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Swiatek torna sul caso doping: “Piangevo e non sapevo cosa fare. La psicologa è stata fondamentale”

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Raccontare e sapersi raccontare. Wimbledon ha incoronato una nuova regina, ma il successo ai Championship vale molto di più di una coppa dorata per Iga Swiatek. La polacca ha sfatato il tabù che la vedeva mai vincente sull’erba nel palcoscenico più importante al mondo e non potrebbe essere più sollevata, osiamo dire pacificata, dopo un periodo sicuramente non semplice dovuto a vicissitudini spinose come il caso doping. Tra numeri uno ci si intende, così la sei volte campionessa Slam si è aperta e confidata come ospite nel podcast di Andy Roddick.

Sono tanti i temi toccati nell’intervista concessa all’ex campione americano dove Swiatek, tra il detto e non detto, rivela quali accorgimenti ha apportato per rendersi più competitiva su una superficie sino ad allora ostile e cosa abbia significato per lei perdere la testa del ranking mondiale. Al di là degli aspetti legati meramente al gioco, meritano particolare attenzione i passaggi, come accennato, dove la ventiquattrenne di Varsavia si soffermi sul delicato tema della salute mentale, a volte taciuto ad altissimi livelli agonistici, e di come fare outing possa aiutare.

D: Parlando di tennis, quali aggiustamenti hai fatto quest’anno che ti hanno aiutata a vincere Wimbledon, considerando che l’erba non è sempre stata la tua superficie preferita?
Iga Swiatek: “È difficile, perché da una parte vorrei spiegare tutto, ma dall’altra non voglio svelare troppo! In sostanza, ho iniziato a servire meglio. Dopo due mesi di allenamento, sono stata “costretta” a servire di più da certi lati, da destra al centro e da sinistra sul rovescio. Non mi piacevano quelle direzioni prima, pensavo di dover servire piatto e mi sembrava rischioso. 
Avevo bisogno che qualcuno mi facesse provare, e ho preso fiducia vedendo che potevo servire in tutte le direzioni con velocità e precisione. A dire il vero, già in Australia stava andando meglio, ma come in ogni processo, ci sono alti e bassi. A Wimbledon, le palle erano più pesanti e mi sembrava restassero di più sulle corde, così potevo servire perfino più veloce delle grandi “bombardiere” del circuito. Mi ha sorpresa! Ho anche iniziato a giocare più piatto e aggressiva dai primi colpi, abbandonando alcune abitudini da terra rossa come il topspin con il dritto. Questo metteva pressione sulle avversarie, che si innervosivano, accelerando e dovendo prendere decisioni difficili.”

D: Le statistiche hanno mostrato un servizio molto più forte a Wimbledon: 24 ace, contro i 9 o 10 di altri Slam. Sei fiduciosa che riuscirai a mantenere questo livello? 
Iga Swiatek: “Sono curiosa anch’io! Alla prima sessione di allenamento sull’erba ho sentito che potevo servire meglio; quindi è anche una questione delle palline. Si attaccano al piatto corde e sembrano più pesanti, magari ha influito. Ora passeremo alle palline più leggere del circuito femminile, quindi vediamo se riesco a continuare così. Ci proverò, mi è piaciuto avere tutti quei punti facili.”

D: Hai superato leggende come Lindsay Davenport, Kim Clijsters e Maria Sharapova, tutto prima dei 25 anni. Ti fermi mai a riflettere su quanto sia già speciale la tua carriera? 
Iga Swiatek: “Onestamente, ci pensi più tu di me! Non vedo la mia vita da una prospettiva così ampia. Dopo aver vinto Wimbledon junior ho capito che c’è sempre un altro torneo per mettersi alla prova. Dimentico velocemente le vittorie—a volte dovrei festeggiare di più! Per un periodo le aspettative mi facevano sentire solo sollevata, non entusiasta, ma questa vittoria a Wimbledon aveva un sapore diverso perché è stata inaspettata. Di solito, penso a questi traguardi solo quando me lo chiedono, giorno dopo giorno mi concentro sul prossimo torneo, perché il tennis non ti lascia mai riposare.”

D: Quando non sei la testa di serie numero uno (come a questo Wimbledon), hai sentito sollievo dalla pressione? Era più facile essere “cacciatrice” invece che “preda”? 

Iga Swiatek: “Mi sono sentita così nel 2023, quando ho perso il numero uno per qualche settimana. All’inizio ci stavo male, poi è stato liberatorio, motivante. Quest’anno, però, era diverso; avevo già molto per la testa: il mio “caso”, il rientro, i buoni risultati in Australia, la semifinale a Doha. A volte mi sembrava tutto ingiusto, e non aiutava. Cambiare allenatore è stato importante perché non amo i cambiamenti, e speravo che Wim Fissette avesse la formula magica per risolvere tutto, ma ho capito che già so molte cose e le modifiche devono essere piccole e delicate. Il vero reset mentale non è arrivato dopo Parigi, ma dopo Roma, quando ho perso presto e ho capito che dovevo cambiare mentalità. Solo dopo le cose sono migliorate, portandomi poi a Wimbledon.”

D: Parliamo della questione della contaminazione da integratore e del test positivo, che tutti gli esperti concordano non essere colpa tua. Qual è stata la tua reazione quando hai saputo la notizia? 

Iga Swiatek: “È stato tremendo. Ero a un servizio fotografico a Varsavia, ho controllato la mail e ho visto un messaggio dalla piattaforma antidoping. Pensavo fosse un promemoria per i whereabouts, ma appena ho letto ho iniziato a piangere. Non ho neanche finito, ho dato il telefono al mio manager. Nessuno sa davvero che fare in quel momento. Ho chiamato il mio team, abbiamo fatto una riunione d’emergenza, ho parlato con avvocato al telefono e tentato di capire cosa fare. Per giorni ero distrutta: piangevo, non riuscivo ad allenarmi, sentivo che la mia integrità era in discussione. Il mio team mi ha supportata con lucidità, aiutandomi a testare tutti gli integratori e le medicine. La mia psicologa Daria è stata fondamentale: mi ha aiutato a essere grata per il fatto che avrei poi potuto tornare a giocare, invece che focalizzarmi solo su quanto fosse ingiusto tutto questo.”

D: Perché hai scritto quel lungo post sulle difficoltà avute con la salute mentale in quel periodo? Ti sei sentita supportata dai tifosi? 

Iga Swiatek: “Volevo spiegare, perché i tifosi pensavano che sarei tornata e avrei ricominciato subito a vincere tutto. Lo pensavo anch’io sai, il classico “ciò che non ti uccide ti rende più forte”. In realtà, mi sentivo attaccata e per niente più forte. Avevo bisogno di spiegarlo, e scriverlo era più facile che parlarne in conferenza stampa. Tutti hanno capito e ascoltato. Quando è iniziata la stagione su terra, la gente sembrava dimenticarsi, ma a quel punto avevo imparato a concentrarmi su me stessa e sulle mie difficoltà. Ora posso godermi il trofeo!”

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