Aoi Ito, la shojo che gioca a tennis come in un videogioco
Nel panorama monocorde del tennis contemporaneo, fatto di accelerazioni potenti e colpi fotocopia, ogni tanto arriva qualcuno che rompe la trama. Non lo fa con la forza fisica, ma con quella del silenzio fatta anche di lentezza, leggerezza e stranezza.
Aoi Ito è tutto questo. Ventuno anni, giapponese della prefettura di Aichi, uno stile che sembra uscito da un altro sport – o forse da un’altra epoca – e la capacità rara di far impazzire avversarie più titolate con un tennis che non somiglia a nulla. In campo è lieve, discreta, quasi impalpabile. Ma lo score, alla fine, dice sempre che c’era. E che ha vinto lei.
Il colpo più migliorato? Lo slice di dritto
Non lo trovi scritto nei manuali, lo slice di dritto. Eppure è il colpo su cui Ito ha costruito la propria ascesa. Nel 2023 era numero 417 del mondo. A metà 2025 è stabilmente tra le prime 130. Non ha fatto rumore, non ha vinto tornei, non ha fatto exploit nei Major. Eppure è lì.
“È il colpo che ho migliorato di più”, ha raccontato in un’intervista pubblicata dalla WTA. “Posso usarlo in difesa, ma anche per attaccare. È la mia firma”. Firma che accompagna ogni suo match, insieme a quel modo di colpire senza piegare le gambe, frontale, quasi passivo, ma estremamente efficace.
Un modo diverso di vedere il tennis, il suo
“Quando gioco a tennis mi sembra di essere dentro un videogioco”. A dirlo non è un’iperbole per farsi notare, è un modo per spiegare come Ito vive il campo: da fuori. Non come un’arena dove si lotta, ma come un puzzle da risolvere.
Ed è così che gioca: come se stesse spostando pedine su una scacchiera invisibile. Colpi corti, slice a tagliare il ritmo, angoli strani, discese a rete non ortodosse. Ogni palla lanciata nel campo avversario è una provocazione. Sotto la visiera, uno sguardo impassibile. Ma dentro, un’ironia sottile: “Mi piace quando le mie avversarie si innervosiscono. Fa parte del mio gioco”. Il match contro Jasmine Paolini, in cui ha rimontato un set e un match point di svantaggio, ha fatto notizia più per la crisi dell’azzurra che per i meriti della giapponese. Ma chi ha osservato da vicino quel match – o chi conosce lo stile di Ito – ha capito che non è stato un caso. Ha costretto Paolini a prendersi ogni rischio, ogni punto e alla lunga l’ha sfiancata, non con la potenza, ma con l’ossessione tipica giapponese. Un tennis che non ti dà riferimenti, che ti fa dubitare di ogni colpo, che non ti obbliga a nessuna scelta, ma ti costringe a prenderle. Nessun coach da centinaia di migliaia di dollari, nessuna accademia, nessuna struttura industriale alle spalle. Per conoscere Ito bisogna compiere un viaggio immersivo nella cultura giapponese, dove la famiglia è al centro di tutto. Il padre, ex procuratore, oggi allenatore e stratega, la madre, ex impiegata in un’agenzia viaggi, si occupa di tutto il resto: voli, pasti, massaggi, logistica, supporto emotivo. «Così non spendiamo nulla!», scherza Ito. Ma dietro questa semplicità, c’è una lucidità rara: la consapevolezza che il suo tennis non deve somigliare a quello di nessun altro, soprattutto perché lei non vuole essere la copia di nessun altro, se non l’evoluzione costante di se stessa. Infatti Hsieh è il riferimento inevitabile quando si parla di Ito: due mani su entrambi i lati, visione tattica spiccata, colpi imprevedibili, ma Aoi è più essenziale, più introversa, forse meno spettacolare ma altrettanto destabilizzante. Non ha mai visto una partita di Hsieh, ha confessato. È il padre ad avergliene parlato e forse questo rende la connessione ancora più pura. È il principio a unirle, non l’imitazione.
Manga, Othello e volée storte
Fuori dal campo, Ito disegna manga con l’iPad. Ragazzi e ragazze malinconici, silenziosi, un po’ persi nei pensieri: anime sospese, leggere e senza spigoli. Come lei, come la tradizione fumettistica e culturale giapponese.
Ama anche giocare a Othello e Mahjong. “Mi aiutano mentalmente, perché odio perdere. Continuo finché non vinco”. Una frase che, detta da lei, suona ancora più credibile. Perché nel suo tennis non c’è un grido, ma una costanza: continua, finché non vinci. La scalata è lenta, ma costante. Ha già vinto tornei ITF in Giappone, si è qualificata per i suoi primi Slam e ogni volta che appare in tabellone, il pensiero è uno: speriamo di non pescarla al primo turno. Perché giocare contro Aoi Ito è come affrontare un enigma: più cerchi di risolverlo, più ti allontani dalla soluzione. Dove può arrivare con un tennis così? Difficile dirlo, ma intanto ci ricorda una verità antica e dimenticata: non esiste un solo modo per vincere una partita. E tra una stesa e l’altra, fa bene al cuore sapere che da qualche parte c’è ancora spazio per le varianti, per le sorprese e per quelle tenniste che sembrano disegnate come manga, che raccontano tanto restando ancorate nella loro splendida unicità.