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Björn Borg e la Svezia, 50 anni dopo

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Un paio di avvertimenti prima di iniziare. Il primo: se di Borg vi interessano gli aspetti tecnici, questo articolo non fa per voi, perché troverete pochissimo tennis giocato. L’argomento di questo articolo infatti è qualcosa di diverso, di più generale; un inatteso fenomeno accaduto a metà degli anni ’70: l’irruzione della Svezia nelle vite degli italiani (e non solo degli italiani).
E qui occorre il secondo avvertimento: non sono uno storico né un sociologo, non ho la preparazione accademica per esporre ragionamenti scientifici. Mi baserò sui ricordi personali, e se il tutto vi sembrerà un discorso da scompartimento del treno, se non altro posso dire di avere avvisato. Premesso questo, cominciamo con la Svezia.

In quegli anni frequentavo le scuole dell’obbligo e, da bambino abbastanza sveglio, le mie conoscenze potevano essere simili a quelle del cosiddetto “Italiano medio”. In Italia IKEA non era ancora arrivata, e prima che Borg iniziasse a vincere, all’Italiano medio la Svezia era raccontata soprattutto attraverso due argomenti: le svedesi e i suicidi. Capisco che oggi tutto questo suoni assurdo, eppure era proprio così: le svedesi e i suicidi. Ecco un reperto al riguardo (anno 1970):

Le donne svedesi erano descritte come le impersonificazioni dell’amore libero: la Svezia rappresentava la terra delle relazioni aperte e disinibite. Però la percentuale di suicidi nella popolazione era la più alta del mondo. Che tutto questo fosse realmente vero, ai fini dei nostri ragionamenti conta poco, perché era comunque quello che si diceva in Italia.
Qualcuno provava anche a collegare i due temi, con un teorema di questo tipo: in Svezia c’è maggior libertà sessuale, ma non significa che sia positivo, anzi. Perché la promiscuità genera più infelicità, e quindi più suicidi. Poi magari in occasione del referendum italiano sul divorzio (12-13 maggio 1974) quel qualcuno suggeriva anche di votare per l’abolizione della legge appena istituita, e così intuivi che forse cercare di mettere insieme le due cose non era così casuale e disinteressato.

Per la verità, prima del 1974 c’erano altri due argomenti associati al “made in Sweden”, ma erano appannaggio di meno persone, quelle più acculturate: i film di Ingmar Bergman e la Socialdemocrazia. Se eri un italiano un po’ più istruito conoscevi Bibi Andersson, Liv Ullmann, Max Von Sydow, Erland Josephson; cioè gli attori protagonisti dei film di Ingmar Bergman. Bergman era considerato un padre nobile della cinematografia mondiale e faceva più o meno un film all’anno, che veniva seguito e discusso nei cineforum. Per esempio il film proiettato nel 1974 era “Scene da un matrimonio”, versione condensata per le sale di una più lunga serie televisiva.

Per quanto riguarda la Socialdemocrazia svedese, invece, dovevi ricordare la famosa frase di Olof Palme – il primo ministro poi misteriosamente assassinato – che diceva all’incirca così: “Il capitalismo è un agnello che non va ucciso, va tosato”. Con quella frase potevi dimostrare di conoscere la cosiddetta “terza via” svedese tra capitalismo (americano) e comunismo (sovietico). E questo ci ricorda che era epoca di guerra fredda, c’erano la Nato e il Patto di Varsavia, che in Europa significavano Muro di Berlino e Cortina di Ferro. Insomma, eravamo in un’altra era geologica.

Questa era la situazione quando, a metà anni settanta, la Svezia sorprende il mondo. Nel giro di pochi mesi il limitato spazio che fino ad allora occupava nei pensieri dell’Italiano medio, diventa grande. Tutto comincia nello stesso anno, il 1974, esattamente cinquant’anni fa.

Nel 1974 Volvo lancia un’automobile destinata al successo, la 240. Per le strade italiane, popolate da piccole utilitarie, inizia a circolare qualcosa che supera in lunghezza le Citroën DS. In versione station wagon quella Volvo non passava inosservata: era un macchinone che ricordava per proporzioni i carri da morto; pareva infinita.
Nel nuovo stabilimento in cui vengono costruite le 240, con sede a Kalmar, è abolita la catena di montaggio fordista, sostituita dal sistema a “isole di lavoro” che promette di ridurre l’alienazione degli operai. Per questo i tecnici del settore di tutti i continenti vanno in Svezia a studiare il rivoluzionario criterio produttivo. In più le Volvo non sono pubblicizzate come le auto più veloci o più economiche; no, la diversità svedese si riconosce perché punta a vendere un’automobile sottolineandone la sicurezza.

Ma non sono le auto a diventare il prodotto svedese di maggior successo; sono invece tre nuovi protagonisti del mondo dello sport e dello spettacolo. In mezzo alle canzoni di Mina, Battisti, Baglioni, si fanno largo quelle di un gruppo chiamato ABBA. La parola “ABBA” era un acronimo formato con la prima lettera dei nomi dei quattro componenti: Agnetha, Benny, Björn e Anni-Frid. Era un termine senza significato, simile a un balbettio infantile, ma era senza dubbio facile da ricordare e da pronunciare in qualsiasi lingua del mondo.

Ma ovviamente non era il nome, il segreto degli ABBA: il segreto, se così si può dire, era la capacità di sfornare canzoni accattivanti e super orecchiabili, pop al 100%, cantate da due voci femminili molto spesso all’unisono. La scelta di basarsi su due voci che, invece di armonizzare, cantano all’unisono rinforzando la potenza e arricchendo il timbro sonoro, ha contribuito a rendere particolare e subito riconoscibile l’ABBA sound. E così scoprivamo che gli svedesi oltre ai film sapevano fare anche musica pop e sfondare nella hit parade. E sfondavano davvero; non era necessario voler ascoltare di proposito gli ABBA, perché la loro musica stava diventando parte integrante dello scenario sonoro italiano: radio, discoteche, juke box. Ovunque.

Le altre future superstar svedesi erano due sportivi. La novità scandinava interessava proprio le due discipline che stavano esplodendo in Italia, facendo concorrenza al calcio: sci e tennis. Perché quelli erano gli anni della valanga azzurra e di Panatta & Co; le loro imprese incollavano gli Italiani ai televisori (in bianco e nero e con soli due canali: Rai1 e Rai2). In quel momento arrivano Ingemar Stenmark e Björn Borg. Nati nel 1956 a tre mesi di distanza l’uno dall’altro, in una nazione di appena sette milioni di abitanti. Come dicevo, tutto comincia esattamente cinquant’anni fa. Tre sono le date simbolo dell’inizio di quella straordinaria epoca svedese.

a pagina 2: Le date simbolo del 1974

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