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Musetti e Arnaldi, Swiatek tra le lacrime, Paolini in ambasce: le risposte alle domande di Madrid

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Uno dei modi dire più attinenti alla natura di questo breve scritto, recita più o meno così: “la qualità delle risposte che ti dai dipende dalla qualità delle domande che ti fai”. Ecco, in tal senso, non abbiamo nessuna particolare pretesa in merito alla qualità delle risposte perché riteniamo che le domande poste abbiano una base solida di concretezza e che quindi, tutto ciò che ne deriva, è logica conseguenza. Ma è davvero così? Vediamolo. 
Come da tradizione che precede ogni Masters 1000, anche a Madrid ci siamo fatti cinque domande su cosa avrebbe potuto raccontare il torneo. Un torneo che si è chiuso pochi giorni fa con i successi di Aryna Sabalenka nel tabellone femminile e di Casper Ruud in quello maschile.

Se tra le donne si è trattata della rinnovata apposizione del sigillo della papessa del tennis su un torneo del circuito, per Casper Ruud si tratta del primo grande successo di una carriera che l’ha visto a pochissimi punti dall’essere il numero 1 al mondo, non più tardi di tre anni fa. Questo sport è strano, ma forse per questo così affascinante. Detto ciò partiamo con il provare a rispondere a queste fatidiche domande, andando per ordine.

L’altura di Madrid: come influenzerà i giocatori?

È sempre un quesito che irrompe quando si parla di sport a Madrid, in particolar modo del tennis. I 600 metri di altitudine (e non 800 come detto improvvidamente da qualcuno) rappresentano una condizione che influenza l’andamento fisico di una pallina che scorre maggiormente, che salta di più e che di fatto depotenzia quello che potremmo definire “l’effetto terra rossa”. In tanti tra i giocatori sottolineano spesso questo differente contesto, rispetto agli altri grandi tornei su questa superficie: Monte Carlo, Roma…Parigi. Ma è davvero così? Diamo un’occhiata alle semifinali del torneo femminile e maschile. In mezzo al gruppo spicca la futura campionessa Aryna Sabalenka, affiancata da Iga Swiatek, Coco Gauff ed Elina Svitolina. Cosa le accomuna? Una confidenza crescente con la terra battuta, se non proprio una costanza assoluta, quantomeno la capacità di adattarsi con efficacia alle sue insidie: è vero o no che Coco Gauff ha vinto il suo primo torneo WTA sul rosso di Parma? La polacca, ex numero 1 al mondo, è la giocatrice che ha vinto tre volte il Roland Garros? Svitolina ha da poco vinto a Rouen: su che superficie? Già… Su Sabalenka non aggiungiamo altro, se non… Madrid. Qui ha vinto per la terza volta dopo aver disputato le finale, negli anni, di Roma, Stoccarda.
E tra gli uomini? Cerundolo, Musetti, Ruud, Draper. Un poker di giocatori nel quale l’unico che potremmo definire “intruso” è il finalista inglese, uno non particolarmente abituato alla superficie e che forse è l’unico del novero a poter aver ricevuto un piccolo vantaggio dal suo essere cresciuto su campi dove la palla va più veloce. Per il resto, nessuna sorpresa: chi gioca bene su terra, superficie che vie di vita propria, lo fa indipendentemente dall’altura. 

Swiatek-Eala è il match femminile del torneo?

Rileggendola col senno di poi questa domanda potrebbe essere riconsiderata, eppure ha un suo perché e difendiamo la sua scelta. Iga era (è?) in un momento di crisi di risultati, la sfida con la giovane promessa Eala poteva rappresentare uno spartiacque importante della sua stagione, soprattutto dopo la sconfitta di Miami. È stata una bella partita, decisasi solo al terzo set, dopo che la filippina era riuscita a vincere il primo 6-4. Perdere avrebbe voluto significare certificare una crisi che più di risultati è evidentemente mentale. Prova ne sono le lacrime in semifinale della ragazza polacca mentre Coco Gauff la batteva in modo piuttosto netto con un doppio 6-1. Perdere con Eala sarebbe stato peggio, ma di sicuro in Swiatek c’è qualcosa che non gira come vorrebbe. Si chiama fiducia e se manca è un problema.

Carlos Alcaraz cerca la tripletta madrilena: il fisico lo aiuterà?

No. Risposta secca: inutile aggiungere altro. Il fisico non ha retto dopo le fatiche di Monte Carlo e Barcellona; lo rivedremo a Roma. In che condizione però non è dato sapersi.

Jasmine Paolini, dopo Stoccarda sarà vera gloria?

Anche qui, risposta ahimè piuttosto netta: no. No, nel senso che inevitabilmente ci si aspettava tutti, lei in primis, qualcosa di più dal torneo, terminato al terzo turno per mano di una non irresistibile Maria Sakkari. I progressi visti a Stoccarda sono spariti tra le calde e caotiche vie di Madrid, dove non abbiamo mai ammirato la migliore versione di Jasmine, quella che sa trovare soluzioni inattese, restare in partite dove sarebbe più facile mollare che resistere. Abbiamo notato una Jasmine alle volte anche un po’ scoraggiata, ma non deve esserlo. Ha cambiato allenatore, uno che crede molto in lei e nelle sue qualità e caratteristiche, ci va del tempo per riadattarsi, per conoscersi. Piccolo consiglio non richiesto: tutti sottolineano le due famose finali in arrivo e i relativi punti da difendere. È stress inutile, pressione che non è più un privilegio ma quasi un’ansia, come se quei punti fossero condanne tributarie per qualche versamento non effettuato correttamente. Sia quel che sia, ritrovando serenità e gioco, il resto verrà da sé.

L’azzurro sul rosso: ci sarà gloria per gli italiani a Madrid?

Forse potremmo non definirla gloria, ma soddisfazioni sì. E non parliamo solo della conferma di Musetti ad alti livelli, fermato solo in semifinale da un Draper che ha saputo dare la zampata finale ad un tie break che se fosse girato diversamente, probabilmente avrebbe indirizzato la partita in altro modo; ma parliamo di altra storia. Una storia che ha visto comunque Lorenzo Musetti, grazie all’ottimo torneo, entrare di prepotenza e con merito al numero 9 della classifica mondiale, con tanti saluti a detrattoti su continuità e comportamento. Si cresce e si matura, non solo nel tennis ma anche nella vita.
Luci della ribalta anche per Matteo Arnaldi: battuto un Djokovic in disarmo, ha compiuto il suo capolavoro madrileno nel match con Tiafoe, giocatore che sulla carta dovrebbe essergli superiore, ma che invece, non essendo dotato di particolare acume tattico, è stato travolto dall’intelligenza terraiola del giovane azzurro. Si è arreso solo ai quarti di finale con il finalista Draper, ma tutto sommato il bilancio di questa edizione, per Arnaldi, non può non essere positivo. 
Ritiratosi al terzo turno invece Matteo Berrettini, che nel match con Draper (vero spauracchio azzurro, a conti fatti…) dopo aver perso il primo set al tie break ha deciso di fermarsi a causa di un problema ai muscoli addominali già particolarmente martoriato in passato. Ha pensato a Roma e ha fatto bene.

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