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Roland Garros, Bublik: “I primi due set ero assonnato, poi mi sono svegliato”

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C’è un Bublik che s’incanta, che si perde in smorfie e tweener, e poi c’è il Bublik delle giornate che, senza preavviso, ti stappa fuori dal cilindro una rimonta da raccontare, non sappiamo se hai nipoi…ma di sicuro a qualcosa che ama ciò che rappresenta questo giocatore. Un giocatore che non sai mai quando inizia il giocatore e finisce il teatro o viceversa. È quest’ultima versione del kazako, quella del giocatore vero, a sorprendere tutti sul Court Simonne-Mathieu, dove Alexander Bublik ha ribaltato un match che sembrava scritto, superando Alex De Minaur in cinque set con il punteggio di 2-6 2-6 6-4 6-3 6-2.
Un successo che non è solo tecnico, ma esistenziale. Perché a sentire il protagonista, non è stata una battaglia contro l’avversario, ma contro se stesso. “Non c’è un segreto, semplicemente ho continuato a giocare”, spiega con il suo solito tono a metà tra il disincantato e lo scanzonato. “Avevo qualche occasione e l’ho sfruttata. Poi è cambiato un po’ il momentum. Ma soprattutto, era troppo presto. Alle undici del mattino io ancora dormo. Nei primi due set ero proprio mezzo addormentato.”
E a vederlo, in effetti, sembrava che quel match gli pesasse come un turno al consolato per rinnovare il passaporto. Gli occhi languidi, i piedi pesanti, il corpo presente ma lo spirito chissà dove. “Controllavo già i biglietti per tornare a casa, ero pronto a prendere il volo per Monaco, sarei stato a casa per le nove di sera.
Ma poi, come spesso accade con certi artisti che sembrano navigare a vista, è bastato un lampo, una crepa nel muro eretto da De Minaur, per rimettere in moto la macchina. “Mi sono detto: sono ancora qua, sto colpendo la palla. Se ho una chance, so di poter battere questi ragazzi. E Alex, nel terzo set, ha avuto quel piccolo calo. Io l’ho preso.

Il risveglio e la gloria

Il turning point arriva nel terzo set, sul più classico dei cali di tensione di chi sta dominando. “Lui ha fatto qualche errore, mi ha regalato un break. E da lì ho iniziato a crederci un po’. Mi sono detto: dai, almeno questo set portiamolo a casa. Poi anche il quarto… e quando ho visto che continuava a darmi qualche punto, ho pensato: perché no?
La chiave, secondo Bublik, non è stata tanto tattica, quanto anagrafica. “Per me la cosa più difficile degli Slam è proprio il format. Oggi alle 11? Ma dai! Io alle 10 mi sveglio, alle 9 al massimo. Mi bevo il caffè, gioco con mio figlio, chiacchiero con la mia famiglia. Magari esco di casa a mezzogiorno. Forse. Alle undici non ce la posso fare. Ma oggi mi sono svegliato nel terzo set. E da lì è stato tutto diverso.
Alla fine, resta una vittoria che potrebbe pesare più di quanto non dica il tono quasi svagato del kazako. “È sicuramente uno dei miei migliori match negli Slam, se non il migliore. Ho avuto un incontro simile contro Rublev nel 2023. Ma contro De Minaur, uno dei più solidi in assoluto, è stata dura. Mi ha fatto correre come un matto. Non molla mai nulla. Eppure, ogni occasione che ho avuto l’ho sfruttata. Questo fa la differenza.
Quando gli si chiede se ci sia stato un momento in cui ha davvero pensato: “Questa la vinco”, risponde con candore. “Nel terzo set, quando mi ha regalato il break. Poi un altro. E allora mi sono detto: sto servendo bene, sto giocando profondo, magari oggi è il giorno giusto. E alla fine lo è stato.”

L’arte del momento, il rifiuto della routine e quelle parole con Monfils

In conferenza stampa Bublik è un fiume in piena, ma non urla mai. Anzi, parla come se stesse raccontando a un amico, tra una sigaretta e un caffè. “Non sono il tipo che vuole perdere partite in uno Slam, però è vero, anni fa magari avrei lasciato andare il match. Ora no. Ho 28 anni, sono da sette nei primi 50 del mondo. Conosco il gioco. Se mi arriva l’occasione, la prendo. Se non arriva, pazienza; oggi è arrivata.
Sul piano tattico, qualche variazione c’è stata. Ma anche lì, tutto sembra frutto dell’istinto più che di un piano premeditato: “Sì, forse ho usato un po’ meno il dropshot nel terzo set, ma era anche perché Alex arrivava ovunque. Poi ho sentito bene il dritto, e ho pensato: continuiamo così. Alla fine, nel tennis si tratta di vincere quei due o tre punti chiave. Oggi sono andati dalla mia parte.
Tra un colpo da highlight e un inchino al pubblico, Bublik ha anche stregato il pubblico parigino con la sua solita vena teatrale. Ma non è solo show: c’è, forse, un Bublik nuovo sotto la superficie. Uno che, pur dichiarandosi apertamente “non il più professionale del circuito“, riconosce che oggi il tennis è diventato un affare per gente super organizzata.
Ho avuto una bella conversazione con Gael Monfils a Dubai, dopo una serie di sconfitte di seguito. Gli dicevo: ma ti ricordi quando il tennis era facile? E lui mi ha risposto una cosa molto saggia. ‘Alex, ora tutti sono diventati professionisti. Si svegliano presto, corrono, fanno trattamenti, hanno il fisioterapista, l’allenatore. Non è più come una volta.’ E aveva ragione. Prima c’erano molti che lo facevano quasi per divertimento. Ora è tutto sistematico. E per uno come me, che magari fa le cose un po’ a modo suo, è dura. Però devi trovare il modo per batterli comunque.
E poi sorride. Dovremmo lasciare più spazio al divertimento, secondo me, ma ormai è così. E giocare contro questi soldatini perfetti è tosto.

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