Dal cielo a Wimbledon: la finale vista con Rino, Gianni e Roberto
L’articolo, originariamente edito su SKY Insider, viene pubblicato su gentile concessione dell’autore Stefano Meloccaro.
Luce soffusa, nuvole ben stirate, cielo bianco Wimbledon. I tre signori siedono su una panchina che sembra una tribuna centrale, simile ad un Royal Box. Davanti a loro, un megaschermo trasmette gli highlights della finale. Sinner ha appena alzato la coppa.
Uno, distinto e appuntito nel suo completo giallo ocra, tiene in mano un taccuino con tutte le statistiche del match. Il secondo è magrolino e occhialuto, indossa una giacca chiara fuori stagione e racconta ad alta voce aneddoti che forse non sono mai accaduti, ma lo fa talmente bene che il resto non conta. Il terzo ha i capelli a caschetto molto ben lisciati e stivali Camperos a punta, mentre controlla l’angolazione del gomito sinistro di Sinner su uno schermo celestiale e borbotta qualcosa sul “recupero del carico laterale”.
Sono Rino Tommasi, Gianni Clerici e Roberto Lombardi. E oggi sono felici. Perché, anche se da qui non si può trasmettere in diretta, Jannik Sinner ha appena vinto Wimbledon.
“Sul mio personalissimo cartellino noto che Sinner ha vinto il 75% di punti con la prima di sevizio – dice Rino, spuntando qualcosa su un taccuino con incastonati alcuni circoletti rossi -. È affidabile. Non arruffa i popoli come l’altro, ma non delude mai. È la differenza tra un campione e un fuoriclasse. Ecco, credo che adesso anche gli scettici dovranno convincersi. Io l’ho già fatto, perché è possibile essere obiettivi, impossibile essere neutrali“.
Gianni non risponde subito. Guarda il prato del cielo, che da lì sembra rasato a otto millimetri come il Centrale. Poi ribatte con voce filiforme: “Sai Rino, ricordo bene quel ragazzino. Me lo segnalò il suo primo allenatore, Riccardo Piatti, che come sai ho avviato io a questa carriera in quanto comasco come me. Sinner era più che tennista sciatore, piedi larghi e la schiena dritta al pari di un libro da iniziare. A vederlo oggi, con quella coppa che pesa quanto un sogno di bambino, mi torna in mente un vecchio racconto di Malaparte. L’ho detto una volta a Panatta: non si vince Wimbledon, si convince il destino a lasciartelo fare. E oggi, il destino, si è fatto convincere da un ragazzo dai capelli rossi che non ha mai cercato di sembrare qualcun altro“.
Roberto Lombardi, che finora ha osservato in silenzio, si gratta la barba che non ha mai davvero avuto e si aggiusta gli occhiali immaginari. Lui adesso dirige la Scuola Maestri della Federazione Paradisiaca Tennis. “Tutto merito dell’occhio dominante. Il sinistro, nel suo caso. Vede il campo in diagonale, legge il rimbalzo prima che la palla tocchi terra. E poi ha corretto un dettaglio fondamentale nel servizio: questione di impugnatura, polso e di spinta. Il ribaltamento del piano spalle. Roba che se non la vedi, non la capisci. È cresciuto nel modo migliore: non cambiando stile, ma approfondendolo“.
Tommasi annuisce. Ma non troppo.
“È bravo, sì. Ma non è Federer, e non lo sarà mai. E forse nemmeno Nadal. Ecco, io credo che vada considerato una versione moderna di Borg piuttosto. Non incanta. Parla poco. Però si accetta, vince. E non si fa domande. Questo, per me, è già un grande merito”
Clerici sorride. E come sempre, cambia piano.
“Sai cosa avrei adorato, Rino? Una finale commentata da noi tre. Io ci avrei messo una storia molto verosimile su un vecchio maestro tirolese che parlava solo tedesco e lanciava le palline con la fionda. Tu avresti citato le statistiche del ’78 e avresti detto che stavolta Sinner ha fatto i bambini coi baffi! Io avrei controbattuto che, fossi stato un po’ più gay di quel che ero, mi sarebbe piaciuto farmi accarezzare da una stop-volley di Alcaraz. E Roberto… beh, Roberto avrebbe parlato di angolo stocastico di impatto e torsione lombare. Alla fine, ci saremmo guardati e avremmo detto: è uno dei nostri“.
Lombardi ride.
“E magari avrei infilato un ragionamento sul tema occhio dominante in almeno tre occasioni. Come sempre. E poi vi avrei regalato la mia perla: tutto quello che è insegnato non può essere scoperto. Il tennis di Sinner è una sua scoperta intima.
Ma guardalo là: alza la coppa come se non pesasse nulla. Questo significa che ha capito. Che è arrivato”.
Tommasi chiude il taccuino, sarcastico come solo lui, re delle provocazioni causticamente estreme. “Due considerazioni: la prima è che ci sarebbe voluto anche Ubaldo Scanagatta qui con noi, anche se temo che lui si auguri di raggiungerci tra un bel po’ di tempo…! (ridacchiano). La seconda riguarda Jannik Sinner. Lo adottiamo, allora: da oggi è ufficialmente italiano…?”.
Clerici alza gli occhi al cielo, o forse solo verso una nuvola a forma di campo centrale.
“Mio Dio Tommasi, sei incorreggibile. Riesci ad essere cattivo anche da qui…! Adesso posso finalmente scrivere: un italiano ha vinto Wimbledon. Pare proprio sia una cosa successa, solo che nessuno lo aveva ancora visto”.
I tre si alzano lentamente dalla panchina. Si incamminano assieme verso un campo perfettamente bianco, dove ogni riga è tirata con la mano di un dio molto preciso. Tommasi e Clerici sorridono, Lombardi si accende un sigaro dei suoi. Dietro di loro, sullo schermo celeste, Sinner ha la faccia divertita, al ballo dei vincitori. Una risatina delle sue, imbarazzata e leggera. Di quelle che non disturbano nemmeno l’erba.