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Sci di fondo, Carlo Zoller: “Fondo italiano azzerato da logiche clientelari e politiche. Cramer ci copiava, ora è il ‘Messia’”

Nei giorni scorsi è capitato di fare una chiacchierata telefonica con Carlo Zoller, allenatore di livello internazionale dalla fine degli anni ’80 che, dopo aver collaborato a lungo con la Svizzera, ha seguito anche la squadra B dell’Italia poco più di un decennio orsono. Attualmente lavora con l’andorrano Ireneu Esteve Altimiras, presenza fissa in zona punti di Coppa del Mondo. Il tecnico trentino conosce molto bene Markus Cramer, nuovo allenatore del team azzurro. Parlando del più e del meno, ne è venuta fuori una sorta di intervista, durante la quale sono stati espressi una serie di concetti che vale la pena di riportare relativamente al passato e alle prospettive dello sci di fondo del Bel Paese.

Carlo, innanzitutto specifichiamo che lei conosce Cramer da tempo immemore.
“Altrochè, ci conosciamo da più di trent’anni. Abbiamo collaborato a lungo in Svizzera, dove lui seguiva le donne e io gli uomini. Il nostro rapporto comincia in un periodo in cui il fondo italiano è il punto di riferimento a livello internazionale per metodologie di allenamento. Non a caso, proprio Markus cercava di carpire i segreti dei metodi azzurri, allo scopo di applicarli sul proprio team”.

Insomma, cercava di copiare?
“Il termine giusto è proprio quello”.

Benissimo, siamo arrivati al 2022 e la situazione si è capovolta. È l’Italia a chiamare Cramer per risollevare le proprie sorti. Cosa è successo? Com’è possibile che ci si sia dimenticati del passato?
“È successo che, salvo qualche isolata eccezione, il nostro livello è caduto talmente in basso da rasentare lo zero. Purtroppo non è una situazione verificatasi all’improvviso, bensì una dinamica che si protrae almeno dal post Torino 2006. Quindici anni che, per come la vedo io, sono stati totalmente persi”.

A suo modo di vedere, quale sarebbe la causa di tutto questo?
“Probabilmente qualcosa non ha funzionato a livello federale. A inizio anni ’90 le linee di lavoro venivano dettate da allenatori con una cultura sportiva di base. I vari Vanoi, D’Incal, Trozzi erano maestri dello sport coadiuvati da altrettanti insegnanti ISEF specializzati nello sci di fondo. Si trattava di tecnici di professione e soprattutto di civili, dunque slegati dagli ambienti dei gruppi sportivi. Erano quindi liberi di poter lavorare senza sottostare a ordini superiori. Anche la preparazione teorico-didattica-metodologica veniva curata dai docenti della Scuola dello Sport di Roma. Infine è doveroso ricordare come venisse effettuata un’ampia promozione a livello giovanile tramite i centri Coni, divenuti poi centri di avviamento allo sport. Molto di tutto questo è andato perduto”.

La domanda è semplice. Perché?
“Quello che dirò potrà non piacere, ma per come la vedo io la colpa non va attribuita ai tecnici, bensì a coloro che li hanno messi in quel ruolo. Il problema più grosso è rappresentato dall’insorgere di un forte inquinamento politico. Più di una volta, il presidente di turno ha ricambiato l’appoggio ricevuto da ex atleti di un corpo militare affidandogli dei ruoli di responsabilità senza badare alle loro competenze. Non ne faccio un discorso relativo all’attuale dirigenza, è purtroppo una dinamica che va molto più indietro nel tempo. Finché non si uscirà da queste logiche clientelari, per non dire di peggio, perché talvolta si arriva addirittura a porre il veto su determinati nomi poco graditi ai gruppi sportivi stessi, non ci sarà speranza di risalire la china”.

Sono parole di un certo peso.
“Mi sembra che la conferma della mia analisi possa essere sotto gli occhi di tutti osservando i risultati di altre federazioni come l’atletica o il nuoto dove la direzione tecnico-organizzativa è in mano a docenti  laureati (vedi Latorre Butini). Dico “Docenti”, non tecnici che frequentano i corsi federali di 10 giorni. Se li frequentano, perché per esempio al convegno che è stato effettuato a Bobbio a fine agosto ho visto poche facce giovani e tante attempate. Gli allenatori presenti sapevano già quanto è stato spiegato. Anche questo è un aspetto da tenere in considerazione, lo scarso coinvolgimento giovanile”.

Visto che la critica deve sempre essere costruttiva, altrimenti è una lamentela, le domando cosa significa, secondo lei, fare il responsabile tecnico.
“Vuol dire sì ottenere risultati nelle principali manifestazioni internazionali di alto livello (Olimpiadi, Mondiali, Coppa del Mondo), ma al tempo stesso curare anche l’organizzazione del settore giovanile, allo scopo di garantire un ricambio in prospettiva futura, oltre a formare i vari tecnici federali. Inoltre, penso sia fondamentale il rapporto con i vari comitati regionali, in maniera tale da avere un collegamento diretto con il territorio. È un lavoro impegnativo e a tempo pieno, proprio per questo dovrebbe essere affidato a chi è capace di effettuarlo. Per come la vedo io, il primario di un ospedale deve avere delle competenze ben maggiori del dottore del pronto soccorso o della caposala del reparto”.

In conclusione, cosa possiamo aspettarci dall’arrivo di Markus Cramer in Italia? È lui il “papa straniero” che può rimettere ordine nell’ambiente?
“Sì. Cramer ha continuato ad allenare con la stessa metodologia basata su grandi carichi e sul rapporto continuo con l’atleta, rendendolo partecipe di un programma, peraltro molto semplice nell’applicazione dei carichi. In questo modo ha ottenuto buoni risultati con Svizzera, Germania e Russia. Ora speriamo li ottenga anche con l’Italia. In tal senso sarà cruciale che la base lo possa seguire e lui riesca a far valere le proprie idee e le proprie linee di lavoro”.

Foto: La Presse

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