Federico Ricci (coach Sakamoto): “Nardi è uno dei tennisti col potenziale maggiore che abbia mai allenato” [ESCLUSIVA]
Quando ha vinto il titolo juniores all’Australian Open 2024, tutti erano rimasti incantati da Rei Sakamoto, soprattutto per la curiosa esultanza con cui aveva dato seguito al successo su Jan Kumstat. A più di un anno di distanza il nipponico, classe 2006, sta cercando di ritagliarsi un suo spazio a livello Challenger, almeno per il momento, sotto la guida di coach Federico Ricci. Abbiamo avuto l’opportunità di fare una piacevole chiacchierata con l’allenatore italiano, che nella sua lunga esperienza ha accompagnato anche Emil Ruusuvuori e Luca Nardi.
D: In un’intervista di qualche anno fa parlavi del ‘problema’ del tennis negli USA: ora ne hanno 4 in top 20 e 8 in top 50. Pensi che ci siano ancora le stessi difficoltà? E come ti spieghi questa crescita?
Federico Ricci: “Prima di tutto stiamo parlando di un Paese che ha una popolazione enorme, quindi va messo tutto in prospettiva. Poi chiaramente è un Paese in cui è difficile fare quello che viene definito ‘talent ID’, cioè identificare talenti ed essere sicuri che crescano per ovvie questioni di grandezza, competenza media, dispersione terriotriale, ecc ... Però d’altra parte è anche un Paese, come lo è l’America anche al di fuori del tennis, dove le eccellenze ci sono sempre state. Ovviamente tanti dei giocatori top che hanno se si guarda bene sono tutti della stessa generazione, quella che era basata alla Evert, con la USTA quando ero lá anche io, di ragazzi nati tra il 1997 e il 1998″.
“Poi escono i gruppi di ragazzi più giovani che stanno giocando bene, perché comunque anche nei Challenger ce ne sono un paio che arrivano da dietro e sono molto interessanti: Ethan Quinn, Holt, Svajda. Comunque l’America sarà sempre un Paese che produrrà una serie di top 50. Le eccellenze ci sono anche lì, perché hanno una serie di allenatori che comunque lavorano molto molto bene, anche per creare delle prosecuzioni nella loro carriera. Brad Stine, allenatore di Tommy Paul, ha fatto un lavoro eccellente con lui. Un’altra cosa molto bella è che lui segue Ethan Quinn tramite una persona che ha messo con Ethan Quinn che lui segue un po’ da mentore“.
“È una cosa molto bella perché passa le sue informazioni, quelle che lui ha conseguito con 40 anni di carriera ad un’altra persona, fa utilizzare gli stessi preparatori atletici e fisioterapisti, che adesso hanno un sacco di giocatori nella Florida del Sud. Grazie ad un allenatore o ad un giocatore riescono a creare dei piccoli centri d’eccellenza che aiutano lo sviluppo di altri giocatori. In quel posto, a livello atletico, si allenano tanti dei giocatori che vivono lì. Ci sono Kovacevic, Tommy Paul, Ethan Quinn, Reilly Opelka”.
D: È come se il suo collaboratore potesse poi diventare come lui, anche per il fatto che gli ha insegnato tanto?
Federico Ricci: “Certo. L’allenatore insegna tanto al preparatore e viceversa. Diciamo che il preparatore può essere un ottimo preparatore e avere tanto da imparare sulla parte specifica. Ci sono anche allenatori molto precisi su certi aspetti del movimento, del lancio, dell’utilizzo della biomeccanica su certi colpi. Quindi il preparatore si deve adattare a questo. Uno come Brad ha insegnato tanto a Franco ed Emiliano, i due preparatori, è riuscito a creare delle piccole eccellenze che seguono la sua filosofia“.
“Poi loro saranno in grado di adattarsi ad altri allenatori con un’altra filosofia. È importante ed utile avere persone come Brad, ma ci sono anche altri esempi in giro, lo stesso Riccardo Piatti se guardiamo all’Italia. Dicevo, è importante per il tennis, perché se anche abbiamo il miglior preparatore atletico del mondo o un grandissimo allenatore che si ritira e va in pensione, la sua conoscenza se ne va se non l’ha insegnata a nessuno“.
D: Dopo gli Stati Uniti sei andato in Finlandia. Come mai è finita con Emila Ruusuvuori?
Federico Ricci: “Per protezione di Emil non posso dire tutto. Emil è stata la seconda parte della mia esperienza in Finlandia, che è cominciata con Jarkko (Nieminen, n.d.r.) e con l’Accademia. La ragione per cui è finita, a parte il fatto che siamo in ottimi rapporti, è che lui sentiva di aver bisogno di nuovi stimoli. C’era anche un aspetto per cui sicuramente eravamo d’accordo sul fatto che tante cose le facesse quasi per me. Io spesso me lo caricavo sulle spalle e me lo portavo a fare certe cose che forse lui non avrebbe fatto e sarebbe rimasto a casa. E forse era arrivato al momento in cui voleva non farle. Era un modo di comune accordo di dirsi che quello che volevo fare io con lui come giocatore e quello che lui voleva fare con sé stesso non erano più allineati”.
“Lui ha provato a trovare nuovi stimoli, che non ha trovato. Io mi sono staccato e ho fatto altro. Comunque devo dire che in generale era un’ottima relazione, ma forse un cambio ci stava per entrambi. Da persone civili lo abbiamo fatto bene. Noi avevamo deciso già al Roland Garros che Wimbledon sarebbe stato l’ultimo e così abbiamo fatto. Anche se ha battuto Tsitsipas e ha fatto terzo turno. In tanti me lo hanno chiesto se non mi ha fatto cambiare idea, ma no. Siamo persone rispettose, questa era la decisione e non è che un risultato fa la differenza dopo una relazione di 8/10 anni. Lui aveva bisogno di qualcosa di diverso, io ho colto la palla al balzo”.
“E poi quello che gli è successo dopo era già successo altre volte. Io ci ero già passato e lo avevo tirato su già un paio di altre volte. Non avevo forse nemmeno l’energia di farlo in un’altra occasione. Poi dopo mi sono anche offerto di aiutarlo a trovare la prosecuzione giusta, anche se lui ha scelto di fare di per sé”.
D: Cosa sta succedendo ad Emil? È stato fuori per tanto tempo, è rientrato nei Challenger ed è sceso negli ITF
Federico Ricci: “Adesso è un momento non facile. Tennisticamente io ho tanta fiducia nel suo gioco. Secondo me abbiamo dimostrato negli anni che, se trovava il modo di stare in salute ed essere competitivo a livello psicologico ed emotivo, il tennis ce l’aveva. Penso sia stato sotto gli occhi di tutti che a livello tecnico, tattico e di movimento poteva fare partita con tutti e disturbare parecchi giocatori top. Non ho dubbi che come giocatore tennistico fosse molto avanti. Ci sarà un po’ da combattere“.
D: Da dove deriva secondo te la crescita del tennis scandinavo? Ci sono Ruud, Rune, lo stesso Ruusuvuori, Heliovaara in doppio,
Federico Ricci: “Possiamo parlare di crescita, ma se andiamo bene ad analizzare sono un po’ dei cavalli bianchi. Casper è cresciuto ma sotto suo padre. Holger prettamente fuori dalla Danimarca. Emil è cresciuto ma ha avuto la fortuna di farlo sotto la nostra accademia che è stata una parentesi temporanea. Sul doppio farei un discorso a parte. Harri è un professionista vero, molto dettagliato, precisissimo. Ha visto che c’era un’opportunità, ha visto che lavorando sodo nel doppio poteva prolungarsi la carriera, ha una grande passione per il tennis. Una delle cose di può dire che sia cambiata è che hanno visto l’opportunità di poter andare di più all’estero“.
“Mentre in generale gli scandinavi sono molto restii ad andare all’estero, si fa fatica a portarli fuori, ora hanno un pochi aperto la mente. Emil ha potuto usare le mie basi in America e in Italia. Casper è andato da Rafa, Holger da Mouratoglou. Ci sono state delle buone opportunità per tutti di uscire dalla propria comfort zone e da quello che era un livello troppo assodato per migliorare. Un po’ di risultati buoni da quelli delle generazioni precedenti hanno galvanizzato, ma internamente non vedo grandi differenze. In Svezia stanno facendo molta fatica. La Norvegia ha un ottimo junior che sta crescendo, ma lui sta tra Piatti e Montecarlo, noi in Finlandia abbiamo Oskari Paldanius che sta facendo benino tra i junior. Se già iniziassimo vedere un giocatore per categoria, allora possiamo iniziare a parlare di qualcosa che sta cambiando regolarmente”.
D: Da dove nasce la collaborazione con Rei Sakamoto?
Federico Ricci: “La collaborazione è nata verso ottobre. Quando ho smesso con Emil ho fatto un periodo di prova di circa tre mesi con Luca Nardi. Poi abbiamo deciso di non continuare nonostante avessimo una buona relazione. Secondo me è uno dei giocatori con più potenziale che io abbia mai allenato. Non c’era praticamente niente che gli si chiedeva e lui non riuscisse a fare. L’IMG mi aveva approcciato per Sakamoto già a Wimbledon quando stavo smettendo con Emil. Volevo fare la prova con Luca perché era più interessante e poi è una bravissima persona. L’IMG è tornata a farsi sentire e io gli ho detto che sarei andato in Giappone ed avrei visto com’era la situazione”.
D: Quali sono i pregi di Rei Sakamoto?
Federico Ricci: “Ho visto delle buone potenzialità, ma ho visto anche tanto lavoro da fare. Onestamente per uno che ha avuto un’ottima carriera junior, così indietro e verde sotto tanti aspetti non me lo aspettavo. Sono tornato indietro infatti e gli ho detto che se potevo anche pensare di farlo, ma gli ho messo quattro condizioni sine qua non. Hanno accettato tutte e quattro e abbiamo cominciato”.
D: Quali margini di crescita ha?
Federico Ricci: “Le potenzialità ci sono in termini di velocità di palla, di fisico potenzialmente, ma c’è tanto lavoro. A livello tecnico c’era veramente da rifare un po’ tutto. Abbiamo aggiustato un po’ il dritto, iniziato parte dell’aggiustamento sul rovescio. Sul servizio c’è tanto lavoro da fare, ma abbiamo avuto anche poco tempo, perché ha avuto la wild card in Australia e ha giocato fino all’ultimo Challenger in Giappone, per cui la preseason è stata minima. Ci siamo presi dei tempi dopo l’Australia e adesso dopo Miami per fare del lavoro fisico e tecnico. Una delle condizioni che ho chiesto alla IMG era quella di assumere il mio preparatore atletico di mia scelta, Elia Andreis, che sta facendo un lavoro eccezionale con Rei. Adesso è un po’ più dritto, prima era molto storto“.
“Abbiamo avuto le nostre complicazioni, ma penso sia normale. Su questo devo dare credito a Rei che è stato molto bravo. Spesso quando si iniziano queste cooperazioni bisognerebbe dare almeno sei mesi di tempo, nel senso che è chiaro che quando ci si conosce ci sia un po’ di scontro. Si è persone differenti che arrivano da diversi background. Iniziato benissimo, poi arrivano un paio di risultati deludenti e bisogna trovare la linea d’onda ed essere bravi a cercarla, perché ci sono un sacco di situazioni in cui ci si lascia subito. Rei, nonostante sia giovane, è stato bravo a spiegarmi quali fossero le cose che non capiva, le abbiamo chiarite e tra marzo e aprile siamo molto più in sintonia e il livello è cresciuto. Febbraio è stato il mese di svolta in cui non parlavamo la stessa lingua“.
D: Quali sono gli obiettivi a breve termine?
Federico Ricci: “È talmente giovane che alcuni degli obiettivi sono abbastanza basilari e riguardano la svolta a diventare più professionista. Su tante cose ha una mentalità ancora junior: faccio un torneo e mi alleno tre settimane. Vogliamo insegnargli le routine del professionista, dal riscaldamento al giocare due o tre tornei di fila, al trovare i momenti per svilupparsi. Fino al gestire le situazioni fuori dal campo, dalle racchette alla nutrizione“.
“Uno degli obiettivi principali di quest’anno è farlo diventare più professionista ed insegnargli a gestire il volume dell’esserlo. Grandi obiettivi di ranking o di prestazione non ce li siamo messi. Tenteremo comunque di arrivare al punto di giocare le qualificazioni Slam, in un modo o nell’altro mi piacerebbe riuscire a farlo giocare su tutte le superfici. Vorrei fargli fare qualche settimana sulla terra e poi sull’erba, perché sono parecchi anni che gioca poco su quelle superfici. Speriamo che il ranking ce lo permetta“.