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Murray critico con i tennisti: “Se non vogliono giocare, possono decidere di non farlo”

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Masters 1000 di una o due settimane? Oggi come oggi, la questione rimbomba di città in città, da torneo a torneo. La stragrande maggioranza dei tennisti afferma che i primi tornei al di sotto degli Slam non debbano essere diluiti nel corso di due lunghe settimane. Il 2025, però, vedrà per la prima volta nella storia ben sette dei nove ATP Masters 1000 giocarsi nel corso di due settimane. Ciò porterà questi sette eventi a staccare più biglietti e ad allungare i palinsesti televisivi. In soldoni, i ricavi saranno maggiori, ma il brodo sarà decisamente più annacquato. E a rimetterci, come al solito, sono e saranno, in primis, i tennisti che decideranno di parteciparvi.

Vincere titoli su titoli consecutivamente, ora, è quindi molto più arduo rispetto a qualche anno fa, nel periodo in cui i Big 4 dominavano la scena mondiale. Su questo tema è intervenuto il coach di Novak Djokovic (quest’ultimo eliminato in due set da Matteo Arnaldi all’esordio nel Mutua Madrid Open), Andy Murray, intervitato da Tennis Majors nella capitale spagnola. “Penso che, proprio a causa degli eventi più lunghi, ora sia più difficile dominare. A volte, prima, se giocavi a Roma e Madrid ed eri ben classificato, avevi un bye in quei tornei. Quindi, potevi giocare la tua prima partita il mercoledì. Arrivavi, diciamo, il sabato a Madrid sapendo che avresti avuto quattro giorni di allenamento e in sedici giorni avevi completato due tornei. Mentre ora non c’è più niente del genere. Credo che il sistema precedente fosse di gran lunga migliore.

Come detto, oltre a completarsi nel giro di una settimana, i ‘vecchi 1000’ (Monte Carlo e Parigi Bercy – che dal 2025 non si giocherà più in quella zona della capitale francese – sono i superstiti di questo cambiamento) propongono solitamente un tennis di estrema qualità dal primo all’ultimo giorno. Gli eventi di una settimana erano davvero ottimi. C’erano partite di grande qualità ogni singolo giorno; sapevi esattamente chi avrebbe giocato e quando. E sì, era impegnativo ed era duro, ma… ora hanno pure anche cambiato alcune regole. Per esempio, Alcaraz ha vinto la domenica a Monte Carlo; prima si poteva giocare l’esordio dell’evento della settimana successiva il mercoledì, mentre ora si torna in campo già martedì. Quindi si ha meno tempo per riposare in quella situazione. Preferivo com’era prima perché probabilmente permetteva di giocare più partite in un periodo di tempo ridotto, ma poi si aveva più tempo per riposare e recuperare. Mentre ora il riposo e il recupero avvengono durante i tornei.

Secondo alcuni, infatti, i 1000 allungati consentono ai giocatori di potersela prendere con più calma, entrando in campo un giorno sì e uno no per disputare i propri incontri. L’ex numero 1 al mondo – recentemente superato da Jannik Sinner come numero di settimane in vetta al ranking – però non è dello stesso avviso. Non è il solito riposo, sia fisico che mentale. Non è la stessa cosa, perché entri in campo, ti alleni e sei circondato da tanta gente. So che è bello giocare, ma è un ambiente stressante quando ci sono un sacco di persone e telecamere che ti seguono negli allenamenti, invece di avere un ambiente tranquillo dove poter lavorare e allenarti in pace. È un po’ diverso”.

Il ragionamento del tre volte campione Slam si sviluppa e diventa poi sempre più profondo e immerso nelle varie dinamiche del circuito e del regolamento, ma prima ancora in quelle di vita e delle priorità di quest’ultima. “Non ho mai preso decisioni in base al bonus pool. Si trattava più di un ‘otterrò zero punti e potrebbe influire sulla mia classifica?’ Crescendo e riflettendoci, come ho detto anche ad alcuni allenatori che lavorano con i giocatori più giovani, sono arrivato alla conclusione che non è mica obbligatorio giocare quegli eventi. Tutti dicono che il calendario è molto lungo, ed effettivamente lo è. E ora, con gli eventi di due settimane, è piuttosto impegnativo”.
“Ma hai sempre la possibilità di non giocare. Sì, potresti ottenere zero punti, perderne qualcuno in classifica o non far parte di un bonus pool. Ma questa è una scelta che sei tu a prendere. Sta a te dire ‘Non voglio giocare’ o ‘Sto prendendo la decisione di giocare perché è meglio per me finanziariamente’. I tennisti hanno la possibilità di non giocare se non vogliono. Non è che succeda qualcosa di veramente brutto. Non è che ti squalificano o non puoi giocare eventi successivi. È solo uno zero in classifica. Non è un grosso problema”
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Alla fine, è tutta una questione di programmarsi come si pensa possa essere meglio, in prospettiva, per la propria persona. Ognuno è l’arbitro delle proprie scelte (questo chiaramente se si parla dell’élite del circuito maggiore), che spesso possono aiutare a prevenire i sempre più frequenti ritiri di massa. “I giocatori spesso si lamentano e dicono ‘Oh, la stagione è molto lunga; dopo che avrò giocato in Canada e a Cincinnati, sarò stanco quando arriverò allo US Open’. Bene, allora se pensi che sarebbe un vantaggio non giocare a Cincinnati o in Canada, scegli uno di questi due eventi, saltalo e poi vai allo US Open con un vantaggio su tutti gli altri giocatori.

Come al solito, quanto detto dal 37enne scozzese non fa una piega. Oramai gli equilibri del circuito, come d’altronde quelli di qualunque altra azienda che tenta di espandersi economicamente, seguono quasi con il paraocchi le dinamiche del mercato, il quale a sua volta insegue la fame bulimica di contenuti richiesta dal pubblico. La chiosa di Murray fa riflettere in tal senso. “Oggigiorno, ogni torneo aggiunge solo giorni ed è il modo meno creativo per guadagnare più soldi. Ma anche se non riuscissero a mettersi in tasca così tanto denaro, penso che troverebbero un modo diverso per riuscirci ugualmente.

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