Tragedia nel mondo del tennis, giovane tennista indiana uccisa dal padre
Una notizia che ha scioccato il mondo dello sport e non solo: la giovane tennista indiana Radhika Yadav, 25 anni, è stata uccisa dal padre nella loro abitazione a Gurugram, nei pressi di Delhi. L’uomo, Deepak Yadav, 49 anni, ha confessato il delitto subito dopo: tre colpi di pistola esplosi mentre la figlia cucinava. Una scena di ordinaria, atroce, violenza domestica. Un gesto motivato, secondo le parole dello stesso omicida, da un sentimento di “umiliazione” per la propria dipendenza economica dalla figlia.
Radhika era molto più di una tennista promettente. Dopo anni di tornei nel circuito ITF – 36 match di singolare, 7 di doppio – aveva fondato un’accademia per giovani giocatrici e si era affermata anche come influencer, simbolo di emancipazione femminile in un contesto che spesso non la tollera. Era diventata, a tutti gli effetti, il motore economico e sociale della famiglia. Una figura femminile forte, indipendente, capace di ribaltare il copione tradizionale. Ed è proprio questo il nodo tragico della vicenda.
Il padre pare non sopportasse più di essere “sostenuto da una donna”, ancor meno da sua figlia. Secondo le ricostruzioni della polizia, negli ultimi mesi le aveva intimato più volte di chiudere l’accademia e cercare “un lavoro adatto a una donna”. Ma Radhika aveva altri piani. Voleva costruire qualcosa di suo, per sé e per le ragazze del suo Paese. Una scelta che, in un sistema patriarcale radicato e spesso violento, può diventare una colpa.
“Mi umiliava davanti a tutti, mi manteneva, si vantava”, ha detto Deepak agli inquirenti, frustrato dalle prese in giro ricorrenti in paese per l’attività della figlia. Parole che gelano il sangue. E che raccontano una verità amara: l’emancipazione femminile, in alcuni contesti, può diventare un’offesa intollerabile per chi ha costruito la propria identità sul dominio, sulla gerarchia, sull’idea di un maschio capofamiglia che non può essere superato.
Non è solo cronaca nera, questa. È una ferita sociale. È un grido che richiama responsabilità culturali, politiche e sportive.
In India, il tennis femminile ha conosciuto volti straordinari: Sania Mirza su tutte, ex numero 27 WTA, pioniera e modello. Ma dietro ogni campionessa c’è una moltitudine di ragazze che lottano non solo contro l’avversaria dall’altra parte della rete, ma anche contro una mentalità che le vuole silenziose, docili, invisibili. Radhika Yadav non era invisibile. Era visibile, solare, ambiziosa. È stata punita per questo. Il suo sogno si è spezzato sotto il fuoco di una pistola impugnata dal padre. Ma le domande che solleva non possono più essere ignorate.
Lo sport non è mai separato dalla società. Le sue tragedie sono specchi. E questa, più di tante altre, mostra quanto sia ancora lunga la strada per una vera equità. Se una ragazza può essere uccisa per il solo fatto di essere forte, allora ogni medaglia, ogni vittoria, ogni impresa sportiva femminile assume un significato ancora più profondo.