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Rassegna stampa – Un eccezionale Musetti supera agevolmente Munar

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Musetti fulmina Munar e serve la grande bellezza (Daniele Azzolini, Tuttosport)

La prima metà del derby ha il volto pacato e gentile di Lorenzo Musetti, papà di Ludovico a 22 anni (ma dalle sue parti, a Carrara, “babbo…”) e in attesa di un secondo figlio ora che ne ha 23. Pacato nell’aspetto, sì, ma solo in quello. In realtà, una furia ieri sul campo. […] Colpevole di che cosa, Munar? Sorvolando sulla mise sbracciata rubata al corredo del suo mentore, che a lui – di taglia tracagnotta mezza forte – sta come un paio di bermuda nel quale avessero calato un tipo alla Claudio Villa, sopra ogni altra quella di non avere i requisiti tecnici per opporsi al Musetti definitivo, sbocciato quest’anno tra prove d’autore che gli sono valse uno dei primi tre posti nella classifica dei migliori su terra rossa (la finale a Montecarlo, le semifinali a Madrid, Roma e Roland Garros) e un posto fra i primi dieci nell’élite mondiale. Non averli e non fare molto per fornirsene, che è colpa anche più grande. Così, il match ha retto sui tentativi disperati di Munar di scalfire l’ordinato procedere del tennis dell’italiano, con colpi sempre più strappati e violenti e un serio rischio per gli spettatori delle prime file. Ai quali Lore si è opposto con calma e discernimento, senza però rinunciare a incrementare il peso dei suoi, e a rendere le geometrie sempre più fantasiose e per il suo avversario imperscrutabili. Ed è sbocciata d’incanto la grande bellezza di Musetti, sempre più sicuro di se stesso, sempre più rapido e implacabile, sempre più incomprensibile nei contropiede, negli appostamenti a rete, nei cambi di direzione, fino a gareggiare nel tiro alle righe, colpite a ripetizione, quasi fosse un passatempo con cui dilettarsi nell’attesa che Munar si trasferisse a rete per la stretta di mano conclusiva del match. […] I primi quarti di Lore agli US Open. Una vittoria che lo spinge a 40 punti dal numero 8 De Minaur, vittorioso con agio su Riedi, e lo riporta nei primi otto della Race, destinazione ATP Finals a Torino, con ottanta punti più di Jack Draper, ritiratosi dallo Slam di New York per un problema al braccio e chissà se in grado di affrontare subito la campagna cinese. Quarto italiano a raggiungere il quinto turno dello Slam dei Laghi Scintillanti, dopo Barazzutti, Berrettini (tre volte), e Sinner (due). Il match non c’è stato, come si può immaginare. Munar se n’è tornato a casa con quattro game appena nella sporta. Poca cosa, in una sfida per i quarti… Lorenzo ha servito bene (sette ace) e i miglioramenti provocati dal cambio di posizione delle gambe (serviva a piedi uniti, ora carica una gamba e scarica sull’altra), e ha giocato a lungo senza sbagliare un colpo. «Una bella sensazione, quando capita ti senti come avvolto in una magia. Ma l’importante è che ho giocato bene, ho fatto le cose giuste, le scelte giuste. Ho sempre creduto di poter giocare bene anche sul cemento, finalmente qualcosa mi è scattata dentro. Non avevo grande fiducia all’inizio di questi Open, venivo da sconfitte evitabili ed ero un po’ triste. Ma adesso lo scenario è cambiato». L’altra metà del derby tocca a Sinner darla. Match notturno, stamattina saprete tutto dal sito di Tuttosport. Se Sinner batte Bublik si avvia al suo ottavo quarto di finale consecutivo. Con una convinzione in più: con Musetti sarà un match tutto da giocare.

Musetti entra nel club dei grandi, la classe ritrovata sul cemento (Gaia Piccardi, Corriere della Sera)

[…] In assenza del mare, Lorenzo Musetti ricrea a New York l’ecosistema che gli permette di ritrovare se stesso: grazie alla masterclass sul cemento con lo spagnolo Munar, diventa il terzo italiano dopo Berrettini e Sinner a raggiungere i quarti sulle quattro superfici Slam. Novak Djokovic e Carlos Alcaraz, possibili avversari in semifinale venerdì, sono l’ossimoro di questo US Open avviato alla stretta finale: uno è il più anziano a raggiungere i quarti in tutti i Major stagionali a 38 anni e 94 giorni, l’altro il più giovane a collezionare 13 quarti Slam nell’era Open a 22 anni e 3 mesi. Il riferimento del Djoker è Jimmy Connors, che qui nel 1991, 39enne e proveniente da un infortunio, si regalò una galoppata fino alla semifinale: l’impresa si meritò un documentario di ESPN. Carlitos ha altre priorità: giocare a golf nei giorni liberi per liberare la mente, andare a caccia di buoni ristoranti italiani a Manhattan — dove per due volte ha casualmente incrociato Jannik Sinner —, far scomodare le celebrities della costa Est che si spingono a Flushing per fare l’esperienza-Alcaraz. Vieni, vedi, stupisciti: gli zero set perduti in quattro turni autorizzano a pensare che il ragazzo di Murcia sia in modalità on. «Sto riducendo gli alti e bassi — dice lui —, riesco a rimanere concentrato. Sono fiero dei progressi». […] La parte bassa del tabellone è monopolizzata dal loro carisma: adesso sono problemi dell’americano Fritz (che con il serbo ha perso tutti e dieci i confronti in carriera) e del ceco Lehecka, che a marzo ha battuto lo spagnolo a Doha. Per Belzebù, New York è l’ultimo urrah (quante volte lo abbiamo già detto?): la prospettiva di conquistare il titolo Slam n.25 è la linfa che tiene in vita Djokovic, negli USA senza famiglia. I figli sono a scuola, aver mancato il compleanno della piccola Tara è il carburante che lo motiva: «Immaginate quanto soffra ad essere lontano… L’US Open potrebbe essere la giusta ricompensa». Nelle intercapedini degli incontri, il Djoker offre contenuti social al torneo incontrando attori (Ben Stiller) e campioni di altri sport (il golfista Rory McIlroy). A lui ci si avvicina come a una reliquia, ad Alcaraz come fosse uno show di Broadway. Carlitos racconta di essere impegnato a colmare le lacune della sua cultura pop: «Sto guardando vecchi film, Pulp Fiction, L’attimo fuggente, forse non della mia generazione ma grandi classici. Mi piacciono, mi lascio ispirare». Capitano, mio capitano. I quindici anni di differenza non si sono avvertiti negli ultimi incroci tra questi due fenomeni: sia a Parigi nella finale olimpica che a Melbourne nei quarti dell’Australian Open, Harry Potter è caduto nella trappola del Djoker, che down under era pure infortunato però ha imbastito un capolavoro di tattica che ha mandato in confusione lo spagnolo. Ritrovarli così avanti nell’ultimo Major della stagione, insieme al nuovo Musetti da cemento, ripropone la narrazione di un tennis svecchiato dopo tre lustri di dominio dei Big Three (contribuisce anche Lorenzo, con i suoi 23 anni), rinnovato come un albero che ha cambiato tutte le foglie. Tutte, tranne una: il satanasso di Belgrado che si ribella a un mondo in rapida trasformazione, costantemente minacciato dalla canna fumante delle giovani pistole. E poi? «Poi vorrei andare a cena con Federer e Nadal, per sapere come preparavano i match contro di me…». Il più leggendario paga il conto.

Alcaraz Speedy Gonzalez, è una vita a suon di record (Daniele Azzolini, Tuttosport)

Addentrarsi nel campo dei record di Carlitos è un’impresa a rischio: c’è sempre la possibilità di calpestarne uno […]. Sulle pagine a lui dedicate dal Guinness, vengono celebrati ormai buona parte dei record di gioventù da che il tennis s’è fatto Open. Mi sono sempre chiesto che effetto gli faccia, il comporsi di queste pagine di Storia che lo riguardano così da vicino. Forse Alcaraz non è tipo da dargli troppo peso, se ho capito qualcosa della sua indole, più esposta, mi sembra, ai piaceri del momento, al gusto di un bel colpo appena eseguito, e all’applauso entusiasta del pubblico, quello sì il godimento più puro del suo essere tennista. Non mi dette l’impressione, a dirla tutta, nemmeno di avvertire i gravami di una conquista così impegnativa e stressante come l’ascesa al soglio tennistico ad appena 19 anni, quando vinse il suo primo Slam (gli US Open, guarda caso) nel 2022. Il più giovane, anche in quel caso. E nemmeno di poco: due anni prima di Sampras (21 anni), tre di Federer e Nadal (22), cinque di Djokovic (24). Al punto che valeva la pena chiedersi, a costo di sembrare in controtendenza con i peana che giungevano al nuovo “pibe de oro” da tutto l’orbe tennistico, se non fosse troppo presto per dotarlo di una corona da reuccio e affidargli il compito di guidare il nostro sport. Ma era una scelta obbligata, alla quale l’anno dopo si sarebbe agganciato Jannik Sinner, campione di continuità, finalmente in grado di tenere banco tra i grandi, risucchiando come in un vortice i molti che lo avevano sconfitto nei primi passi per le vie malsicure del Tour. Un percorso a due, per alcuni aspetti simile a quello tracciato dalle coppie più celebrate tra i campioni primigeni: da McEnroe e Borg, da Becker e Edberg, da Sampras e Agassi, e da Federer e Nadal, di sicuro i più vicini – e non solo per i tempi – alla fioritura dei due “opposti che combaciano” nella versione tennistica dell’attuale decennio. Si è creato un dualismo di cui i SinAl hanno dovuto prendere felicemente atto, ritagliandosi un ruolo sempre più preciso all’interno della coppia. Di fatto continuando a fare ciò che meglio riesce a entrambi: giocare, il più delle volte alla grande, e vincere, spesso a mani basse. Così, anche l’ultimo record in ordine di tempo stabilito dallo spagnolo, proprio in questi US Open, continua a riguardare il settore dei primati di gioventù. Alcaraz è il più giovane ad aver raggiunto tredici quarti di finale nei tornei del Grand Slam. C’è riuscito, battendo Rinderknech, a 22 anni e 3 mesi (copio e incollo dal sito ATP, così sapete con chi prendervela nel caso vi siano errori), e precede signori del tennis quali Becker (22 anni e 9 mesi), Borg (22 e 11), Wilander (23 e 9 giorni), Djokovic (23 e 30 giorni) e Nadal (23 e 2 mesi). Record sui quali Carlitos non fa una piega. […] Il suo interesse, piuttosto, si è riversato tutto sugli applausi ricevuti dopo pochi game contro Rinderknech, per uno straordinario passante giocato dietro la schiena su un colpo ravvicinato del francese. Lì Alcaraz si è sciolto, blandendo il pubblico e chiedendo la standing ovation. Questo è il tennis che piace all’Alcaraz senza scalpo, che viene da una stagione con 59 vittorie e sei sconfitte, […] tre di queste gli US Open gliele propongono in questo finale di torneo. A cominciare da Lehecka (2-1 i testa a testa), che l’ha battuto sul cemento di Doha per poi rivederlo sull’erba del Queen’s, avversario nei quarti a New York. Poi il Djokovic in crescendo, che l’ha superato agli Australian Open dopo averlo battuto nella finale olimpica di Parigi, finita in lacrime per Carlitos. Infine Sinner, vincitore sull’erba di Wimbledon. Tre ostacoli duri, per un finale di torneo faticoso e imprevedibile. Forse ha ragione McEnroe quando dice che un Alcaraz al 100% probabilmente è imbattibile, ma se cala al 99%, Sinner lo batte.

Riedi stop, ma la favola è appena cominciata (Daniele Galosso, Tuttosport)

Il lieto fine non ci sarà. O semplicemente, forse, c’è già stato. Quel che è certo, in ogni caso, è che nessuna sconfitta potrà togliere l’etichetta di “favola” alla cavalcata compiuta dallo svizzero Leandro Riedi, numero 435 al mondo arrivato addirittura alla seconda settimana in questi US Open. […] Se sorprende che un giocatore fuori dai migliori 400 al mondo si sia spinto fino agli ottavi di uno Slam, altrettanto non si può dire conoscendo nome e cognome del soggetto in causa. Già, perché l’elvetico classe 2002 è stato uno dei principali protagonisti del circuito Junior, centrando anche una finale del Roland Garros a livello giovanile. E poi? E poi Riedi è stato bersagliato dalla sfortuna: prima una scheggia ossea nel ginocchio destro che ha richiesto un intervento chirurgico, poi un serio problema al menisco durante la riabilitazione. […] A mettere le mani sul suo delicato fisico è stato, però, il professor Biedert, il medico di fiducia di sua maestà Roger Federer. E da quel momento è cambiato tutto. Lo svizzero, lasciati alle spalle i guai fisici, è tornato a lavorare con un piglio inedito, con più metodo e anche con maggior attenzione alla dieta alimentare. Ingredienti di una imperiosa risalita che gli hanno permesso di entrare per la prima volta in tabellone a Flushing Meadows, di passare un turno dopo l’altro e, ora, di fare anche ritorno nella top 200 mondiale, dopo essere già stato numero 126 prima del lungo stop. La qualificazione nel main draw, antipasto del suo clamoroso agosto a stelle e strisce, era già arrivata a Wimbledon. Ma è agli US Open che si sono materializzate le prime tre vittorie in carriera a livello Slam; vittorie degne di una vera e propria fiaba sportiva. A partire dal successo di secondo turno sull’argentino Cerundolo, dopo l’acuto sullo spagnolo Martinez e prima del passaggio del turno per ritiro del polacco Majchrzak. Riedi, di fronte all’insidioso argentino, si è rialzato da una situazione pressoché compromessa, sotto di due set e pure di un break, trasformando quel 3-6 4-6 0-2 nel più bel successo della sua carriera. Almeno finora, s’intende. «Amo il gioco di Sinner; cerco di avere uno stile simile al suo», ha ammesso l’elvetico negli scorsi giorni. Il volo di Riedi negli USA, lui che in una famiglia di assistenti di volo è nato, unico in casa a non aver proseguito nella tradizione inaugurata dai genitori e portata ora avanti dalla sorella, si è fermato così, ieri, di fronte a De Minaur. Ma un nuovo decollo è già dietro l’angolo.

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