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Jessica Bouzas: “Cerco di essere il più inconsapevole possibile”

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di Jaime Dávila, pubblicato da AS il 10 aprile 2025
Traduzione di Annalisa Midali e Lorenzo Zantedeschi

A questo punto della scorsa stagione, Jessica Bouzas Maneiro (Vilagarcía de Arousa, 22 anni) era ancora solita competere in tornei di minore importanza, ma la galiziana è esplosa sotto i riflettori nel 2024 grazie a vittorie di grande rilievo: ha battuto Paula Badosa a Madrid, Marketa Vondrousova a Wimbledon (era la campionessa in carica) e Katie Boulter allo US Open raggiungendo il terzo turno.

Ormai inserita tra l’élite del tennis (è numero 69 del mondo), Jessica si è guadagnata, dopo l’assenza di Badosa, lo status di numero uno della Spagna per la fase a gironi della Billie Jean King Cup, che la nazionale spagnola ha giocato lo scorso aprile contro la Repubblica Ceca e il Brasile a Ostrava. Prima della partenza per la città ceca, dove avrebbe dato il fondamentale contributo alla qualificazione alle Finali di settembre vincendo entrambi i suoi singolari, Bouzas ha accolto AS al Tennis Club Chamartín e, sempre con il sorriso, ha ripercorso la sua carriera.

Jessica Bouzas, numero uno della nazionale spagnola. Che effetto le fa sentirsi dire questo?
È soprattutto motivo di orgoglio, è un sogno che si avvera per me. Ho sempre detto che rappresentare la Spagna era uno degli obiettivi della mia carriera tennistica, lo dicevo da quando facevo da sparring, anche quando vedevo tutte giocare per la Spagna. È un torneo molto bello, siamo tutte unite in un’unica forza. Questo è uno sport individuale, e il fatto di essere in squadra, tutte insieme, è qualcosa di diverso e anche divertente. È una settimana speciale.

L’anno scorso è stata alle finali di Málaga, anche se non ha giocato. Fa un po’ paura debuttare e allo stesso tempo essere numero uno?
Più che paura, è una sfida. Nella mia carriera mi si sono presentate tante sfide e credo di averle affrontate, alcune meglio e altre peggio. C’è sempre una prima volta per tutto, non so se giocherò perché questa è una decisione della capitana, ma se sarà così, credo che avrò una squadra che mi sosterrà tantissimo. Mi sentirò molto supportata e credo sarà una cosa positiva.

Anabel Medina, con cui ha un ottimo rapporto, ha lasciato la capitaneria. Come ha accolto l’arrivo di Carla Suárez?
Molto bene. Quando ero sparring, era l’ultimo anno di Carla, e la verità è che mi ha trattato benissimo. Conoscerla già da prima è un grande vantaggio in una settimana come quella della Billie Jean King Cup, in cui si condividono 24 ore su 24, perché hai già fiducia e un po’ di conoscenza della persona. Mi è dispiaciuto per Anabel, perché ho un rapporto molto speciale con lei e ho sempre desiderato far parte della sua squadra. Sono contenta di essere stata a Málaga per la sua ultima partita di qualificazione come capitana. So che le andrà benissimo in futuro, perché è un’allenatrice e persona eccellente. Ora ha appena annunciato che continuerà a far parte della Real Federación Española de Tenis, e sono felicissima per lei.

E lei, dopo un tour negli Stati Uniti un po’ complicato, come si sente a livello individuale?
È stato un tour difficile. È vero che quest’anno ho cominciato a giocare contro tenniste di altissimo livello: Sabalenka, Rybakina, Sakkari, Potapova… Sono giocatrici e partite molto impegnative e credo di dovermi ancora abituare. Non si tratta tanto di essere più esigente, quanto piuttosto di imparare da queste sconfitte, dalle veterane che sono qui da più tempo di me e continuare a evolvere. Però ho fatto i quarti ad Antalya, con cambio di superficie, dove l’anno scorso avevo giocato piuttosto bene, e questo mi ha ridato fiducia. Alla fine, ogni settimana è diversa, può succedere di tutto, quindi ho piena fiducia nel lavoro e nei risultati.

L’anno scorso è stato quello della sua esplosione, quest’anno della sua affermazione. Cosa è più difficile?
Non saprei dirlo. Entrare nella top 100 era una sfida, ho lottato per anni. L’anno scorso ho disputato molti tornei positivi, anche se ci sono state settimane meno buone. Il tennis è uno sport che si gioca settimana per settimana, devi competere costantemente ed essere sempre al top, ma può succedere qualsiasi cosa. Ora, come dicevi, è l’anno della mia affermazione, e questo credo sia il mio obiettivo principale.

Dice che entrare nella top 100 era un obiettivo. Ora guarda meno al ranking, avendolo raggiunto?
Credo di guardarci ancora di più. Io sono ambiziosa e voglio continuare a migliorare, però devo anche essere consapevole che il ranking va e viene… Sono arrivata alla conclusione che è solo un numero, ma riflette ciò che ti meriti. Il lavoro, tutto ciò che comporta dentro e fuori dal campo, si riflette lì. Ora ne sono più consapevole: se scendo forse c’è qualcosa da migliorare, se salgo devo continuare così e cercare di avanzare.

Nel 2024 le è cambiata la vita, almeno tennisticamente. Come ha gestito il successo?
Onestamente, non ho più rivisto la partita di Wimbledon, né quella di Madrid, né quella con Sabalenka (a Melbourne quest’anno). Sono match che segnano un prima e un dopo in molte cose della mia vita, ma cerco di non lasciare che ciò accada. Ovviamente, mi hanno dato fiducia, entusiasmo, l’orgoglio di avere quella visibilità, la sensazione di poter stare lì, di raggiungere obiettivi… Ma cerco di continuare sulla stessa linea. Ovviamente è difficile, la vita cambia da un momento all’altro, ma ho una squadra intorno a me che mi tiene con i piedi per terra. Credo che finora ci stiamo riuscendo, ed è una delle cose che più apprezzo.

Dà l’idea di esaltarsi nei grandi stadi, davanti a migliaia di spettatori, come a Wimbledon o Madrid.
Non lo so, perché la verità è che prima di quelle partite ero… piuttosto terrorizzata (ride), non te lo nascondo. Ma è normale. Credo che tutte le giocatrici, anche Sabalenka, che ormai gioca solo nei campi centrali perché se lo merita, o Iga (Swiatek), tutte si innervosiscono prima di entrare. Io cerco di gestire quei momenti, ma non so mai cosa può succedere. Prima di ogni partita c’è quella tensione del campo centrale, ma è anche vero che mi diverto molto. Sono stata abbastanza fortunata perché ogni volta che ho giocato ho sentito affetto da parte del pubblico, e quando mi diverto gioco meglio. Penso che questa sia la chiave.

Su cosa sta lavorando di più nel suo tennis?
[Con il mio team] ci stiamo concentrando molto sulla consistenza, sul migliorare il servizio, sull’aumentare le percentuali, sul chiudere meglio i punti a rete… Oltre a ciò, anche sulla parte mentale e fisica.

Il tennis va sempre più verso la potenza pura. Lei come si trova con questa tendenza?
Cerco di non pensarci troppo, semplicemente mi adatto alle circostanze. Credo di poter offrire sia aggressività che difesa, quindi per ora non è un problema. È vero che ci sono giocatrici alte 1,80 con altri strumenti, ma ognuna ha i propri punti di forza e bisogna saperli sfruttare.

In un certo senso, attualmente c’è la “scuola Sabalenka” e la “scuola Swiatek”. A chi si ispira, o si è ispirata, lei?
Ho sempre ammirato moltissimo Garbiñe [Muguruza], soprattutto per il suo stile di gioco. Non ho avuto molte occasioni di incrociarla. Ad oggi mi ispiro a giocatrici come Sabalenka, che penso abbia una mentalità vincente spettacolare, la sua competitività è incredibile. Mi ispiro anche all’intensità e l’esplosività di Swiatek. Poi, di Paula [Badosa] mi piace molto il gioco, e di Sara Sorribes [Tormo] ammiro tantissimo il modo in cui vive il tennis e lavora. Lei per me è un punto di riferimento a livello di umiltà, valori e per come lavora ogni giorno. Inoltre, anche perché mi è molto vicina, è una giocatrice che mi ha sempre sostenuto fin da quando ero giovane. Con Paula ho avuto più occasioni di confronto, e anche da lei cerco di imparare. Cerco di imparare un po’ da tutte loro.

Lei è l’ultima giovane spagnola ad essersi affermata. Come vede lo stato di salute del tennis spagnolo?
Sinceramente non seguo molto le categorie giovanili, ma sento dei nomi in tornei dove ho partecipato. In Spagna si dà molta importanza al tennis. Ho speranza che emergano nuove giocatrici. Oggi magari non se ne vedono tante come prima. Nel maschile abbiamo un sacco di giocatori, vedere Alcaraz o Rafa, che son prodigi del tennis, è quasi “troppo” alto come paragone. Ma penso che bisogni continuare a supportare anche il femminile. Ci siamo io, Paula, Sara, Cristina, Nuria… e dietro ci sono giocatrici molto brave come Leyre [Romero], Marina Bassols, Burillo… Ce ne sono molte con talento. Spero che si continui a ispirare le nuove generazioni.

Dice che sembra manchi qualcosa. Forse perché il pubblico è abituato ai successi di Nadal, Alcaraz, Conchita, Arantxa, Garbiñe e compagnia… e ora non valorizza abbastanza gli altri?
Non credo che il pubblico sia “viziato”, è che il livello è davvero altissimo. Quando vedi quello che può fare un paese come la Spagna con questi fenomeni, è normale avere aspettative. Ma non voglio sminuirli: sono loro che danno vita al tennis. Tra Alcaraz e Rafa si possono fare molti paragoni, ma Alcaraz è Alcaraz e Rafa è Rafa.
Rafa ha fatto cose incredibili, e per me è il più grande della storia per quello che ha trasmesso a noi spagnoli e al tennis in generale. Allo stesso modo anche Garbiñe è un esempio, con i suoi Slam, le finali… Sono modelli che ti spingono ad andare avanti, ma è anche vero che ci sono altri che fanno cose incredibili e che meritano più visibilità.

Si parla molto della questione economica, soprattutto dopo la denuncia della PTPA. Lei ha vissuto entrambe le facce del tennis avendo giocato nei tornei minori.
Piano piano si sta iniziando a vedere l’altra faccia del tennis. È uno sport dove ci sono giocatori molto bravi che, purtroppo, non possono vivere di questo. Novak sta insistendo molto su questo punto, e io personalmente, ma anche altri giocatori che ho sentito, lo ringraziamo perché è importante dare visibilità a chi ha un livello altissimo ma non ha le risorse per mantenersi. È una realtà dura in uno sport come il tennis. Se lo paragoni al calcio, senza sminuirlo, ci sono giocatori non al top che guadagnano molto più di tanti tennisti, ed è un peccato.

I top-20 hanno chiesto montepremi più alti nei Grand Slam. Anche l’élite ha bisogno di più soldi?
Più che bisogno, credo sia giusto. È una ricompensa. Se un torneo genera X e la gente viene per vedere i giocatori, non ricompensarli non è giusto. Oltre a ciò, sono totalmente d’accordo perché ci sono altri sport dove si premia di più, e nel tennis le cifre sono basse in proporzione a quanto si potrebbe. È un bene che tutto questo venga valorizzato e che gli sia data più visibilità.

Come fa a sentirsi meno sola in uno sport così solitario?
Mi sento fortunata con tutto quello che mi circonda, per la famiglia e gli amici che ho, dentro e fuori dal tennis. Sono una persona super normale, anche se viaggio quasi sempre e non vedo spesso la mia famiglia, i miei amici… Ma ho la fortuna che tra i miei amici ci siano due calciatori professionisti, ci capiamo benissimo e cerchiamo di vederci il più possibile. Casa mia è in Galizia, ho amici lì e a Madrid e mi considero molto fortunata per questo. E nel circuito ci sono parecchie persone con le quali ho rapporti molto belli e credo che nonostante sia uno sport solitario, il che è vero, io non mi senta sola.

Che obiettivi ha per quest’anno?
Continuare con lo stesso livello di impegno. Sembra contraddittorio in relazione a quello che ho detto prima, ma cerco di non fissarmi troppo sul ranking, perché quest’anno lo sto facendo troppo, mentre prima no, anzi non sapevo nemmeno quanti punti guadagnavo né quanti soldi guadagnavo. Se vinci un paio di turni, sai che sono più o meno X punti e una determinata quantità di soldi, ma sto cercando di restare il più inconsapevole possibile, perché è così che gioco e che le cose mi sono andate bene.
Ovviamente si matura, si cresce, si giocano tornei ed è un po’ impossibile evitare tutto, ma soprattutto voglio continuare con l’impegno, continuare con la mia squadra, continuare con la stessa umiltà e cercare di consolidarmi in questa classifica.

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