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WTA Montreal: Bouchard saluta il tennis. Anche questa volta a modo suo

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Da Montreal, il nostro inviato

Non ci è mancato molto perché la favola di Genie Bouchard all’ultimo torneo della carriera potesse continuare. In vantaggio 3-1 nel terzo set contro la testa di serie n. 17 Belinda Bencic, colei che dieci anni prima a Toronto l’aveva eliminata lungo il percorso del suo primo importante, Bouchard ha perso per strada il suo rovescio e l’ottimo tennis che aveva sfoderato per quasi due ore si è pian piano affievolito, e proprio con un rovescio in corridoio si è alla fine arresa con un 6-2 3-6 6-4 che mette la parola fine alla sua carriera.

Durante la cerimonia che ha seguito il match, Bouchard ha ringraziato prima di tutto la sua famiglia (“senza di voi non sarei qui”), presente compatta in tribuna (anche se i genitori sono separati da tempo), poi tutti gli allenatori che l’hanno accompagnata nel percorso (“sapete voi chi siete”), e infine, in francese, tutto il pubblico di Montreal che le ha tributato il grande omaggio finale.

Non è stato un idillio continuo, quello tra Bouchard e gli appassionati della sua città e della sua provincia, ma alla fine i vecchi rancori sono stati dimenticati, come era il caso che fosse.

Il primo asso del tris che non fu

Quando si passa la vita a guardare gente che gioca a tennis, fa un po’ effetto trovarsi a vivere in prima persona il ritiro di qualcuno che si è visto arrivare sulla ribalta e si è seguito per tutta la carriera. Se non vogliamo dire che è un segno che si sta invecchiando, non diciamolo…

E fa ancora più effetto quando questa persona è un prodotto della città nella quale si è abitato nel corso di tutta questa carriera. Ricordo nel 2012 quando Tennis Canada ci invitò alla presentazione del trofeo di Wimbledon junior vinto da Filip Peliwo ed Eugenie Bouchard, e due anni dopo Genie esplose con quella clamorosa stagione 2014 nella quale giunse in semifinale all’Australian Open e al Roland Garros e in finale a Wimbledon, raggiungendo il numero 5 del ranking mondiale.

La WTA le mise accanto nientemeno che Chris Evert: le due andarono a Singapore a promuovere le WTA Finals che si sarebbero disputate lì a novembre (e per le quali Bouchard si qualificò), e il volto acqua e sapone di Genie diventò ben presto il biglietto da visita del circuito femminile. D’altra parte la famosa rivista SportsPro l’aveva messa subito in testa alla famosa classifica dei “most marketable athletes”, degli atleti con maggiore appetibilità commerciale. E come dar loro torto: era giovane, bella, vincente, con il passaporto giusto (il Canada è un Paese sviluppato e quindi rappresenta un mercato ricco), proveniente da una provincia con velleità indipendentiste (il Quebec) e che adora l’idea di un campione fatto in casa che possa “promuovere la causa”.

Erano tutti pronti a farle tirare la carretta per un decennio dopo che le sorelle Williams avevano ridotto l’attività. C’è solo un problema: si possono avere tutte le qualità del mondo, ma se non si continua a vincere, non servono a nulla. E purtroppo per lei, per loro, per tutti, Bouchard smise si vincere, almeno con la frequenza che quello straordinario 2014 aveva fatto immaginare.

Un 2015 con qualche infortunio di troppo, poi lo sfortunatissimo episodio di Flushing Meadows quando sembrava essere tornata alla forma di un tempo, ma scivolò negli spogliatoi procurandosi una commozione cerebrale che la costrinse a rinunciare all’ottavo di finale contro Roberta Vinci e poi la tenne fuori dalle gare per un bel po’. A quell’incidente seguì una causa, vinta da Bouchard contro la USTA, e chiusa con un accordo arrivato dopo che la giuria aveva dato ragione alla canadese e stabilito che la Federazione Americana era stata negligente.

Da quel momento in poi solo qualche sporadica fiammata, la semifinale a Madrid nel 2017, ma davvero troppo poco per poter sostenere il ruolo di immagine del tennis femminile.

Fu una delle tre “tenniste immagine” che la WTA pensava di aver trovato nel corso dell’ultimo decennio, ma nessuna di loro si è trasformata in ciò che la WTA sperava: un’ambasciatrice per trascinare l’immagine del tennis femminile nel mainstream come avevano fatto Chris e Martina, Monica e Steffi, Venus e Serena.

Le altre due sono state Naomi Osaka nel 2018 ed Emma Raducanu nel 2021. Entrambe “most marketable athlete”, entrambe non vincenti quanto basta per potersi caricare il tennis femminile sulle spalle. Naomi con una personalità molto particolare e non adatta a un ruolo sotto i riflettori, nonostante la miriade di munifici sponsor e la storica partecipazione alle Olimpiadi di Tokyo 2020 come ultima tedofora nella cerimonia d’apertura. Emma travolta da un successo troppo grande e troppo presto a Flushing Meadows 2021, un successo che nessuno sarebbe riuscito a digerire senza traumi.

Bouchard e una legacy complicata

È inutile negarlo, a Genie sono sempre piaciute le luci dei riflettori. E forse è per questo che era così adatta al ruolo di “front woman” per il tennis femminile. Ma ogni volta che appariva su una rivista, o a un’occasione di gala, inevitabilmente le solite malelingue non perdevano occasione per dire che non si allenava abbastanza. Vivendo nella stessa città non era insolito sentire resoconti di avvistamenti in locali notturni o altri ambienti poco “da atleta”. Ma chi la conosceva in campo metteva la mano sul fuoco sulla sua tempra da grande lavoratrice.

A Montreal ha sempre pagato il suo essere “diversa dallo stereotipo locale”: preferiva parlare in inglese invece che in francese, e questo è un peccato mortale da queste parti. Basti pensare che quando la locale squadra di hockey, i Montreal Canadiens (una specie di istituzione nazionale, fondata nel 1909 e con 24 titoli NHL al suo attivo), una volta si azzardò ad assumere un allenatore non francofono venne massacrata dalla stampa locale per aver “abdicato al proprio ruolo nella protezione della lingua francese”.

Ha iniziato a passare sempre più tempo negli Stati Uniti, prima in Florida, dove aveva acquistato casa, poi un periodo piuttosto lungo a Las Vegas, per allenarsi con Gil Reyes, l’ex preparatore fisico di Agassi. I rotocalchi si sono foraggiati abbondantemente dalla mangiatoia dei suoi numerosi flirt, come è giusto che sia (o forse no). E non a tutti è piaciuta la storia della scommessa-Twitter con un tifoso sul risultato del Superbowl, scommessa che le è costata un pubblicizzatissimo appuntamento con uno sconosciuto.

Ma alla fine ha giocato la finale a Wimbledon (2014), ha vinto la BJK Cup (2023), ha rappresentato il suo Paese alle Olimpiadi (2016), ha guadagnato decine di milioni di dollari, e l’ha fatto vivendo una vita che molti non possono nemmeno sognare, e quasi sempre secondo le sue regole. Se vi pare poco…

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