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Laver Cup, Ruud: “I coach non ricevono abbastanza credito per il lavoro fuori dai tornei”

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Casper Ruud è partito col botto. A San Francisco, presso il Chase Center, il 26enne norvegese ha aperto con una vittoria l’ottava edizione della Laver Cup, sconfiggendo in due set il gigante americano Reilly Opelka. Il campione del 1000 di Madrid non ha avuto niente da invidiare al suo avversario per quanto riguarda la prestazione in battuta, che si è rivelata la chiave del suo successo. Di questo e di altro l’attuale numero 12 al mondo ne ha parlato in conferenza stampa ai giornalisti. Di seguito, le sue dichiarazioni.

D: Hai avuto una gran giornata al servizio (54 punti vinti su 64, nessun break subito). Quanto ti senti bene con questo colpo?
Casper Ruud: “Grazie. Sì, il servizio stava decisamente andando. Reilly ha iniziato bene e mi stava quasi per brekkare nel mio primo gioco. Quindi, ho pensato che avrei dovuto servire meglio, sennò sarebbe stata dura. Lui ha un gran servizio e semplicemente in risposta provi a fare del tuo meglio. Ti procuri qualche chance qua e là e devi cercare di trasformarle. Fortunatamente un break (nel primo set, ndr) e un minibreak (nel tie-break del secondo parziale, ndr) sono stati sufficienti. Sono rimasto concentrato e determinato in battuta nel corso dell’intero match.

D: Reilly ti ha definito uno dei migliori battitori. Pensi a te stesso in questi termini?
Casper Ruud: “Sono felice di sentirmelo dire da lui, ma no. Gliel’ho detto a rete che per me una giornata di questo genere al servizio non è normale. Mi piacerebbe lo fosse, ma non lo è. È giusto che io sia onesto e che lo dica. Non penso di aver mai avuto una percentuale di prime palle oltre l’80% e poi essere riuscito a giocare molto bene a seguito di quelle. Ho perso presto allo US Open (al secondo turno contro Raphael Collignon, ndr) e ho quindi avuto qualche giorno in più a casa rispetto a quanti ne volessi. Ho cercato però di utilizzarli per qualcosa di buono, e oggi penso che questo sia stato ripagato nel mio rendimento al servizio”.

D: Cosa ne pensi del coaching? Ti piace da fuori campo o quello che c’è in questo evento, quindi da ancora più vicino?
Casper Ruud: “Essere un coach può essere molto difficile e qualche volta anche piuttosto facile se hai il tuo allievo che gioca in maniera fantastica. Quando però giochi una partita quello che ti può dire un allenatore è limitato. Il vero lavoro tra coach e giocatore avviene nei campi di allenamento nelle settimane dedicate e prima del match che stai preparando. Tatticamente il coach ti può dire delle cose, come anticipare, giocare sul dritto dell’avversario, avvicinarsi alla linea di fondocampo… Però è il tennista che poi deve fisicamente farle.

“Sicuramente ci sono delle cose che io, come tennista, non amo sentire da mio papà o dal mio altro coach, Pedro. Ma ci sono anche altre cose che mi piace sentire invece durante una partita. Ognuno è diverso e necessita di cose differenti. Come coach devi quindi imparare a conoscere e a fidarti del tuo giocatore. Su questo io e mio papà lavoriamo bene. Conosce il mio gioco da quando ho iniziato e ovviamente mi conosce come persona sia dentro che fuori dal campo. Riesce a ricavare il meglio da me e conosce le mie debolezze. Certamente è bello avere altri occhi sul mio gioco da parte di Yannick (Noah, ndr) e Tim (Henman, ndr) questa settimana. Io però credo che il lavoro del coach non riceva abbastanza credito per quel che riguarda le settimane di allenamento e tutto ciò che ne concerne”.

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