Kasatkina cambia bandiera: quanti cambi di nazionalità strada facendo (anche per i più grandi)
di Beatrice Becattini
“Non so dove i gabbiani abbiano il nido,
ove trovino pace.
Io son come loro
in perpetuo volo. […]
ma il mio destino è vivere
balenando in burrasca”.
Recitano così alcuni versi di una celebre poesia di Vincenzo Cardarelli. Ed è forse in questo modo che deve essersi sentita Daria Kasatkina quando ha scelto di rappresentare l’Australia. Una decisione difficile, come ha ammesso la stessa tennista sui propri canali social, quella di tagliare i ponti con la patria d’origine, di cui ha difeso i colori sino all’annuncio di venerdì (anche se, per essere precisi, i giocatori russi scendono in campo senza bandiera dal 2022). Ma probabilmente inevitabile per una donna che, con grande coraggio, non ha mai nascosto tutto il disappunto per le politiche messe in campo dal governo russo. Perché a volte quella che si è abituati a chiamare madre-patria diviene matrigna e tutti quei figli ormai adulti non possono far altro che prendere le distanze da chi li ha cresciuti e adesso non accetta le persone che sono diventate.
Sin dai primi giorni, Kasatkina si era esposta con forza contro l’invasione dell’Ucraina di febbraio 2022. Nell’estate dello stesso anno aveva anche fatto coming out, in un’intervista registrata a Barcellona, dove appare con il collega, amico e connazionale Andrey Rublev, anche lui schierato contro la guerra (e a proposito, il giocatore di Mosca da anni stanziato in Spagna accoglierà nel suo team Marat Safin). La sua posizione anti conflitto e il suo orientamento sessuale hanno fatto sì che la giocatrice di Togliatti sia entrata nei radar delle autorità russe, con il rischio concreto di essere inserita nelle liste dei dissidenti politici.
Forse più che complicata, dunque, la scelta di Daria Kasatkina è stata obbligata. Può essere che semplicemente di opzioni alternative non ce ne fossero rispetto al cambio di bandiera comunicato in questi giorni. Sentirsi straniero nel proprio Paese natale deve essere alienante. Non poter contare su un luogo sicuro dove rintanarsi, per chi viaggia tutto l’anno, aggiunge instabilità a una vita che ha ben pochi punti saldi, come quella dei tennisti professionisti, che rischiano di smarrire il senso di casa.
L’accettazione da parte del governo australiano della richiesta di residenza permanente presentata da Kasatkina non è che l’ultimo episodio di modificazioni di rappresentanza nazionale nel tennis, di cui la Russia è una delle maggiori protagoniste da ben prima che la guerra sconvolgesse quella zona del mondo. Celebri e frequenti sono gli scambi di giocatori tra la Federazione russa e quella del Kazakistan. Elena Rybakina, Alexander Bublik e Yulia Putintseva sono tutti nati all’interno dei confini russi, poi naturalizzati kazaki. Lo scorso anno anche Alexander Shevchenko ha cambiato nazionalità, abbracciando la bandiera di Astana.
Nello specifico, le motivazioni di questi avvicendamenti hanno radici meno profonde rispetto a quelle che hanno spinto Kasatkina ad allontanarsi dalla sua nazione. Il Kazakistan offre ingenti finanziamenti economici ai tennisti che lo rappresentano nelle competizioni internazionali, a differenza della Federtennis russa.
Una situazione che, in parte, ricorda i rapporti tra Svizzera e Italia, seppur con basi differenti. Alcuni tennisti, come Romina Oprandi e Claudio Mezzadri, hanno optato per la nazionale elvetica, dopo aver difeso i colori azzurri per qualche anno. Nel caso di Oprandi a pesare sulla scelta è stato il sogno olimpico, cullato a lungo: tra le fila dell’Italia per lei non ci sarebbe stato posto nella spedizione di Londra 2012. La giocatrice svizzero-italiana avrebbe poi saltato quelle Olimpiadi a causa di un infortunio.
Comunque, i Giochi Olimpici rimangono inesorabilmente i Giochi Olimpici per ogni atleta, anche per chi svolge una disciplina come il tennis che privilegia altre competizioni. Lo sa bene Aljaz Bedene, sloveno naturalizzato britannico, che, nonostante i cambi di passaporto, non è mai riuscito a centrare la rassegna a cinque cerchi. Bedene, infatti, era divenuto cittadino britannico nel 2015, ma, per una norma che impedisce il cambio di casacca a chi ha già giocato nelle manifestazioni a squadre ITF con una compagine nazionale, non è mai stato convocato dalla Gran Bretagna. Per questo, nel 2018 ha fatto dietrofront ed è tornato sotto la bandiera della Slovenia, sognando le Olimpiadi del 2020 (poi rimandate al 2021), dopo aver saltato, appunto, Rio 2016 per ragioni di regolamento. Il risultato? Due edizioni dei Giochi andati in fumo (la seconda, a onor del vero, per infortunio).
Pure in Italia, quindi, seppur in numero minore, si è assistito a naturalizzazioni e cambi di nazionalità, effettivi, sperati o semplicemente bramati. Pochi giorni fa, la diciassettenne Tyra Grant, wild card al torneo di Miami, ha confessato di star prendendo in considerazione l’idea di rappresentare l’Italia. Attualmente Tyra gioca per gli Stati Uniti, ma è nata a Roma, perché suo padre, l’ex giocatore di pallacanestro Tyrone Grant, militava in Serie A, ed è cresciuta tennisticamente a Bordighera, all’accademia di Riccardo Piatti, dove ha conosciuto Jannik Sinner. Vedremo a breve, prima che compia 18 anni, se Grant effettivamente deciderà di difendere i colori italiani o se si sia trattato solo un momentaneo barlume di fantasia.
Chi ha scelto il Tricolore oltre ogni ragionevole dubbio è Luciano Darderi, nato a Buenos Aires ma trasferitosi a 10 anni in Italia. L’attuale numero 48 del ranking ATP ha la doppia cittadinanza grazie al nonno italiano e lo scorso anno è stato protagonista di una stagione al di sopra delle aspettative, sublimata dalla convocazione per le Olimpiadi di Parigi con i colori azzurri. Quest’anno, però, Darderi sta faticando a replicare quei risultati che lo avevano issato fino alla 32esima posizione mondiale, confermando le difficoltà che aveva fatto intravedere nella seconda parte del 2024. L’amata terra rossa sembra comunque aver regalato al tennista azzurro un nuovo splendore: dopo la finale persa al Challenger di Napoli contro Kopriva, Luciano ha ritrovato linfa fresca e ha messo in bacheca il secondo titolo ATP in carriera, superando nella finale del 250 di Marrakech Tallon Griekspoor, in una domenica brillante per il nostro tennis.
Altro argentino di nascita ma divenuto italiano di passaporto è Franco Agamenone, nato a Rio Cuarto ma trapiantato a Lecce nel 2020, anno in cui ha scelto di sostituire la bandiera dell’Italia a quella dell’Albiceleste, grazie al bisnonno Giuseppe emigrato in Sudamerica (Agamenone si è raccontato a Ubitennis nel 2023).
La cronaca di questi giorni ci racconta, tra l’altro, di una stretta da parte del governo italiano sulla concessione della cittadinanza, limitandone la possibilità a chi possiede genitori o nonni italiani; con questo decreto a riforma della legge del 1992 migliaia di sudamericani non avranno più diritto di richiedere il doppio passaporto.
Un caso agli antipodi rispetto a Italia-Argentina è quello di Liudmila Samsonova, che ha rappresentato l’Italia dal 2014 al 2018 nei tornei ITF. La tennista nata in Russia è stata forgiata nel suo essere giocatrice da allenatori italiani, Riccardo Piatti su tutti, conseguenza di un’infanzia e un’adolescenza trascorse nel nostro Paese. Nel 2018, però, dopo una lunga attesa, le fu negata la cittadinanza per la mancanza di reddito certo, precludendole definitivamente l’azzurro.
Allargando la visuale ad altri Paesi, le polemiche non sono mancate in Germania, quando Tommy Haas, ex numero 2 del mondo, ha chiesto e ottenuto la cittadinanza statunitense nel 2010. La sua posizione ondivaga circa la possibilità di rappresentare gli USA e alcune velate accuse di favoritismi sono costate al giocatore un’ondata di critiche in patria, benché alla fine non abbia mai voltato le spalle al team tedesco. Dustin Brown, eccentrico tennista figlio di padre giamaicano e madre tedesca, invece, ha dapprima fatto una scelta razionale, prediligendo la Germania e il supporto che questa poteva offrirgli, poi una di cuore, chiudendo la carriera sotto bandiera della Giamaica, dopo la morte del papà (qui l’intervista esclusiva).
Il manuale di storia del tennis racconta di molti episodi come quelli sopra citati. Per le motivazioni più svariate, spesso i giocatori si ritrovano a cambiare nazionalità a metà dell’opera. Martina Navratilova e Ivan Lendl, due leggende della racchetta, sono nati entrambi nell’allora Cecoslovacchia e entrambi hanno ottenuto la cittadinanza statunitense. Senza dimenticare Monica Seles, anche lei naturalizzata americana, ma originaria dell’ex Jugoslavia. Navratilova tra l’altro visse anche da apolide per alcuni anni prima che le fosse concesso il passaporto dagli USA nel 1981. Una vicissitudine che trova spiegazione nel clima della Guerra Fredda e nella volubilità degli equilibri politici del periodo, perché lo sport non è mai una sfera dell’agire umano scollegata dalla realtà circostante.
Per il tennis azzurro il primo oriundo fu Martin Mulligan (qui un’intervista del 2020 con il direttore Scanagatta), nato australiano e divenuto italiano nel 1968. Curioso è stato come il giocatore italo-australiano abbia vinto per tre volte gli Internazionali d’Italia, ma sempre con i colori della terra dei canguri. Con l’Italia Mulligan giocò anche un’edizione della Coppa Davis, proprio nel ’68. Vicende di passaporti e questioni private che ci restituiscono spaccati di vita e frammenti di eventi storici nel mosaico complesso della cittadinanza. La Storia e le storie di chi vive in perpetuo volo, insomma.