Il saluto al tennis di ‘Sabbo’ Caruso: il guerriero col sorriso oltre i limiti e le fragilità
“Senza disciplina, ogni cosa si corrompe, si guasta. Il dolore educa” prendiamo in prestito alcuni dei versi più celebri dell’immenso Mario Vargas Llosa, passato a miglior vita lo scorso 13 aprile, uno dei più grandi scrittori della sua generazione nonché uno dei principali riferimenti della letteratura sudamericana di ogni epoca, perché ci appaiono come la forma di omaggio più vera per il protagonista di questo articolo.
In una giornata pienamente estiva vissuta nella Capitale, un martedì mattina (lo scorso 29 aprile) con il sole romano che batte ormai forte comunicandoci che l’estate sta arrivando, la sconfitta contro il ventenne Massimo Giunta (classe 2004) nel primo turno delle Pre-qualificazioni maturata sul Campo 1 del Foro Italico ha sancito la fine di una carriera. Salvatore Caruso ha chiuso gli occhi, si è goduto quell’ infinitesimale istante fino in fondo. Lo ha preso per mano e lo ha vissuto intensamente, per ricordarsi quel sapore, quel profumo, quel suono di un momento che non dimenticherà mai. Lo ha affrontato imbevendosi dell’attimo con tutti i sensi, prima il ringraziamento al cielo per averlo accompagnato e protetto nel suo percorso da atleta poi si è rivolto verso il basso. Si è accovacciato per toccare un’ultima volta quella terra rosso fiammeggiante, per salutare un’amica di tanti viaggi nei luoghi più sperduti del Pianeta ma anche in quelle mete tennistiche dove tutti sognano di essere. Quasi sicuramente la rivedrà già fra qualche ora ma non sarà mai più come prima, non sarà mai più come quell’ultima carezza.
La Sicilia, Siracusa, Avola perdono il loro ambasciatore del tennis. Sabbo, come lo chiamano gli amici, è stato autentico rappresentante della terra che ne ha dato i natali. Sudore, fatica, abnegazione di un’isola spesso spigolosa che per essere attraversata nelle sue diverse anime necessita di spirito di sacrifico ma allo stesso tempo tutto questo cammino, tutto questo sentiero viene selciato con il sorriso stampato sulle labbra, con la solarità di chi sa di aver realizzato un sogno e che per questo bisogna sempre rammentarsi di godere dei frutti di quell’ incessante e duro lavoro che ti ha spinto sin lì. Anche se a volte, un’immediata spensieratezza altro non è che un’illusione o una maschera da indossare per sentirsi più forti.
Prima che di titoli, classifica, risultati, Salvo Caruso è stato un tennista di valori: umani e morali. Se ne va un tennista con la schiena dritta del mestierante, di colui che ha dovuto sgomitare per arrivare dove è arrivato. Di chi aveva colpi “normali” di cui tanti sono in possesso, eppure lui è arrivato ad essere n°76 ATP altri si sono fermati nei tornei Open. Perché il colpo tra le orecchie e nel caso di Salvatore, quello che si staglia in mezzo al petto vale molto di più di un dritto e di un rovescio, di un servizio o di una volée. Che Guevara diceva che per essere un grande rivoluzionario, la dote irrinunciabile è l’amore che si prova verso l’essere umano; beh potremmo affermare che per fare quello che ha realizzato Salvatore Caruso non si può prescindere dall’amore e dalla passione verso il gioco del tennis. Non il mestiere che ti dà da vivere, ma una spinta esistenziale senza cui non potresti vivere.
Le coppe alzate, i traguardi Slam
8 titoli nel palmares del trentaduenne, nato il 15 dicembre del 1992 – lo stesso giorno di Paolo Lorenzi, il senese è però di 11 anni più grande – nella città famosa per un noto vitigno, 6 a livello Futures e 2 nel circuito Challenger: i due successi più importanti arrivarono a cavallo del biennio 2018-2019 a Como e Barcellona, superando in finale avversari di livello come Garin e Kovalik. L’unica piccola gioia ATP è arrivata in doppio, nel ‘cinquecento’ di Rio del 2020 quando insieme al faentino Federico Gaio disputarono un grandissimo torneo arrendendosi solamente dinanzi ad una coppia avversaria di suprema caratura: gli odierni campioni di Madrid Granollers/Zeballos, che tuttavia dovettero tirare fuori il loro meglio per aggiudicarsi il titolo spuntandola solo 10-7 al tie-breakkone.
Negli Slam ha superato il primo turno almeno in una circostanza in tre prove su quattro: unicamente a Wimbledon non è mai andato oltre i sessantaquattresimi (è riuscito ad accedere al tabellone principale sia nel 2019 sia nel 2021). Il migliore risultato è il terzo turno raggiunto in un paio di occasioni: al Roland Garros del 2019 e allo US Open 2020. In Australia al massimo trentaduesimi nell’edizione del 2021, quando perse al quinto da Fognini: partita divenuta famosa per le scintille alla stretta di mano. 4 i successi contro Top 30.
I momenti iconici della carriera di un guerriero col sorriso
Malek Jaziri: Australian Open 2018
L’illusione spentasi alla distanza. L’esordio Slam che inizia per Salvo come meglio non avrebbe neanche potuto sperare nei suoi sogni più pindarici. Vince i primi due set, poi però pur continuando a spingere il tunisino risorge. Impresa sfiorata, ma solo rimandata.
David Goffin: Phoenix 2019
Una delle vittorie più pesanti della carriera del siciliano, per valore e classifica del rivale. Nel Challenger in Arizona, competitivo ai massimi livelli con sempre tanti Top 100 in gara, ai quarti supera il belga: n°1 del tabellone e all’epoca n. 21 al mondo. E’ il primo capolavoro del tennista di Avola, l’affermazione più prestigiosa in carriera è realtà.
Novak Djokovic: Roland Garros 2019
E’ una sconfitta, ma è sicuramente la “partita” di Sabbo Caruso. Quella che racconterà a figli e nipoti quando rimembrerà il suo vissuto tennistico. Potrà dire loro: vostro padre, vostro nonno ha giocato sullo Chatrier contro Novak Djokovic e il pluricampione serbo dopo il match mi ha fatto anche tanti bei sinceri complimenti, dicendo che il punteggio finale (6-1 6-2 6-4) non riflettesse le difficoltà che ha dovuto superare (“Onestamente Caruso mi ha sorpreso, specie di rovescio si è dimostrato molto solido. Il punteggio non rispecchia l’andamento del match, è stata dura. Soprattutto nei primi due set”). Quell’edizione dell’Open di Francia fu veramente una magnifica pernice del Caruso tennista: giunse al terzo turno dopo aver battuto in quattro set Jaume Munar e soprattutto dopo aver potuto nettamente il francese Gilles Simon (al tempo Top 30, n. 26 ATP)
La semifinale di Umago, il primo timbro contro un Top 20
Il 2019 è uno dei due anni magici della carriera di Salvatore. Chiusa l’eccezionale esperienza parigina, l’anno prosegue meravigliosamente. A Roheampton per la prima volta abbatte il muro delle quali londinesi, prima che Simon si prenda la rivincita a distanza di un mesetto. La forma però è ottimale e Caruso lo dimostra compiutamente volando in Croazia. Supera le qualificazioni ad Umago prima di regalarsi una serie di prestazioni strepitose: inaugura il torneo facendo fuori Moutet senza sbavature, dopodiché lo Scarface su una carriera. Aggiorna il ranking dell’avversario più alto mai sconfitto, pochi mesi dopo il successo su Goffin estromette agli ottavi del ‘250’ balcanico la seconda testa di serie e n°14 ATP Borna Coric – contro cui già quattro anni prima era andato vicinissimo a firmare lo scalpo, nel primo round delle quali degli Internazionali d’Italia (quando il croato era n. 53 ATP) perdendo soltanto al tie-break del terzo dopo aver vinto 6-4 il primo. Per la prima volta dimostra di essere superiore a un Top 20. Nei quarti liquida Bagnis, prima che il sogno venga brutalmente spezzato dal suo fisico che si oppone alla fine del primo set obbligandolo al ritiro con Lajovic.
Jannik Sinner: Cincinnati 2020
Il record che lo potrebbe consegnare all’eternità. Molti forse ingiustamente lo ricorderanno solamente per questa vittoria, in fin dei conti nella sua carriera ce no state diverse più significative, ma alla fine della fiera è una bella ingiustizia. L’ultimo italiano a sconfiggere su un campo da tennis Jannik Sinner, prima che il fuori scala della Val Pusteria vincesse le successive quattordici sfide contro connazionali. Accadde cinque anni fa nel primo turno del tabellone cadetto di Cincinnati che in quella stagione a causa del Covid non si tenne regolarmente in Ohio ma eccezionalmente a Flushing Meadows (per la bolla creata ad hoc in vista dello Slam): dopo la vittoria su Jannik, in rimonta per 5-7 6-4 6-2, Salvo sconfisse anche Jordan Thompson prendendosi il main-draw dal quale fu defenestrato per mano di Krajinovic.
Il primo successo in un ‘Mille’ a Roma e i quarti a Sofia
Concludiamo la nostra carrellata con gli ultimi due momenti iconici: la prima vittoria in un Masters 1000, materializzatasi nel 2020 a Roma dove partecipò grazie ad un invito: estromise Sandgren prima di racimolare 5 games con Djokovic. L’ultimo grandissimo acuto di Caruso risale invece all’autunno 2020, quando fu protagonista della seconda cavalcata in un torneo ATP dopo la semifinale di Umago. In Bulgaria, a Sofia batté Kuzmanov e soprattutto il n. 21 Auger-Aliassime prima di cedere a Gasquet. Quel risultato gli garantì, il 16 novembre 2020, di chiudere l’anno al n. 76 ATP: suo best ranking.
Ora di seguito vi riportiamo la bellissima intervista rilasciata da Caruso a Matteo Mosciatti di Spazio Tennis, in cui dopo aver deciso di ritirarsi fa un excursus interiore della sua carriera. Un profondo torrente di sentimenti, emozioni struggenti, a volte più o meno insabbiate nei suoi anni di professionismo. Le note liete ma anche le fragilità di un uomo che non si è mai distaccato dalla propria visione valoriale del mondo che lo circonda. Diversi i temi toccati, con riferimenti al tennis di ieri, di oggi e del futuro; in particolare il suo.
L’amore per il tennis
“Ho deciso di chiudere al Foro per tanti motivi. Volevo chiudere un cerchio e per rispetto della mia persona e della mia carriera volevo farlo in un luogo per me simbolico e significativo. Con il Foro ho sempre avuto un rapporto di odio e amore: ci ho debuttato nel 2013, ci sono spesso arrivato in gran forma, giocando molto bene, ma alla fine ci ho vinto solo la partita contro Tennys Sandgren nel 2020. Mi piaceva l’idea di chiudere il cerchio in un luogo che mi ha dato tanto. Giocare al Foro italico per un italiano è una delle ambizioni più grandi. Volevo lasciarci questo ricordo. Io non sono legato a quello che la gente vede o che la gente è, ma a quello che provo io in un determinato momento. Sapevo che sarebbe stata la mia ultima partita e ammetto che dopo aver vinto il primo game ho sentito un’emozione particolare. Sono sereno per la scelta che ho fatto, ma adesso vedo chiudersi un pezzo della mia vita. La cosa che fa più male è la consapevolezza di non poter mai più provare le emozioni che il campo mi ha dato in tutti questi anni, perché per il campo provo un amore totale. Ho sempre cercato di trasferire qualcosa a chi guardava le mie partite: quel bacio finale è per me un modo per mostrare il mio rispetto per il tennis, che mi ha dato molto più di quanto avrei mai potuto immaginare”.
Gli insegnamenti ma anche i lati oscuri: Il campo non mente
“Ce ne sono tanti. Il tennis mi ha insegnato a superare i miei limiti, mi ha fatto crescere come giocatore e come uomo. Se oggi sono l’uomo che sono è sicuramente grazie alle esperienze che ho fatto in campo e alle persone che mi sono state vicino in questi anni: a volte sembrava quasi che ci credessero più loro che io. Se devo scegliere un ricordo penso all’abbraccio con coach Paolo Cannova dopo aver vinto il Challenger di Barcellona 2019 che mi valse l’ingresso nella top 100 del ranking ATP. Dieci anni di lavoro insieme per quel momento. Resilienza, caparbietà, il grande disegno che ti porta ad un traguardo. Penso a tutta la mia famiglia a Parigi per vedermi affrontare Djokovic al terzo turno del Roland Garros 2019. Mi reputo una persona molto fortunata. Ne ho avuti di momenti negativi. A volte mi sono sentito perso. Nel 2018 a Francavilla al Mare persi al primo turno e iniziai a dubitare di me stesso e di quanta voglia avessi di giocare a tennis. Ho dubitato di me stesso dentro al campo da tennis. Ma penso che dai momenti brutti uno debba uscire più forte. Mi sono dato le mie risposte e con il tempo ho ritrovato la felicità. Poi ho vissuto un altro periodo molto particolare della mia vita in generale: il 2022 è stato per me un anno di sofferenza totale. Al Challenger di Parma ho avuto un malore che mi ha costretto al ritiro: mi sono sentito nudo davanti al mondo, senza difese. Si palesò un problema che avevo da mesi. Non ero depresso ma quasi. Non ero felice della mia vita, giocare a tennis era passato quasi in secondo piano. A volte fuori dal campo puoi mettere una maschera, puoi camuffare se non stai bene. Purtroppo dentro non lo puoi fare”.
Quando la luce si spegne
“Quell’anno (il 2022) pochi giorni prima di Parma, durante un match in un altro challenger avvertii di poter crollare da un momento all’altro. Ho imparato che nella vita ci sono momenti non facili, momenti in cui non si è felici. Bisogna aprirsi, non chiudersi. Parlare. La comunicazione aiuta tanto. È importante far ‘entrare’ le persone che ti stanno vicino. Farsi vedere fragili non è una debolezza ma una forza. Chiedere aiuto è una forza. Ricordo che la sera dopo l’episodio di Parma andai a cena con i miei amici Alessandro Giannessi e Andrea Arnaboldi: facevo fatica a stare a cena con loro. Facevo fatica ad accettarmi nel mondo. La salute mentale è diventata importantissima nello sport e a livello umano, per chiunque. La priorità deve essere la felicità, bisogna essere onesti con se stessi”
Il ‘Malato di emozioni’ dal cuore d’oro
“Ho sempre desiderato trasmettere qualcosa. Sono sempre stato me stesso. Mi viene in mente quando superai le qualificazioni del Roland Garros: durante l’intervista scoppiai a piangere. Avevo superato un mio limite. Io sono un po’ così. Anche adesso che mi ritiro ho sensazioni particolari. Mi definisco uno ‘malato’ di emozioni. Se mi dicessero che nei prossimi dieci anni potrei rivivere le emozioni che mi ha dato il campo a patto di dover restituire una macchina nuova, appena acquistata, accetterei senza pensarci. Magari questo essere genuino in tutte le situazioni è piaciuto alla gente. Magari anche mostrarmi fragile a livello umano è stato apprezzato“.
L’avversario più tosto, il grande esempio che non ti aspetti
“Al di là di Novak Djokovic, che ho affrontato in momenti in cui giocava particolarmente bene, dico Andrey Rublev (il russo sconfisse Caruso nel suo ultimo terzo turno Slam a New York nel 2020, concedendogli appena 4 games. Si rincontrarono in seguito al secondo turno di Montecarlo 2021). Non ci potevo vincere mai per come colpiva la palla, per come giocava. Mi dava la sensazione di non poterlo assolutamente battere. Non voglio offendere nessuno, ma non avrei mai immaginato di poter leggere Constant Lestienne numero 48 del mondo o che Laslo Djere, che non sa fare la volée, potesse vincere tre tornei ATP. È follia ma è anche molto bello. Il tennis insegna che non contano solo le qualità tennistiche. Tante altre cose ‘fanno’ un giocatore. È facile elogiare uno che gioca come Musetti, ma ci sono pure quelli che la mattina si guardano allo specchio, potevano essere 3.1 e invece sono 50 del mondo. Un altro è Alessio Di Mauro (numero 68 ATP nel 2007, ndr), un grande esempio per me sin da quando ero bambino. In campo era intelligentissimo, così riesci a superare i tuoi limiti”.
I Big Three un’ispirazione, la grande era del tennis italiano
Di Federer potrà conservare l’indelebile ricordo dei tre giorni passati a Zurigo ad allenarsi con lui nel 2013. Si creò una tale confidenza tra loro, a tal punto che l’ultimo giorno Roger si prese la licenza di rubargli una racchetta. Mai miglior furto è stato subito, mai una persona “derubata è stata più felice.
“La cosa che li ha resi leggendari è l’ambizione. La fame. Quando sei ambizioso e caparbio puoi raggiungere certi obiettivi. Nonostante avessero già vinto tutto più volte hanno continuato a ripetersi nel tempo. È grazie all’ambizione. È stato un po’ un ‘concorso di colpe’. La Federazione ha fatto un lavoro straordinario investendo tantissimo sull’attività giovanile e sulla preparazione dei coach. Quello che vediamo adesso è il risultato di tante cose. Secondo me l’Italia ha sempre avuto talenti pazzeschi, ma a volte non hanno trovato i mezzi per esprimersi al 100%. La scuola è cresciuta tanto, fa effetto pensare che il 10% dei migliori tennisti del mondo sia italiano. Si è fatto uno step importante nel supporto ai giocatori”.
I migliori amici nel tour, il futuro da coach
“Al di là del mio team dico Alessandro Giannessi, persona splendida che mi ha aiutato a vedere le cose in maniera un po’ più leggera, Omar Giacalone, vero amico con cui mi sono sempre confrontato, e Federico Gaio, con cui ora sto facendo il corso da maestri e con cui arrivai in finale in doppio all’ATP 500 di Rio de Janeiro 2020. Vorrei replicare quello che Paolo Cannova ha fatto con me. Vorrei aiutare i giovani a raggiungere i loro sogni. Con la mia esperienza e con quello che posso dare. Il tennis è il mio mondo e lo rimarrà per tutta la vita“.
Il tennis una ragione di vita
“È stato un viaggio meraviglioso. Ringrazio il tennis per tutti i momenti che mi ha regalato, per tutte le emozioni che ci siamo dati a vicenda. Credo di aver lasciato qualcosa al dio tennis e probabilmente ho preso molto di più. Sono emozioni fortissime che porterò nel mio cuore per sempre. Spero di viverne altre in un’altra veste. Ringrazio il tennis per la persona che mi ha fatto diventare”.
E noi ringraziamo te “Sabbo” Caruso, di averci donato il tuo innato attaccamento alle radici, rimaste ben salde anche al passaggio di oceani. In bocca al lupo per la tua nuova vita in panchina.