Alcaraz sale sul ring e stende Djokovic (Azzolini). Carlos corre (Crivelli). Sabalenka-Anisimova, New York per la rivincita (Sepe). Alcaraz spietato a New York, vuole tutto. Djokovic si arrende (Calandri, Piccardi). Alcaraz spazza via Djokovic in tre set e raggiunge la finale degli US Open (Martucci)
Alcaraz sale sul ring e stende Djokovic (Daniele Azzolini, Tuttosport)
Non ci sono regali per Sinner, l’invito di Carlos Alcaraz è perentorio, vieni in finale (se ci riesci…) e ci giochiamo tutto in un unico match, il titolo dell’ultimo Slam, la supremazia stagionale e il numero uno in classifica. Chi vince fa all-in. Lui è lì che lo aspetta, e sembra quanto mai sicuro di sé. Forse è riuscito anche a cancellare quella brutta sensazione che gli ultimi confronti con Novak Djokovic gli avevano lasciato sotto la pelle, l’idea di non aver ancora trovato l’antidoto per annullare il gioco dell’antico numero uno. Ma la semifinale di questi US Open, che Alcaraz ha fin qui letteralmente divorato, non lascia grandi dubbi in merito. Lo spagnolo ha vinto di forza, con la tranquillità dei nervi distesi, sbagliando pochissimo, mai quando era davvero utile non sbagliare. Nole si è affievolito via via, cercando di aggrapparsi a quei pochi colpi che gli riuscivano vincenti. […] Alcaraz ha fretta. Come Sinner. Vanno subito a mille, i loro primi set sono feroci e valgono come ammonimenti agli avversari. […] Trova subito il vento che gli gonfiale vele, e governa il gioco con i piedi sulla riga di fondo, come farebbe un marinaio esperto, agganciato al pagliolo della barca con le dita dei piedi. Il torneo giocato fin qui gli dà quella sicurezza che per lui è indispensabile, non ha scrupoli nel colpire forte, e lo fa con tutti i colpi a disposizione. Djokovic concede subito il break che può dare forma al primo set, sí fa cogliere impreparato e non è da lui. Alcaraz appare concentrato, sempre sul pezzo. Estrae dalle palline che corrono a capofitto quelle iniziative esplosive quanto repentine capaci di frantumare il palleggio del Djoker. Fa i punti suoi e buona parte di quelli del serbo, attitudine che farebbe risuonare più di un segnale d’allarme, ma Carlitos lo fa con magistrale impudenza, quasi non se ne accorge. Il primo set se ne va su quel break soffiato a Nole quando ancora doveva riscaldare il motore. Ma Alcaraz non gli lascia una palla break che è una. C’è un altro errore che Alcaraz dovrebbe cercare di evitare, quello di pensare che il Djoker sia un avversario disposto a subire. Ma è nella sua indole non dare troppa importanza a chi, o che cosa, ha davanti. È impegnato in un fitto dialogo con gli spettatori, beato tra gli applausi che gli concedono. Il resto gli importa il giusto. E sbaglia… Trentotto anni, di cui 33 trascorsi con una racchetta in mano, concedono al serbo una risposta a ogni possibile quesito un match possa proporgli. Ci prova in apertura della seconda frazione abbassando di dieci centimetri buoni l’altezza dei propri colpi, vuole evitare che lo spagnolo abbia il tempo per caricare la sua spingarda. Alcaraz non inquadra subito la novità e offre a Djokovic un pericoloso break che lo spinge sul 3-0. Carlitos lo riprende subito, torna a forzare i colpi ed è in una condizione di forma ammirevole, ma il rischio è stato grande. En passant, lo spagnolo trova uno dei colpi più belli del torneo, un passante di dritto più simile a uno schiaffetto alla palla, che beffa il Djoker arrembante a rete. Dal 3 pari al tie break il passo è breve. Djokovic va sotto di due mini break e con coraggio li recupera, ma subito ne offre un terzo ad Alcaraz. Due set avanti Carlitos, al Djoker resta solo la strada dei miracoli. Il terzo set viene via senza strattoni, come un frutto maturo. Alcaraz ottiene il break nel quarto game, Nole sembra ormai consumato come un vecchio copertone. Tenta ancora di spingere, il suo tennis è sempre sapiente e organizzato, ma Alcaraz ha un altro incedere. È la terza finale della stagione per Carlitos (settima totale), due le ha giocate con Sinner, a Parigi e Wimbledon, una vinta, una persa. È lui il primo a sperare che la saga possa continuare.
Carlos corre (Riccardo Crivelli, La Gazzetta dello Sport)
Febbre spagnola. Dopo tre anni, Alcaraz torna in finale agli Us Open, lo Slam che nel 2022, con il successo su Ruud, lo tramutò da giovane prodigio con le stimmate della predestinazione a campione affermato, accompagnando la sua ascesa al cielo con il numero 1 del ranking, da più giovane dell’era del computer. La vendetta più dolce: contro Djokovic, aveva perso le ultime due sfide, quella dolorosissima dell’oro olimpico e il quarto di finale nell’ultimo Australian Open, e soprattutto era sempre stato sconfitto nei tre precedenti sul cemento. Ma questo è un altro Carlos anche solo rispetto a gennaio, fortemente focalizzato su se stesso e meno farfallone, e dall’altra parte i 38 anni del Djoker,il suo fisico segnato da mille battaglie, il leggendario timing sulla palla lievemente calato non gli consentono più di imporre la sua legge alla fenomenale gioventù imperante dei due dominatori. […]. Per Carlitos, intanto, arriva la terza finale Major in stagione dopo Parigi e Londra (6-4, 7-6, 6-2), la settima in carriera (e solo Borg e Nadal ne avevano raggiunte di più, 8, alla sua età) e l’ottava complessiva nel 2025: e poi davanti alla tv si sarà goduto la sfida tra Sinner e Auger-Aliassime che ha designato il suo sfidante, domani alle 20 ora italiana, un infuocato pomeriggio newyorkese. Nuovo corso. L’avvio di primo set è la fotografia del nuovo Alcaraz, quello che paradossalmente ha saputo alzare i giri del suo talentuoso motore non appena Jannik si è avvicinato al rientro dopo la squalifica, quasi che l’assenza forzata dell’arcirivale, obbligandolo per forza a vincere, gli avesse sottratto energie e motivazioni: subito concentrato e lucido, strappa il servizio al Djoker già nel primo game, confermando pure i progressi alla risposta. Dall’immediata posizione di vantaggio, Carlitos, che in tribuna riceve il tifo di Sergio Garcia, il connazionale ex grande golfista con cui ha giocato qualche buca nel giorno di riposo, può così controllare il ritmo e i momenti della partita, spingendo con il suo servizio e aggredendo con ferocia i colpi a rimbalzo, magari seguendoli a rete, per non dare a quel fenomenale contrattaccante che ha di fronte il tempo di organizzare la sua mortifera ragnatela. Incamerato il primo set, snodo cruciale per costringere Nole a una partita lunga se vorrà coltivare speranze, il n.2 del mondo però stacca l’interruttore: poche prime in campo e tanti errori gratuiti, soprattutto con il dritto; e nel secondo game del terzo set, grazie a un paio di miracoli in difesa, Novak ottiene il break. Perderà il vantaggio nel quinto game, ma sostenuto dal tifo del pubblico, estasiato dal vecchio leone, resta dentro la partita fino al tie-break: lì, in una sagra degli errori evidentemente dominata dai nervi, Carlos ne commette di meno, ci aggiunge un paio di prodezze e sostanzialmente sigilla il match. Dirà Nole: «Sui 5 set non posso più competere con Sinner e Alcaraz, voglio ancora giocare gli Slam ma ci devo pensare». Due doppi falli di Djokovic consegnano allo spagnolo il break del 3-1 nel terzo set e sostanzialmente la finale, cui Alcaraz approda senza aver perso ancora un set: «È una bellissima sensazione tornare a giocareunapartita per il titolo in questo torneo, non è stata la mia miglior prestazione di queste due settimane, ma sono stato bravo a mantenere un livello costante dal primo all’ultimo punto.Sapevo che sarebbe stata una partita in cui dovevo anche imporre la mia fisicità e servire bene contro il più grande
ribattitore della storia, credo di essere riuscito a fare bene entrambe le cose». Carlos Secondo re di Spagna.
Sabalenka-Anisimova, New York per la rivincita (Antonio Sepe, Il Corriere dello Sport)
Dal Centrale di Wimbledon all’Arthur Ashe di New York. A distanza di due mesi, Aryna Sabalenka e Amanda Anisimova tornano ad affrontarsi – stasera alle 22 ora italiana (diretta SuperTennis e Sky Sport Tennis) su uno dei palcoscenici più importanti del mondo del tennis. Quella sui prati londinesi fu la semifinale, che la statunitense vinse in tre set prima di subire un doppio 6-0 in finale. Allo US Open, invece, la posta è ancora più alta perché in palio c’è il titolo. PERCORSO. Non sorprende vedere in finale Sabalenka, che oltre a essere la numero uno al mondo è anche la campionessa in carica del torneo. Per lei si tratta della terza finale consecutiva allo US Open e addirittura della sesta di fila negli Slam sul cemento. Reduce da un successo in rimonta per 4-6 6-3 6-4 ai danni di Jessica Pegula, andrà a caccia di ciò che ancora non le è riuscito quest’anno: vincere un Major.[…]. In pochi avrebbero invece scommesso su Anisimova, soprattutto per gli strascichi emotivi che si temeva potesse lasciare il ko a Wimbledon. Nella sua vita, però, l’americana è riuscita a superare traumi ben più grandi – su tutti la morte di suo padre, scomparso nel 2019, pochi giorni prima dello US Open – e per il secondo Slam consecutivo ha raggiunto la finale. L’ha fatto peraltro battendo due ex numero uno: nei quarti quella stessa Swiatek che l’aveva sconfitta a Londra, mentre in semifinale la rediviva Naomi Osaka al termine di una battaglia di tre ore, finita ben oltre la mezzanotte, con il punteggio di 6-7 7-6 6-3. «A Wimbledon ogni vittoria mi sorprendeva, mentre qui credo di più in me stessa e sento di potercela fare» ha dichiarato Anisimova, che intanto si è assicurata il best ranking di numero 4. PRECEDENTI. Le due finaliste si sono affrontate nove volte in carriera e Anisimova conduce 6-3 nei confronti diretti. 1-1 invece il bilancio delle sfide nel 2025: sconfitta al Roland Garros, Amanda si è presa la rivincita poche settimane dopo a Wimbledon, confermando che Sabalenka è un’avversaria che affronta volentieri. Non a caso è la giocatrice contro cui vanta più vittorie nel circuito. L’americana non ha però mai vinto uno Slam, mentre Aryna ne ha già tre in bacheca. […].
(In aggiornamento)