US Open, Sinner: “Così ho annullato il servizio di Bublik”. E Sasha: “Jannik generato dall’AI”
Alexander Bublik si era presentato in campo contro Jannik Sinner come uno dei due soli tennisti capaci di battere l’azzurro negli ultimi dodici mesi. Era successo sull’erba di Halle, il primo torneo di Jannik dopo la crudele sconfitta nella splendida finale del Roland Garros. Poi l’azzurro avrebbe vinto Wimbledon, mentre il kazako sarebbe stato eliminato al primo turno da Munar. Sasha è andato poi a rifarsi sulla terra battuta di Gstaad e Kitzbuhel e, saltata la coppia di Masters 1000 nordamericani, era arrivato al confronto di lunedì sull’onda di undici vittorie consecutive.
C’era poi da considerare la prestazione un po’ arrugginita di Sinner contro Denis Shapovalov, anche se non ogni giorno si può essere al 100% – tutt’altro, e ciò vale per chiunque, con la differenza che non tutti devono mettere costantemente in campo una prestazione tecnica, mentale e atletica da élite mondiale sotto gli occhi di milioni di osservatori. Come se ciò non bastasse a creare qualche preoccupazione tra i tifosi del numero 1 del mondo che, forse scaramanticamente, non davano troppo peso alla differenza tra l’erba duesutré e il duro tresucinque, c’era il fatto che nei primi tre turni Bublik aveva ceduto il servizio zero volte.
Passino i primi due avversari, il campione Slam Marin Cilic e l’australiano Schoolkate, ma quello del terzo turno era Tommy Paul. Lo statunitense è il secondo migliore per percentuale di game vinti in risposta sul duro nell’ultimo anno e in cinque set non ha mai strappato il servizio al kazako. Vabbè, forse un set arriva al tie-break – recitavano le più ottimistiche previsioni – e lo vince Jannik. Pronti-via e in due minuti a Sinner riesce il break che per tre ore e trentotto aveva invano inseguito Paul, il secondo miglior ribattitore ATP. Secondo dopo Sinner, chiaro (31,4% contro 30,9%, non un abisso, eppure). Già dopo i primi due punti, va detto, l’impressione che la palla uscisse dalle corde azzurre in ben altro modo rispetto alla sfida precedente cominciava già a divenire certezza.
Dopo il match, Bublik ha commentato il post dello US Open sulla vittoria di Jannik con una sigla: IA. Il riferimento è a quanto detto subito prima della sfida rispondendo a chi gli domandava cosa rendesse Sinner un avversario così difficile da affrontare: “Be’, tutto. È come un giocatore generato dall’intelligenza artificiale“.
E fin qui, tutto nella norma – si fa per dire, perché in realtà è piuttosto il contrario. La prima domanda però è: com’è possibile che quella irrisoria differenza dello 0,5% nelle percentuali di Jannik e Paul in risposta si sia trasformata in un abisso? Probabilmente perché parliamo di medie, ci sono nostre giornate particolarmente buone e altre meno, e c’è l’avversario che è lo stesso ma non è detto che sia… lo stesso, soprattutto se nel match precedente è stato in campo cinque set. Tuttavia, alla fine Sinner rimane il migliore in risposta da oltre un anno e mezzo e adesso abbiamo semplicemente bisogno di qualcuno che ci sveli il trucco, così da scattare (con calma) dal divano al campo e fare lo stesso senza passare dal via. E, ça va sans dire, quel qualcuno dev’essere Sinner.
Intervistato dalla ESPN, Jannik esordisce spiegando che “sentivo di leggere il suo servizio molto bene. Lui non serviva come al solito, a volte non trovava gli angoli e ne ho approfittato“. Insomma, ammette che molto è dipeso dall’avversario, ma viene incalzato; “Non solo contro Bublik bensì in generale, qual è la cosa più importante della tua risposta?”. “Pregare e sperare…” prova a rispondere ridendo, ma la giornalista per fortuna non ci sta: “No, fai molto di più che tirare a indovinare, non me la bevo”. “Sento di essere migliorato parecchio guadando altri rispondere” spiega allora il nostro.
“Novak è il migliore in quell’aspetto del gioco. Carlos risponde in modo fantastico eppure è sottovalutato perché non parliamo abbastanza della sua risposta. Quello che cerco di fare io è vedere piccole differenze quando lui serve esterno, alla T, se gira leggermente di più le spalle, dov’è il lancio di palla, chiaramente la priorità per un buon servizio. Anche cercare di prevedere un po’, per esempio dove aveva servito prima sul 30 pari e dove può servire adesso, gioco percentuale. E poi cercare di avere un gran tempo sulla palla, di solito io ho un buon timing e questo aiuta”.
Quindi, non c’è alcun trucco, non uno nuovo almeno: è sufficiente osservare e accorgersi delle differenze minime tra i diversi servizi che l’altro ti spara. E, d’altra parte, meno percettibili sono queste differenze, vale a dire quanto più rimangono invariati lancio e posizione delle spalle, migliore è la resa del servizio, anche se non fa un buco per terra.
Jannik spiega anche di un problema che aveva in risposta sulla terra battuta e per questo assumeva una posizione di partenza molto laterale: “Non riuscivo a trasferire l’inerzia dallo split step alla palla. Sentivo che con quella posizione di partenza piuttosto di lato era come un normale colpo al rimbalzo e mi ha aiutato molto. Poi ovviamente l’abbiamo cambiata perché sull’erba non vuoi avere tutto quel trasferimento in avanti, potresti scivolare”.
Quando gli chiedono se Cahill abbia mai tirato fuori un video di Andrea Agassi da studiare, Sinner risponde negativamente perché, dice, “era super aggressivo, ma adesso il tennis è così veloce che a volte devi solo bloccare la risposta e con il rovescio a due mani è piuttosto facile, un piccolo vantaggio per i bimani”. L’appuntamento è allora per mercoledì notte per il derby contro Lorenzo Musetti. Il monomane Lorenzo Musetti.