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Roma: Sascha Zverev ha forse salvato il prestigio del torneo, ma il dritto di Tabilo mi ha impressionato più di ogni altra cosa [VIDEO]-

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Alexander Zverev - Roma 2024 - foto Francesca Micheli Ubitennis

Erano trascorsi 71 minuti nel derby tra due Alessandri e l’Alejandro cileno (Tabilo), avanti 6-1 dopo il primo set, sul 3 pari nel secondo si era conquistato una palla break per il 4-3.

Fino a quel momento era stato decisamente migliore dell’Alessandro tedesco, Sascha (Zverev), unico top-15 dei quattro semifinalisti di questi Internazionali d’Italia così poco rispettosi del ranking ATP, delle leggende (Nadal e Djokovic), del tennis italiano (tutto k.o., 12 su 12 azzurri, prima degli ottavi), dei nostri sogni di gloria (Sinner, Berrettini, Musetti, Arnaldi…etcetera).

Quel Tabilo che aveva sorpreso un Djokovic dimesso e svogliato, ma che si era ripetuto con Khachanov e Zhang, aveva colto di sorpresa anche me per l’efficacia del servizio – aveva concesso solo 2 palle break nel quinto game del primo set quando era già avanti 3-1 – che definirei anomalo per un mancino, per la capacità di giocarlo esterno molto più sui punti pari anziché su quelli dispari. Tutto il contrario di un Goran Ivanisevic, per chiarire.

Ma più ancora del servizio, e del rovescio bimane assai piatto che mi ricordava da vicino quello di Rafa Nadal, mi colpiva la straordinaria esplosività del suo dritto. Veri e propri traccianti. Definirli poderosi è dir poco. Perfino nel suono conseguente all’impatto della sua Yonex sulle Dunlop, mi pareva di assistere a qualcosa di mai sentito (e visto prima).

Non so se si potevano definire frustate, ma non c’era tanto assolutamente qualcosa di simile al top-spin arrotatissimo del miglior Nadal, per intendersi, né lift, tantomeno tagli – che i tagli semmai qualche rara volta li ha giocati con il rovescio – e così ho cominciato a frugare nel bagaglio dei miei ricordi per ripescare una qualche dritto che gli assomigliasse. Credo di aver ripassato in rassegna una ventina di mancini che mi sono venuti in mente… E non ne ho trovato uno il cui dritto mi ricordasse da vicino quello di Alejandro Tabilo. Però qualche grande mancino me lo sarò certamente dimenticato… Potete ricordarmene altri voi…

Non potevo certamente rifarmi a Norman Brookes, il primo grande mancino australiano cui ho visto dedicare il meraviglioso club di South West Yarra a Melbourne, perché non ero ancora nato quando giocava, ma già potevo dire che non c’erano somiglianze con il dritto di Drobny (il campione ceco che ha vinto 3 volte a Roma e di cui si ricorda il successo su Rosewall a Wimbledon nel ’54) che avevo visto bambino in tv, né di Neale Fraser campione di Wimbledon nel ‘60 (nell’anno in cui Nicola Pietrangeli giunse in semifinale perdendo 6-4 al quinto con Rod Laver), né di Laver e McEnroe con i quali ho avuto la ventura di perfino giocarci – sia pure niente di più che un paio di set amichevoli – ma il dritto di Tabilo secondo me stilisticamente, e direi anche come potenza, non poteva essere assimilato a quello di Roche, Rose, Connors, Orantes, Vilas, Forget, Leconte, Korda, Gomez, Muster, Rios, Ivanisevic, Shapovalov, Shelton, Humbert, Norrie… e ce ne saranno stati chissà quanti altri, ma davvero ho cercato di pensare a chi tirasse quelle sassate di dritto come il cileno che compirà 27 anni il 2 giugno, e non mi è venuto in mente nessuno. Mi era venuto in mente di chiamare Luca Baldissera per chiedergli due righe sui dritti di ciascuno di quei mancini più famosi, ma avendone “ripescati” una ventina, ho evitato di infliggergli questa tortura.

E poi Zverev, dopo essersi trovato sotto 2-0 nel tiebreak del secondo set nel quale non era riuscito a procurarsi neppure una palla break, ha vinto il tiebreak 7 punti a 4 grazie a ben 5 errori di rovescio del cileno, e lì sono tramontate le speranze di Tabilo.

Nel terzo set si è visto subito che Zverev era un altro Zverev (“Questo è stato il mio match più difficile qui, Tabilo nei primi due set ha giocato meglio di me”) e direi… meno male. Sì, perché una finale tutta cilena Tabilo-Jarry – terza finale tutta cilena dopo quella Itaparica tra Fillol e Acuna nel 1982 e di Orlando fra Gonzalez e Massu nel 2000 – o anche Tabilo-Paul, sarebbe stata francamente poco attraente, anche se non così scarsa come quella giocata da Basilashvili e Norrie a Indian Wells 2021!

Zverev invece qui ha già vinto, nel 2017 – il primo dei suoi cinque Masters 1000: due li ha vinti a Madrid (uno in finale su Berrettini, bei tempi!), uno in Canada e l’ultimo a Cincinnati nel 2021 – ed era stato finalista nel 2018, quando perse dal solito Nadal.

Insomma, se alla sua terza finale romana – undicesima in un1000, tante come quelle di Boris Becker, ma a Roma come Muster, Nastase, Kuerten, Orantes, Vilas e Kodes nel tennis open – Zverev centrasse il suo sesto Masters 1000, certo l’albo d’oro degli Internazionali non ne soffrirebbe. Un certo Roger Federer, a dispetto di 4 finali, non ne ha mai vinta una. A differenza di Nadal, 10 vinte su 12 e di Djokovic, 6 vinte e 6 perse.

Invece se a conquistare il trofeo fosse il vincente della seconda semifinale “cartoon” fra Tom e Jarry, beh non sarebbe la stessa cosa. Sebbene Jarry in particolare – sulla terra battuta sta 2 pari con Zverev – sia un tennista temibilissimo. Secondo me più temibile per Zverev – che ci ha perso nel 2023 a Ginevra – che non Paul sulla terra rossa nonostante i confronti diretti dicano che l’americano ha battuto Zverev due volte su due, ma su campi duri, a Acapulco 2020 e a Indian Wells 2022.

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