Draper e la prova del nove fallita: quanto è difficile riconfermarsi immediatamente
di Beatrice Becattini
Il tennis è lo sport dell’effimero. E non lo è nella durata. D’altra parte come potrebbe essere fugace una disciplina così antica. Lo è nella sua essenza, perché effimera è la gloria che il tennis regala. Nel sempre più affollato calendario tennistico, i ritmi di gioco sono serrati, quasi indiavolati. Il mondo della racchetta non aspetta nessuno e il tempo di metabolizzare i risultati è minimo o forse inesistente, anche per i trionfi più importanti. Soprattutto per i successi più prestigiosi, quelli che accendono i riflettori e portano con loro il peso di aspettative inedite. Ci sono sempre nuove sfide da affrontare e campi da calcare. Così, per ogni giocatore vittorie e sconfitte si alternano a cadenze irregolari. Chiunque abbia appena conquistato un trofeo sa che, soltanto una manciata di giorni dopo, riparte da zero nel torneo successivo. E il successo tanto agognato passa in secondo piano per lasciare spazio ai risultati correnti.
Per diventare effettivamente grandi c’è una componente che appare davvero imprescindibile: la continuità. Un termine che sul terreno di gioco si traduce con il limitare al minimo le sconfitte premature. Anche perché, come si ricordava, vincere ogni torneo a cui si è iscritti non è fisicamente e mentalmente fattibile, dato il numero di competizioni (e a proposito di polemiche sul calendario, a gettare benzina sul fuoco è stata la scelta di espandere i Masters 1000 a due settimane, con Alcaraz in prima linea e uno Zverev pragmatico al riguardo; più serafico invece Sinner).
Le sconfitte però non sono tutte uguali. Ci sono cadute rovinose che fanno ben più rumore di altre. È il caso delle eliminazioni al primo turno dei tennisti che hanno appena trionfato al torneo precedente, di cui le pagine del manuale di storia del tennis sono piene. L’ultimo in ordine cronologico è Jack Draper, che, appena messo in bacheca il trofeo ad oggi più importante della carriera, vincendo a Indian Wells il suo primo 1000 contro Holger Rune, ma si è fermato all’esordio del Miami Open contro Jakub Mensik.
Dopo il complesso passaggio dal circuito junior al professionismo, condizionato da molteplici guai fisici, il talento dell’inglese di Sutton ha trovato il mondo di esplodere, confermando le scintille mostrate nella seconda metà di 2024. E così l’élite del tennis mondiale si è arricchita di un nuovo protagonista. Qualche giorno fa, in un’intervista al Corriere dello Sport, l’ex allenatore di Matteo Berrettini Vincenzo Santopadre – oggi nel team di Luca Van Assche – ha suggerito di tenere d’occhio in ottica futura proprio Draper, perché ha margine per migliorarsi ulteriormente. Lo stesso britannico, in conferenza stampa dopo la finale del torneo californiano, ha dichiarato di non porsi limiti, pur conscio di dover continuare a lavorare se vuole chiudere il gap che ancora lo separa dai primissimi della classe – Jannik Sinner, suo grande amico, su tutti.
E, dopo l’immediata eliminazione da Miami, quelle dichiarazioni così consapevoli risuonano realiste come non mai. Il numero 7 del mondo ha fallito quella che Rino Tommasi aveva definito la prova del nove, ovvero la prima partita disputata dopo una grande impresa. L’effimero, appunto. Lo ha sottolineato anche lo stesso Draper durante una conferenza stampa: il tennis non dà tregua, i match si incalzano uno dopo l’altro, senza possibilità di alleviare mente e corpo.
A onor del vero, prendendo in esame il Double Sunshine, l’inglese è in buona compagnia. Come analizzato nel suo video dal direttore Scanagatta, ciascuno dei quattro semifinalisti di Indian Wells (Draper, Medvedev, Alcaraz e Rune) ha perso il proprio match d’esordio a Miami. E se la sconfitta di Draper è una relativa sorpresa, vista la stanchezza accumulata tra gli impegni in Medioriente e la California e considerato il talento arrembante del diciannovenne Mensik, a sbalordire in negativo è l’ennesima prestazione allarmante di Carlos Alcaraz, stavolta contro il 34enne David Goffin. Il campione di Murcia sembra faticare a rimettere ordine nel caos tennistico dove naviga da mesi, forse dalla finale delle Olimpiadi di Parigi 2024.
Al di là delle statistiche analitiche, risulta assai difficile spiegare perché i casi di freschi trionfatori eliminati al primo round della competizione successiva non siano episodi isolati. I cambi di superficie repentini, la fatica fisica e mentale che si accumula e le condizioni ambientali solo alcune delle variabili intervenienti. Nel 2022 Carlos Alcaraz ha vinto il suo primo titolo 1000 proprio a Miami e a Montecarlo, torneo immediatamente seguente, è caduto subito per mano di Sebastian Korda. Un cambio di superficie tra cemento e terra rossa avvenuto senza soluzione di continuità che può aver messo in difficoltà lo spagnolo allora diciannovenne. Ma c’è di più. Qualche settimana dopo il murciano si è imposto nel 1000 di Madrid e ha poi dovuto dare forfait a Roma a causa di un infortunio, tornando in campo regolarmente per il Roland Garros.
Anche Jannik Sinner è incappato in qualche incidente di percorso, parte del processo di crescita, prima di salire sul tetto del mondo, grazie, tra gli altri, a una continuità granitica. È il caso dell’ATP di Cincinnati 2023, quando si è visto estromesso dal torneo da Dusan Lajovic, a pochi giorni dal trionfo all’Open del Canada; il campione altoatesino in quell’occasione si è mostrato fisicamente non al meglio, in seguito alla cavalcata che lo ha condotto al primo titolo 1000.
Lo stesso Alexander Zverev, dopo aver trionfato per la prima volta agli Internazionali d’Italia nel 2017, è stato malamente eliminato al primo turno del Roland Garros. Forse il tedesco non ha retto il peso delle aspettative, visto che si presentava a Parigi tra i favoriti per la vittoria finale e si sa quanto le debolezze mentali abbiano frenato a più riprese l’attuale numero 2 del mondo.
In controtendenza rispetto ai colleghi è Daniil Medvedev, che nel 2019, dopo il successo a Cincinnati, riuscì ad approdare in finale allo US Open, battuto da Rafael Nadal. Il russo non è tuttavia immune da un’altra curiosa “maledizione”, ovvero la sconfitta al primo match da numero 1 al mondo.
La storia, dunque, ci insegna come il primo turno dopo una vittoria in finale rappresenti un insidioso banco di prova. E non è casualità che il pericolo sia incombente soprattutto per i giocatori in ascesa. Ma, evidentemente, si diventa grandi anche così. Perché, come ripete Jannik Sinner, o si vince o si impara. O a volte entrambe le cose.