Da New York a New York. Il ritorno di Francesco Maestrelli: “Cambiate tante cose, sono più consapevole dei miei mezzi”
Pisano, classe 2002, giocatore alto, potente, dal tennis aggressivo e moderno. Francesco Maestrelli è uno di quei talenti che il circuito ha imparato a conoscere presto. Dopo un 2022 da rivelazione, culminato con la vittoria del Challenger di Verona e un ottimo percorso nelle qualificazioni dello US Open, terminate al turno decisivo contro Nuno Borges, sembrava pronto a entrare stabilmente tra i grandi, lasciando la sensazione che fosse solo questione di tempo. Il tempo ha poi portato altro: un 2023 di alti e bassi, un 2024 iniziato tra risultati altalenanti e la necessità di ritrovare fiducia, scelte da fare e un’identità da ricostruire passo dopo passo.
Francesco non si è mai fermato. Ha continuato ad allenarsi con serietà, ha scelto di scendere di livello e tornare a giocare gli ITF per ritrovare ritmo e convinzione, ha lavorato su di sé, anche sul piano mentale. È un ragazzo sensibile, emotivo, che vive tutto con grande intensità. E che ha imparato col tempo ad accettare e gestire quella parte di sé, senza rinnegarla. Una delle conquiste più importanti è stata proprio questa: imparare a separare il Francesco tennista dal Francesco persona, per non lasciare definire unicamente dai risultati.
In questa stagione, complici i titoli Challenger vinti a Francavilla e Brasov, Maestrelli è tornato vicino al suo best ranking di 149 del mondo, toccato a giugno 2023. Nella settimana post Wimbledon, con il prossimo aggiornamento del ranking, si è sveglierà da Top 200. Una classifica più che sufficiente per l’accesso alle qualificazioni dello US Open, per la prima volta da quel 2022 dolceamaro. Da New York a New York. Con un percorso fatto di fatica, consapevolezza e crescita.
Nell’intervista a Spazio Tennis, il giocatore toscano si racconta con sincerità: parla di tennis e di vita, di allenamenti e di emozioni. Di cosa ha significato non mollare, e di come sta imparando a essere, ogni giorno, un tennista più completo.
Secondo titolo Challenger dell’anno, dopo Francavilla. Anche a Brasov una grande battaglia e tanta emozione a fine match. Che giornata è stata?
“È stata una giornata molto bella. A differenza di quanto accaduto Francavilla, da subito ero un po’ meno agitato, forse perché ero lontano dall’Italia. In quell’occasione sentivo più pressione, forse anche per l’ambiente. In semifinale, forse, ho avvertito più nervosismo, forse perché era la partita che poteva valere il posto nelle qualificazioni a New York. Anche se non seguo costantemente il mio ranking, so bene cosa possano significare certe partite. È stata una giornata intensa e anche molto dura. Forse non la più difficile in assoluto della settimana. I quarti contro Topo, ad esempio, sono stati molto duri. Però a livello tattico il match Pavlovic è stato molto difficile da gestire. Portare il titolo a casa è stato davvero bello, anche per quello che può rappresentare per il resto della stagione”.
È dal 2022 che non le a New York, in quell’occasione sfiorasti l’ingresso nel main draw. Che effetto ti farà tornarci? E che emozioni suscita quel torneo?
“Prima di partire per Brasov ne parlavo con la mia ragazza, è il mio torneo preferito. Per due anni l’ho mancato di pochissimo, ed è sempre stato quello a cui ho ambito di più partecipare. Mi ha lasciato emozioni fortissime: l’atmosfera, il significato che ha avuto per me quell’anno. Aver perso quella partita all’ultimo turno di qualificazioni è ancora oggi una delle delusioni più grandi e me la porto dentro. Ma è stato anche un match che mi ha fatto capire che potevo davvero fare questo lavoro. Tornarci sarà bellissimo. Non vedo l’ora di calpestare di nuovo quei campi che mi hanno dato tanto. Spero di far bene e divertirmi”.
Da New York 2022 a New York 2025. Che viaggio è stato?
“Sono passati tre anni, ma per me è come se ne fossero passati dieci. Sono successe tante cose. Prima era tutto nuovo, era una prima volta, e c’era tanto entusiasmo. Poi, pian piano, è arrivata anche un po’ di pressione, il senso di dover confermare quello che avevo fatto prima. Credo che questo, in qualche modo, abbia rallentato un po’ il mio percorso di crescita sotto tanti aspetti. Da quel momento si è avviato un vero processo di sviluppo: è cambiato un po’ il team, sono cambiato io ed è cambiato anche il modo in cui affronto la vita di tutti i giorni. Oggi arrivo a New York con una base molto più solida. Sento di essere più completo e più consapevole. E anche se il tennis resta centrale, quello che davvero sento diverso è tutto lo sviluppo che c’è stato attorno”.
Il 2023 e il 2024 sono state stagioni complicate ed altalenanti. Come hai vissuto quel periodo fatto di alti e bassi?
“È stato un periodo complicato. Non mi sentivo davvero gioioso nell’allenarmi, nel fare quello che ho scelto di fare da qualche anno a questa parte. In alcune partite in cui avevo poco da perdere, riuscivo a esprimermi meglio, mi sentivo più libero. E quando le cose giravano nel verso giusto, avevo anche la sensazione che potesse riuscirmi tutto. Poi però arrivavano anche le batoste. E questa è una cosa che succederà sempre. Ci saranno sempre periodi buoni e altri meno buoni. L’importante è trovare un equilibrio. Quel periodo l’ho vissuto con molta sofferenza, perché sentivo di impegnarmi tanto, ma poi in campo non riuscivo a farlo vedere. Mi sentivo meno bravo di quello che in realtà ero”.
Dalla fine del 2023 lavori con un tuo team privato guidato da Giovanni Galuppo. Come ti stai trovando?
“È stato un cambio importante anche se non sono un grande fan dei cambiamenti. Per natura tendo a restare dove mi sento a mio agio, ma è stato un passaggio doveroso. Ho avuto bisogno di un po’ di tempo per abituarmi, per trovare un’intesa anche a livello personale con le persone con cui lavoravo. Oggi c’è molta più sintonia, più allineamento nella strada che vogliamo percorrere. Stiamo costruendo un rapporto importante, e credo che anche sul piano lavorativo stia andando bene”.
A un certo punto sei tornato a giocare gli ITF per ritrovare fiducia. Cosa ti hanno lasciato quelle settimane?
“All’inizio ho fatto un po’ fatica ad accettarlo, forse anche solo mentalmente. Però poi mi sono reso conto che poteva farmi soltanto bene. Ho avuto la possibilità di giocare qualche partita in più, di ritrovare ritmo, e mi ha aiutato tanto. Mi ha fatto anche capire, anche se già lo sapevo, che il livello del tennis è altissimo e che la distanza tra un giocatore e l’altro, anche tra due circuiti diversi, è davvero minima. Quelle settimane mi hanno dato consapevolezza e mi hanno dato la fiducia necessaria per portare anche nei Challenger quella continuità di gioco che avevo trovato giocando gli ITF”.
E fuori dal campo? In questi mesi difficili quanto è stato importante riuscire a stare bene anche come persona, non solo come giocatore?
“È un passaggio che ho dovuto affrontare. Per me, per tanto tempo, Francesco giocatore e Francesco persona erano praticamente la stessa cosa. E invece mantenere distinte queste due sfere è fondamentale. Anche grazie al percorso psicologico che sto facendo, e alla fortuna di aver incontrato una ragazza che mi ha aiutato tanto fuori dal campo, sono riuscito a vivere meglio anche le esperienze personali. E questo mi ha fatto ritrovare l’equilibrio. Sentirmi più bilanciato fuori dal campo mi rende anche più tranquillo nel fare quello che faccio. So che il Francesco tennista è importante, ma non deve invadere tutto quello che c’è nel Francesco. Il tennis è un lavoro che richiede tantissimo tempo ed energie ma alla fine bisogna anche godersi la vita”.
Quanto è stato importante per te lavorare sulla parte mentale? Nei momenti più complicati, lavorarci, ti ha aiutato a restare in piedi e a non perdere fiducia?
“Ci lavoro tanto. Per me è importante sentirmi bene a livello mentale. Sto portando avanti un percorso con il mio psicologo da diversi anni. Sto lavorando anche per migliorare le mie doti mentali in campo, per gestire meglio le situazioni di pressione e di difficoltà. Penso sia stato fondamentale non mollare su questo fronte, perché mi ha permesso di mantenere una mentalità forte anche nei momenti meno buoni. E sono convinto che questo tipo di lavoro mi aiuterà tanto anche in futuro”.
Che rapporto hai oggi col tennis? È cambiato il modo in cui lo vivi, nel quotidiano, nelle emozioni, nel lavoro?
“C’è tanta passione. Io sono uno che vive di tennis, mi piace anche guardarlo. Potrei guardare tennis per 15 ore al giorno. Ma, alla fine, mi rendo conto che ho anche bisogno di staccare. Ho un bel rapporto con questo sport, lo sento mio. E quello che sto cercando di fare adesso è proprio questo: prendere tutta questa passione e racchiuderla nei momenti in cui vado in campo. E poi, fuori, cercare di limitarla un po’, per evitare che diventi pesante. Anche le emozioni che provo sono forti, molto forti. Cerco di metterle solo in campo, ma a volte devo imparare a contenerle”.
Quanto può essere difficile, a volte, convivere con questo lato che ci hai raccontato? Ti è mai capitato di sentirti triste anche mentre facevi la cosa che ami di più?
“Sono un emotivo, molto sensibile. Questo significa che vivo tutto in modo intenso, ogni momento, ogni sensazione. Nei momenti buoni tendo ad andare molto su, ma nei momenti difficili vado tanto giù. E a volte, per me, è stato complicato trovare un equilibrio. La verità è che bisogna cercare di essere il più equilibrati possibile, anche mentre si lavora ogni giorno. Perché altrimenti rischi di non trovare più davvero piacere in quello che fai. E, paradossalmente, anche nei momenti belli rischi di non riuscire a goderteli fino in fondo, per tutto quello che senti di aver passato”.
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