Fognini: “La Davis? Me la meritavo. Ora non vedo l’ora di fare il papà”
Era nell’aria da tempo ormai, ma in tanti speravano che quel giorno mai sarebbe dovuto arrivare: Fabio Fognini, dopo la meravigliosa opera messa in scena sul centrale di Wimbledon con Carlos Alcaraz, ha detto definitivamente addio al tennis, dopo anni complicati e ricchi di infortuni.
Il primo dei talenti italiani ad affermarsi nell’elite tennistica, a battere i più forti: mai potremo dimenticare quella rimonta a New York su Rafael Nadal, o la vittoria con Murray in Davis. Ricordi, indelebili, di un tennis che ha saputo emozionare come forse nessun altro potrà mai fare. Fabio si è concesso a una lunga intervista a Gaia Piccardi, inviata a Londra per il Corriere della Sera.
D. Come si capisce quando è arrivato il momento giusto?
Fabio Fognini: “Alla mia età venivo da anni durissimi, in cui
recuperare dagli infortuni era diventata un’impresa. Ci stavo pensando da tempo: era nell’aria. Ma siccome sono un tipo molto competitivo, non volevo mollare l’adrenalina. A costo di avere insopportabili dolori ai piedi. Per prima, l’ho detto a Flavia. Dopo quei due giorni di riflessione, ho annunciato a lei e ai nani che quella sera avremmo cenato a casa. Ho stappato uno champagne rosé. Un bicchiere, due bicchieri… Nel giro di
un’ora mi sono accorto di essermi scolato tutta la bottiglia! I nanetti erano stecchiti sul divano, ho guardato Flavia: d’ora in poi dovrai sopportarmi un po’ di più, le ho detto. Lei ha capito subito, sapeva. Mi ha abbracciato. La sera dopo ho riunito mamma, papà e sorella. Aaaah, credevamo ci annunciassi il quarto figlio, mi hanno detto…“.
D. Tanti messaggi, ma forse il complimento più bello gliel’ha fatto Flavio Cobolli, sconfitto nei quarti di Wimbledon da Djokovic e talento della sua agenzia di management: se oggi siamo tanti italiani in classifica, il merito è tuo
Fabio Fognini: “Non mi ero accorto di aver rappresentato un
esempio per i ragazzi, strada facendo. Me ne sto rendendo conto solo adesso. Quest’estate, con le chiappe a mollo, ci ragionerò su meglio. Mi hanno scritto i miei amici calciatori dell’Inter,
Alberto Tomba, Nadal, Djokovic e tanti altri. Non avevo capito di essere così amato. Da fuori, a volte, mi hanno dipinto per quello che non sono mai stato: alzavo una barriera e davo di matto per difendere la mia sensibilità. Sono stato un ragazzo ribelle ma spero di non essere ricordato per le racchette rotte. Mi sono portato addosso per anni un’etichetta: la verità è che non sono mai stato un santo ma ho sempre fatto del male solo a me stesso. Chi mi ha davvero conosciuto, però, sa“.
D. Una nuova fase dell’esistenza. Cosa le riserva?
Fabio Fognini: “Sono curioso anch’io. Per vent’anni ho fatto
una sola cosa, quella che mi veniva meglio: giocare a tennis senza mai risparmiarmi. A Wimbledon si è chiuso un cerchio. Non mi sarei mai immaginato che potesse finire in quel modo,
con la bellissima partita con Alcaraz e la standing ovation del campo più importante del mondo. E pensare che ero entrato dicendomi: coraggio, Fabio, cerchiamo di non fare una figuraccia…“.
D. L’emozione di giocare l’ultimo match davanti ai propri figli è spiegabile?
Fabio Fognini: “Non è facile, ma ci provo. Eravamo ancora in
Italia quando è uscito il sorteggio di Wimbledon e ho scoperto che avrei affrontato il campione in carica, Carlos Alcaraz. Federico, che è un suo tifoso, mi fa: che bello, papà, così perdi…
Vuoi venire, gli ho chiesto? Tutta la famiglia è partita per Londra, a quel punto. L’orgoglio che ho provato quando Alcaraz ha chiesto l’applauso per me, non si può raccontare. Gli ho chiesto
una maglia autografata per Fede, che è impazzito di gioia. E la sera, tutti a mangiare il sushi“
D. Stride, in questo romanzo, il fatto che un giocatore che all’azzurro ha dato tutto non abbia potuto conquistare quella Davis che la nouvelle vague del tennis italiano, trascinata da Sinner, ha recentemente vinto due volte consecutive. E’ un rimpianto?
Fabio Fognini: “Tocca un tasto delicato. Più che un rimpianto, però, direi che è un sogno irrealizzato. Ho giocato la Davis vera, quella in casa e in trasferta, tre set su cinque. Ho sempre risposto presente alle convocazioni, anche con una gamba
sola. Indossando la maglia azzurra ho ottenuto una delle mie vittorie più belle, con Andy Murray a Napoli nel 2014. Per la Nazionale davvero non potevo fare di più. Vincere la Davis era un
sogno di cui avrei voluto fare parte, semplicemente perché me la meritavo. Sarebbe stato più giusto così. Non è successo“.
D. Fin qui è stata la vita che s’immaginava da bambino, ad Arma di Taggia?
Fabio Fognini: “E stata molto di più. Non avrei mai creduto
di entrare nei top 10 in singolo e doppio, di conquistare Montecarlo, il torneo che i miei genitori mi portavano a vedere da piccolo, di uscire dal centrale di Wimbledon dopo aver trascinato al quinto set, a 38 anni suonati, il numero 2 del mondo. Ho attraversato un’epoca irripetibile, quella dei Big Three (Federer, Nadal, Djokovic), ne ho battuti due su tre in un periodo storico in cui arrivare alla seconda settimana dei tornei dello Slam era paragonabile a una vittoria. Ci ho giocato contro, mi ci sono allenato; mi hanno dato, ma anche tolto tanto“.
D. Chi è, oggi, Fabio Fognini?
Fabio Fognini: “Un marito e un papà che non vede l’ora di
andare in vacanza con la famiglia. Non voglio più correre: voglio camminare, finalmente. Voglio godermi i bimbi, la vita, la nuova attività di manager e scopritore di talenti, a cominciare da
Flavio Cobolli, che dopo Wimbledon entrerà nei primi venti del ranking. Desidero trasferire ad altri la mia esperienza: sarò felice di mettermi a disposizione di chi me lo chiede. Ho due esibizioni già confermate, sto pensando di portare i bambini a New York, dove quest’anno ricorre il decennale della vittoria di Flavia all’Open Usa. Ma adesso stacco tutto. Andiamo in Puglia e non voglio più pensare a niente“.
D. Il tennis le ha regalato degli amici?
Fabio Fognini: “Tante conoscenze, amicizie non saprei… Le
amicizie vere sono quelle che coltivo sin da bambino, ad Arma. E Simone Bolelli, con cui ho giocato il doppio per anni“.
D. L’avversario più simpatico?
Fabbio Fognini: “Sono andato d’accordo un po’ con tutti. Trovo questa nuova generazione fortissima ma un po’ arrogante, invece. Il più carismatico della mia epoca è stato sicuramente Roger Federer. Nel 2012 l’ho affrontato sul centrale di Wimbledon. All’epoca, entrando, si doveva ancora salutare il Royal Box. Prima di scendere in campo, terrorizzato, mi sono voltato verso Roger e gli ho detto: come cavolo si fa l’inchino? E lui, serafico: follow me. E così ho fatto“.
D. Augurerebbe a Federico, Farah e Flaminia di seguire la strada percorsa da lei e sua moglie, il tennis professionistico?
Fabio Fognini: “Auguro loro di essere sempre in salute e di
fare ciò che vorranno. Federico è un patito di pallone, proprio come lo sono stato io. Farah ama la danza, Flaminia è ancora piccolina. Se facessero altro, andrebbe bene lo stesso. Solo io
so quello che ho sacrificato per il tennis. Ho vissuto tutto intensamente, forse troppo. Ma è stato bellissimo“.