuova generazione, anche lui spesso alle prese con guai fisici e che ha deciso infatti di terminare anzitempo la sua stagione. In un post su X, il britannico ha scritto: “Gli infortuni capitano… stiamo spingendo i nostri corpi a fare cose che non dovrebbero essere fatte nello sport d’élite. Abbiamo così tanti giovani straordinari nel tour in questo momento, e sono orgoglioso di far parte di questo gruppo. Tuttavia, il tour e il calendario devono adattarsi, se qualcuno di noi vuole avere una vera longevità.”
Parole dirette, che fotografano un malessere diffuso. La stagione ATP dura ormai undici mesi pieni, con poche vere pause e continui viaggi tra superfici e continenti. Ogni torneo diventa quasi “obbligatorio” per mantenere il ranking, con poco tempo per recuperare o programmare.
Fritz: “Palline e campi sempre più lenti, il corpo ne paga il prezzo”
All’appello di Draper ha risposto Taylor Fritz, che ha puntato il dito su un altro aspetto: le condizioni di gioco.
“Vediamo più infortuni e burnout che mai – ha scritto – perché palline, campi e condizioni si sono rallentati. Questo rende ogni settimana più faticosa e più dura per il corpo.”
Secondo l’americano, non si tratta solo di giocare troppo, ma di giocare in modo sempre più logorante. Le palline più pesanti e le superfici lente aumentano la durata degli scambi e lo stress articolare:
Le palline fanno una differenza molto maggiore sulla velocità effettiva del campo rispetto alla superficie stessa. Shanghai, lo scorso anno, aveva un CPI (Court Pace Index) molto alto, ma le palline lente che abbiamo usato hanno reso il gioco più lento. Quest’anno le palline erano ancora lente, e in più hanno rallentato anche i campi: è stato brutale. Posso dire con certezza che tutte le palline che usiamo regolarmente — tranne quella degli US Open, usata anche a Toronto e Cincinnati — sono molto più lente e ‘morte’ rispetto a quando ho iniziato la mia carriera.”
Questa dichiarazione ha trovato d’accordo anche Novak Djokovic: “Probabilmente la differenza più grande che noto rispetto a 10 o 15 anni fa: sono le palline“.
Calendario folle, esibizioni e superfici: le accuse e le contraddizioni
La questione infortuni divide profondamente il mondo del tennis.
Da una parte, c’è chi accusa i giocatori di essere incoerenti: molti partecipano a esibizioni lucrative in periodi che dovrebbero essere di recupero, salvo poi lamentarsi di un calendario troppo fitto. Dall’altra parte, però, è evidente che il sistema non offre alternative reali. Sempre Fritz, su questo punto, ha tenuto a precisare:
Capisco quella lamentela. L’unica cosa che sto cercando di dire è che la fatica, lo stress e l’impegno complessivo richiesti da questi eventi non sono minimamente paragonabili a quelli di un torneo del tour. Detto questo, sto comunque rifiutando diversi eventi esibizione che mi pagherebbero bene.”
Saltare tornei significa perdere punti, visibilità e premi. Il ranking ATP premia la continuità e la presenza, non la prudenza.
E così i giocatori si trovano intrappolati in un circolo vizioso: giocare per non perdere terreno, anche a costo di mettere a rischio la propria salute.
A tutto questo si aggiunge un altro problema tecnico, spesso sottovalutato: la varietà estrema delle condizioni di gioco. In poche settimane si passa da indoor a outdoor, da cemento ad erba, da tornei in altura a quelli a livello del mare e poi ancora, umidità e temperature roventi (vedi Shangai quest’anno). Ogni passaggio comporta micro-adattamenti fisici che, sommati, possono portare al collasso.
Poi c’è il tema dei Masters 1000 estesi su due settimane. È vero che questo formato garantisce, almeno sulla carta, un giorno di riposo tra un turno e l’altro — e per alcuni commentatori ed esperti rappresenta un passo avanti verso una maggiore tutela fisica. Ma per molti giocatori la realtà è diversa: significa restare impegnati più a lungo nello stesso luogo, sottraendo tempo prezioso alla preparazione, agli allenamenti mirati o semplicemente al riposo necessario per ricaricare mente e corpo.
Un aspetto che pesa in particolare sui top player, coloro che più spesso raggiungono le fasi finali dei tornei e che, di fatto, trascorrono quasi l’intero calendario annuale tra viaggi, partite e recuperi ridotti.
Un sistema che non ascolta i suoi protagonisti
Il caso Rune e le parole di Draper e Fritz dimostrano quanto sia urgente una riflessione profonda. Ma, come spesso accade, manca una voce unitaria. L’ATP Player Council, che rappresenta gli atleti, fatica a trovare una posizione comune. E le istituzioni del tennis – ATP, ITF, organizzatori dei tornei – sembrano più concentrate su rendimenti economici e audience che sul benessere dei giocatori.
Il paradosso è che, mentre il tennis chiede sempre di più, le carriere si frammentano. Gli stop lunghi si moltiplicano, i ritiri precoci diventano frequenti.