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Jenson Brooksby si racconta: “Ecco quanto Houston mi abbia aiutato dentro e fuori dal campo”

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La vita, così come la carriera, di Jenson Brooksby non è mai stata una passeggiata. Lo statunitense ha dovuto prima combattere contro i pregiudizi sull’autismo, successivamente si è messo alle spalle la squalifica per doping e i tanti infortuni fino a conquistare il suo primo titolo ATP a Houston.

Poche righe per riassumere quelli che sono stati anni e anni di lavoro su sé stesso e sulla situazione, raccontata al mondo durante la squalifica. Un gesto che anche Boris Becker ha elogiato, spiegando come fosse importante che uno sportivo di questa caratura abbia parlato senza problemi di una dinamica così delicata.

L’importanza della vittoria a Houston

Brooksby ha parlato ai canali ufficiali dell’ATP nella rubrica “My Point“, dove i vari tennisti si raccontano e approfondiscono importanti temi dentro e fuori dal campo.

“Il torneo di Houston di quest’anno è stata probabilmente la settimana più bella della mia vita – racconta Brooskby -. Sono partito dalle qualificazioni con una wild card e ho affrontato almeno un match point in tre partite diverse. È una delle sfide più difficili che si possano affrontare in campo, ma sono riuscito comunque a vincere il titolo. Uno dei miei più grandi obiettivi da quando sono diventato un tennista professionista era sollevare un trofeo dell’ATP Tour. Riuscirci ha significato tutto per me“.

Jenson ha superato Taro Daniel al primo turno, il cileno Alejandro Tabilo e successivamente Aleksandar Kovacevic. In semifinale Brooksby mette a referto la vittoria più importante dal suo rientro ovvero Tommy Paul per poi vincere il torneo contro Frances Tiafoe in finale. “A gennaio ero appena tornato in campo dopo vari interventi al polso e un infortunio alla spalla, quindi salvare match point era solo un ostacolo in più da superare. Ma quello che molti non sanno è che nella mia vita ho dovuto affrontare molto più di infortuni e partite complicate”.

Brooksby come raccontato ha salvato la bellezza di cinque match point nel suo cammino, diventando il quinto giocatore con il ranking più basso a vincere un torneo dal 1990, tutti dettagli che aumentano l’importanza di questa vittoria.

L’aneddoto dopo Houston: “È stato molto più di una vittoria”

Naturalmente l’autismo è stato al centro del racconto: “A dicembre, per la prima volta, ho condiviso pubblicamente il fatto che da bambino mi è stato diagnosticato un disturbo dello spettro autistico in forma grave.
Circa un bambino su 100 riceve una diagnosi di disturbo dello spettro autistico, quindi sono come milioni di persone in tutto il mondo. Ma non è qualcosa di cui sentiamo spesso parlare da parte di atleti professionisti”

In pochi mesi – racconta il classe 2000 – ho ricevuto tantissimi messaggi positivi, sia sui social media che di persona da parte dei fan. È stata un’esperienza davvero gratificante, soprattutto vincere un titolo ad aprile, che è il Mese Mondiale dell’Autismo“.

Brooksby racconta anche di un aneddoto molto bello a margine del successo a Houston: “Dopo la premiazione e il servizio fotografico, una ragazza si è avvicinata e mi ha detto che anche lei è nello spettro e che era molto bello vedere che avevo vinto il titolo. Mi ha spiegato che per lei era importante avere qualcuno come esempio, qualcuno con l’autismo che fa cose positive: questo mi ha davvero colpito. Crescendo, non ho mai avuto qualcuno con una storia simile alla mia a cui potermi ispirare, quindi quelle parole hanno risuonato profondamente dentro di me. Le ho detto grazie per essersi sentita a suo agio nel parlarmi di questo e che ero felice di poter essere d’aiuto in qualche modo. Quel momento mi ha regalato il sorriso più grande di tutta la settimana“.

Il 25enne ha parlato anche delle sue emozioni: “Ho vissuto una settimana fantastica in campo ed è già importante di per sé. Ma è stato anche molto di più che passare un turno dopo l’altro. Vincere mi ha dato la possibilità di ascoltare altre storie, quelle delle persone che ho incontrato durante il torneo. Se avessi perso al primo o al secondo turno, non sarei rimasto così a lungo, non avrei ricevuto così tanti messaggi e probabilmente non avrei contribuito così tanto a sensibilizzare sull’autismo. Vincere ha significato tanto, ma quella settimana è stata qualcosa di molto più grande“.

Brooksby e l’autismo: “I miei genitori non me l’hanno mai nascosto”

Jenson Brooksby ha fatto un passo indietro e ha parlato dell’autismo, partendo dai suoi primi anni: “Per tutta la vita ho tenuto segreta la mia diagnosi. Non parlavo fino all’età di quattro anni e ho seguito una terapia ABA intensiva per 40 ore alla settimana. I miei genitori credevano che lavorare duramente da piccoli potesse influenzare ciò che saremmo diventati da adulti, perché è più facile imparare nelle prime fasi della vita.”

“Da bambino, ci sono stati momenti in cui le persone non dicevano esplicitamente qualcosa, ma si capiva chiaramente cosa pensavano di me dai loro comportamenti. A scuola, nelle situazioni sociali, ero sempre un po’ più introverso. Non ero la persona più socievole e non facevo amicizia facilmente come gli altri”.

“I miei genitori non mi hanno mai nascosto la diagnosi – svela -. Gran parte delle informazioni che ricevevo sull’autismo le apprendevo dalle conversazioni tra loro e gli esperti, e questo mi faceva riflettere molto. Col senno di poi, sono felice di averlo saputo da giovane, perché prima lo scopri, più sei preparato per affrontare il futuro e più riesci a gestirlo. Non è stato sempre facile. A volte temevo di essere giudicato, soprattutto negativamente. Ma oggi, nella società, ci sono argomenti di cui si parla con più naturalezza e questo rende più facile anche raccontare la mia storia.

“I miei genitori hanno sempre detto che ho una grande attenzione ai dettagli. Il mio cervello è programmato per concentrarsi su poche cose, ma per farle davvero bene. Quando gli altri bambini giocavano per pochi minuti e poi passavano ad altro, io potevo colpire una pallina da tennis contro la porta del garage per un’ora senza problemi. Non solo riuscivo a mantenere la concentrazione, ma mi piaceva davvero. È anche per questo che mi sono innamorato del tennis.”

A proposito del tennis: “In campo, l’effetto più grande dell’autismo riguarda la mia sensibilità sensoriale. Il mio cervello è un po’ più sensibile ai rumori della folla rispetto alla maggior parte delle persone. Durante la mia vita, mi sono spesso distratto a causa dei suoni, che a volte restano nella mia mente più a lungo del normale”.

Dai Campionati Nazionali a Djokovic sull’Arthur Ashe Stadium

Brooksby torna indietro nel tempo anche a livello tennistico: “A 17 anni ho vinto i Campionati Nazionali USTA Boys’ 18s. In finale ho affrontato Brandon Nakashima davanti a un bel po’ di pubblico. Eravamo sul campo centrale, in mezzo a una fila di cinque campi. Tra tifosi, staff e coach universitari, c’era molta pressione, e in palio c’era una wild card per il tabellone principale dello US Open. Non ero preparato a tutto ciò e questo ha aumentato molto i nervi e lo stress

“Durante il match pensavo a come sarei stato giudicato da tutte quelle persone. Non significa che fossero pensieri solo negativi, ma era ciò su cui la mia mente si focalizzava. Come per ogni cosa nella vita, più ti trovi in certe situazioni, più diventa facile gestirle”.

Poi il grande incontro con Djokovic: Pochi anni dopo ho affrontato Novak Djokovic allo US Open, sull’Arthur Ashe Stadium, lo stadio di tennis più grande del mondo. Era una scena molto più imponente, ma grazie alle esperienze precedenti ho provato soprattutto farfalle nello stomaco, in senso positivo. Ho imparato ad amare quelle atmosfere straordinarie. Ci sono stati anche momenti difficili. Ammetto apertamente di aver avuto degli scatti d’ira in campo. Succedeva se ero frustrato per una sconfitta o molto concentrato su un errore. Ho lavorato molto su questo mentre ero infortunato, e mi ha aiutato tanto il fatto che ora il mio team capisca meglio cosa succede dentro di me.

Brooksby racconta un altro aneddoto del 2023: “Fino a poco tempo fa nessuno conosceva questo mio lato. Un momento importante è stato quando, nell’ottobre 2023, l’ho detto al mio agente, Amrit. Eravamo a cena a Dallas per un aggiornamento, e gliel’ho semplicemente detto. Amrit non ha fatto una piega. Ha risposto: “Okay amico, fantastico“. È stato importantissimo per me, perché non sapevo come avrebbero reagito le persone fuori dalla mia famiglia. Poi l’ho detto anche ad altri membri del mio team e del mio cerchio più ristretto, ed è stato un sollievo sapere che questa parte così personale della mia vita non cambiava il modo in cui mi parlavano o mi trattavano. Mi ha dato molta fiducia per aprirmi ancora di più.

“Amrit mi ha spiegato che sapere della mia condizione lo aiuta a comunicare meglio con me ogni giorno, e che avevo l’opportunità di fare qualcosa di più grande di me stesso. Quando vivi con qualcosa ogni giorno, è difficile vedere il quadro completo. Poterne parlare mi ha reso ancora più entusiasta di condividere la mia storia e contribuire a sensibilizzare”.

Dopodiché c’è stato il racconto pubblico: “Dopo più di un anno, abbiamo deciso di raccontarlo a un giornalista dell’Associated Press. Non ne avevo mai parlato davanti a nessuno al di fuori del mio cerchio più intimo, quindi ovviamente ero nervoso. Era una situazione nuova per me, come giocare per la prima volta davanti a una grande folla. Puoi immaginare cosa significherà rivelare una cosa così personale al mondo, ma è impossibile sapere davvero come ti sentirai. È stato difficile, ma ero abbastanza sicuro della mia decisione da sentirmi bene con me stesso.
A distanza di qualche mese, non potrei essere più felice di averlo fatto
“.

Brooskby parla dei progetti post tennis

Anche se è molto presto, Brooksby pensa già al post ritiro: “Mi rendo conto che non giocherò a tennis professionistico per sempre. Dovrò fare qualcos’altro per il resto della mia vita una volta appesa la racchetta al chiodo. La vita è molto più del solo tennis. Credo che essere trasparente riguardo all’autismo mi stia rendendo una persona più completa, non solo adesso ma per il futuro”.

Una delle cose più belle, da quando ho fatto il mio annuncio, è stato il numero di persone che mi hanno scritto o parlato di persona e sui social.
Ogni volta che ricevo un messaggio negativo, mi resta facilmente in testa: sono un po’ fragile sotto questo aspetto. Ma ho fatto del mio meglio per proteggermi da questi pensieri e concentrarmi sulle cose positive”.

Tornando a Houston: “Un genitore i cui due figli sono nello spettro mi ha detto che ora possono guardare a me come esempio e continuare a inseguire i loro sogni sportivi. L’autismo non era più una scusa, né un motivo per arrendersi davanti alle difficoltà in più. Questo era il mio obiettivo più grande nel raccontare la mia storia. Se mi vedi in giro per il mondo, sono sempre disponibile a fare due chiacchiere. Ovviamente, solo se ti senti a tuo agio. Ma se sei nello spettro, sentiti libero di farmi le domande che ti preoccupano di più. Non sono un professionista, ma sarei felice di aiutarti per quanto posso, raccontarti come ho affrontato certe situazioni e condividere la mia esperienza”.

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