Us Open, Djokovic vittoria e preoccupazione: “Iniziato benissimo il match, poi sono stato male”
La marcia di Novak Djokovic allo US Open 2025 inizia con un successo netto sul giovane americano Learner Tien, regolato in tre set: 6-1 7-6 6-2. Una partita che, a prima vista, sembrerebbe confermare la superiorità dell’ex numero 1 al mondo, ma che in realtà ha lasciato qualche punto interrogativo nella testa del serbo:
“Ho iniziato benissimo. Giusto venti minuti per chiudere il primo set, mi sentivo molto bene; poi, all’inizio del secondo, dopo alcuni game lunghi, ho cominciato a sentirmi improvvisamente male fisicamente. Non so spiegarmi bene perché. Sono rimasto sorpreso anch’io da quanto stessi male”.
Una sensazione inaspettata per uno che ha fatto del controllo del corpo la sua arma segreta. Non un avversario ingiocabile dall’altra parte della rete, ma il proprio fisico a tradirlo: “Abbiamo giocato scambi lunghi, ma la verità è che ho abbassato il livello. Ho fatto troppi errori gratuiti e l’ho fatto rientrare in partita. Alla fine sono contento di essere riuscito a resettarmi dopo il secondo set, perché nel terzo sono tornato a controllare la situazione e ho chiuso la partita”.
Gli scambi lunghi: un campanello d’allarme
Djokovic non cerca alibi, ma nemmeno nasconde la realtà. Se da un lato la vittoria gli permette di archiviare senza drammi il primo turno, dall’altro apre una finestra di incertezza. “Ci sono aspetti positivi, ma anche cose che spero non si ripetano. Il modo in cui mi sono sentito nel secondo set fisicamente non deve accadere. Perché se succede di nuovo, la vita in campo diventa molto più difficile. È positivo che adesso abbia due giorni di pausa, ma un po’ di preoccupazione c’è”.
Alla domanda sulle condizioni fisiche, Djokovic ha escluso problemi specifici: “Non ho alcun infortunio, non è quello il punto. Ho semplicemente fatto tanta fatica a reggere gli scambi lunghi e a recuperare tra un punto e l’altro. Non so davvero spiegarmi perché”. In sala stampa, si prova a collegare quella difficoltà a una piccola vescica al piede. Novak sorride, ma chiarisce subito: “Non stavo parlando della vescica quando ho detto che non mi sentivo bene. La vescica mi ha dato fastidio per un po’, ma non è un problema. Non mi preoccupa affatto. Quello che mi ha colpito è stato il mio recupero negli scambi lunghi, non la vescica”.
Una precisazione che fotografa bene l’approccio del campione serbo: nessuna voglia di drammatizzare, nessuna scusa da costruire, solo un’analisi precisa delle sensazioni provate sul campo.
La tensione della prima notte americana
Djokovic ha poi sottolineato un altro aspetto: l’atmosfera. Non un dettaglio, quando si parla di una night session allo US Open, in uno stadio pieno, con un giovane americano dall’altra parte. “Era la mia prima partita ufficiale dopo sei settimane. Giocare una night session contro un giovane americano, con tutta la tensione che c’era, ha reso tutto più complesso. Dovevo consegnare il mio miglior tennis. Nel primo set ci sono riuscito, nel secondo è stata più una questione di sopravvivenza in campo”. E qui emerge la sostanza di Djokovic, la capacità di trovare sempre una via d’uscita: “Nei momenti importanti ho sempre messo una palla in più in campo di lui, e questo ha fatto la differenza”.
Djokovic e l’amore per le lingue: «Più lingue conosci, più vali»
La conferenza stampa ha poi virato in direzioni meno attese. A Djokovic è stato chiesto delle lingue parlate dai giocatori, con riferimento ad Anna Blinkova, che ne conosce sette. La sua reazione è stata immediata e divertita: “Quindi ho una rivale sul circuito. Non so quante lingue parlo davvero, dipende da cosa intendete per “parlare”. Non sono fluente in tutte, ma riesco a comunicare, a cavarmela per orientarmi nei Paesi. Credo di essere vicino a quel numero. Ho sempre avuto una grande passione per le lingue”. Poi il discorso si è fatto più profondo, quasi culturale: “Da noi c’è un detto: più lingue conosci, più vali. Il significato è che, se ti sforzi di parlare la lingua di un altro, ricevi rispetto. Io ho sempre amato questo concetto. Mi piace quando una persona prova almeno a dire qualche frase nella tua lingua. Viene accolta in modo diverso, viene trattata meglio”. Non solo teoria, ma anche progetti concreti: “Vorrei imparare il greco, il russo, migliorare ancora il mio spagnolo. Ho ancora diversi anni davanti a me per dedicarmi anche a questo. Il tennis, essendo così globale, ti permette di incontrare persone da ogni parte del mondo. È un privilegio poter imparare e comunicare in più lingue”.
L’abbraccio Serena–Maria e la sfida impossibile
Il momento più emozionante della conferenza è arrivato quando un giornalista gli ha chiesto della presentazione di Maria Sharapova nella Hall of Fame da parte di Serena Williams. Djokovic ha annuito e si è lasciato andare:
“È stato un momento bellissimo. Sì, anche sorprendente. Hanno avuto una rivalità molto intensa e hanno giocato partite incredibili negli anni, ma credo che entrambe siano state sincere nei loro discorsi. Serena ha detto una cosa vera: tutti pensavano fossero distanti anni luce, ma in realtà erano molto simili, perché volevano la stessa cosa e hanno combattuto sullo stesso tour per tanti anni”. Parole di grande rispetto, seguite da un riconoscimento a entrambe: “È stato meraviglioso. Maria lo merita: campionessa incredibile e icona fuori dal campo, con il brand e tutto ciò che ha costruito. E vedere Serena ancora attorno al tennis è fantastico. Ci manca”. Poi, come spesso accade nelle conferenze di Novak, l’uscita che fa sorridere: “Serena non si è mai ritirata ufficialmente. La invito, anzi la sfido a tornare. Perché lei è una competitor nata: quando qualcuno la sfida, non dice mai di no. Quindi io la sfido: Serena, torna sul tour il prossimo anno”.
Un esordio che lascia spazio a riflessioni
Alla fine, Djokovic ha sintetizzato così la sua serata newyorchese: “Era importante rompere il ghiaccio, entrare ufficialmente nel torneo. Ho avuto le mie difficoltà, ma nei momenti importanti ho saputo esserci. Ora guardo avanti con fiducia”. Una frase che sembra chiudere il cerchio del match: da un lato le difficoltà fisiche, dall’altro la certezza di poterle gestire. Da un lato la tensione della prima partita, dall’altro la consapevolezza di averla superata e la voglia di continuare a meravigliarsi, meravigliando consapevoli che sì, Djokovic è ancora in grado di dire la sua. Autorevolmente.