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‘Capre sulla neve’: sport in cui ci si azzuffa meno sul GOAT. Sci di fondo

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Episodio 1: la sostenibile leggerezza di Jarl (combinata nordica)
Episodio 2: mi manda Tarjei (biathlon)
Episodio 3: fino a quando non verrà un’altra regina (sci alpino)

Premessa controversa

Quando si cerca di individuare dei Goat, gente talmente forte da non lasciare dubbi di esser stati i più grandi, c’è sempre un interrogativo di fondo cui rispondere: hanno vinto così tanto perché erano forti loro, o perché erano (relativamente) scarsi gli avversari? Per alcuni sport rispondere è un po’ più semplice: sono quelli dove c’è il conforto del cronometro, o della misura comunque oggettiva e numerica. Nuoto e Atletica soprattutto, ma anche specialità del tiro per elencarne alcuni. In quel caso è più facile confrontare la performance di un dato atleta con i suoi avversari non solo nel presente, ma anche nel passato. O, quando applicabile, nel futuro. Un esempio ce lo fornisce l’atletica a cavallo fra gli anni ‘80 e ‘90. In quel decennio d’oro Carl Lewis e Mike Powell nel salto in lungo fanno faville.

Balzano ripetutamente a 8 metri e 70, spesso 8.80. A Tokyo nella finale mondiale del 1991, Lewis salta prima 8.83, poi addirittura 8.91, valido per la gara ma non omologabile per le statistiche causa esagerato vento a favore. Dopodiché Powell si arrabbia e fa 8.95, ancora oggi Record Mondiale. Lewis risponde all’ultimo salto, stavolta con vento nei limiti, da 8.87, col quale deve accontentarsi dell’argento. Lewis si prenderà poi la rivincita l’anno successivo a Barcelona con 8.67 contro 8.64. E “il figlio del vento” la storia l’ha fatta soprattutto ai Giochi, con quattro ori consecutivi, nove totali con le discipline di velocità. Insomma i due mondiali persi contro Powell pesano poco. Il suo avversario invece, che bisserà il successo mondiale nel 1993 a Stoccarda, si ritirerà senza Oro Olimpico.

Qualche anno più tardi esploderà il cubano Ivan Pedroso, che pur senza mai saltare ufficialmente più in là di 8.71 (esiste in suo 8.96 controverso ma non ratificabile), si ritirerà con un oro olimpico, quattro mondiali outdoor e cinque mondiali indoor. Era più forte Pedroso, il dominatore della sua era, o Powell, il perdente dell’era Lewis? Se Pedroso fosse nato qualche anno prima, quanti ori avrebbe vinto in carriera? Forse uno. Se Powell fosse nato in un qualunque altro momento storico, cosa avrebbe vinto? Probabilmente tutto. Compreso oggi, dove la specialità è regredita incredibilmente: basti pensare che le ultime tre Olimpiadi sono state vinte rispettivamente con 8.31, 8.38 e 8.34. Mezzo metro in meno dei salti di Powell e Lewis.

I momenti storici più o meno sfortunati quindi esistono. Tuttavia, quando si fugge dal responso incontrovertibile di cronometri e metri, e si inizia soprattutto a parlare di sport con la palla, questo ragionamento perde valore. Nel tennis poi non ne parliamo. Il famoso quadriennio d’oro di Federer, dal 2004 al 2007, è merito suo o erano scarsi gli avversari? E i tre tenori attuali, sono mostri loro o sono mezze calzette gli altri? Questa “epoca d’oro del tennis” è più merito di Roger, Rafa e Nole, oppure di Marin, Grigor, Milos e Kei? Un qualcosa che può fornirci una certezza ontologica e inequivocabile per fortuna c’è: il tifo.

Ma la logica, soprattutto la semplice logica algebrica, dice che una risposta chiara non ci può essere. Nel tennis vince una persona sola, il che significa che gli altri perdono. Se un tennista a caso, che per esempio chiameremo Roger, vince 11 Slam di fila sul veloce su 12, ne consegue per sillogismo che tutti gli altri tennisti insieme ne avranno vinti uno. E avranno vinto meno di altri tennisti in altre epoche dove gli Slam si spartivano. Ma questo non può darci nessun indizio su quanto forti siano i perdenti del 2006 contro i vincenti, per esempio, del 1986. Non abbiamo, come invece per Powell e Pedroso, un metro di paragone oggettivo. Solo una sensazione di quanto bene viaggi la palla e schiocchi il piatto corde.

Lendl non ha necessariamente vinto “solo” otto Slam perché “McEnroe e Edberg, quelli si che erano avversari”. Se fosse stato dominante li avrebbe battuti più spesso e ne sarebbero usciti ridimensionati. Se Federer fosse stato meno dominante, i suoi avversari avrebbero vinto di più. E oggi sentiremmo dire “Lendl? Quello che giocava con quei peracottari di Becker e Wilander che hanno vinto due Slam per caso? Federer a inizio carriera giocava con Roddick che ha fatto tre quarti di Slam!”. Qualunque teoria si stiracchi da un lato o dall’altro non può generare alcuna verità assoluta. Può solo dar luogo a distopie più o meno stuzzicanti, viaggi immaginifici in cui Nadal gioca con la destra, Federer ha fatto tutta la carriera col piatto da 95, Djokovic non ha mai incontrato Guru dell’Amore, Rod Laver giocava a piedi nudi.

Nè allo stesso modo ha senso triangolare gli scontri diretti per capire chi è più forte. Gli avversari principali di Federer nel “quadrienno delle pappemosce” si chiamavano Roddick e Safin. Tre Slam in due. Graziarcavolo, li vinceva tutti quell’altro. Nel secondo decennio del duemila Djokovic ha battuto Federer ripetutamente. Eppure negli scontri diretti è sotto sia con Roddick che con Safin.

Tutta questa lunga prefazione per dire che se davvero si vuole analizzare “Quanto dominante sia una dominanza”, il valore degli avversari battuti non ha alcuna importanza, perché è un valore dipendente appunto da quanto preponderante è stato il vincente. Più è forte quello forte, più deboli sembreranno quelli deboli. Per questo motivo, nessuno può sapere chi avrebbe vinto fra il Federer del 2006, il Djokovic del 2011, il Laver del 1969, il Nadal del 2013, il McEnroe del 1984. Sarebbero dovuti essere contemporanei. Sarebbero dovuti essere come Klæbo e Bolshunov.

A pagina 2… una poltrona per due (fondisti)

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