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Igor in barca a vela sul Po fino al Mare Adriatico

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Igor in barca a vela sul Po fino al Mare Adriatico

Boretto. Non un semplice giro in barca a vela, ma una full immersion nella natura e nel suo silenzio, a stretto contatto con il fiume che chilometro dopo chilometro cambia aspetto, fino a quando non diventa un tutt’uno con il mare Adriatico. L’avventura del reggiano Igor Palladini ha un sapore bucolico, d’altri tempi, che concilia con l’ambiente e stupisce per la sua semplicità, in un tempo nel quale siamo circondati da sempre più comodità. Palladini, 49 anni, di Pratofontana, non è un novizio della navigazione. Ha alle spalle anni trascorsi a pesca di siluri ed è una persona assai versatile e piena di stimoli, a cui piace provare sempre nuove esperienze e nuovi sport, non necessariamente legati all’acqua.

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Tre giorni a vela. «Ogni anno – spiega – mi piace tentare qualcosa di nuovo. Ho la fortuna di saper imparare in fretta e questa volta mi sono deciso a tentare la discesa del Po su una piccola barca a vela, spinto solo dalla forza del vento». Detto, e fatto. Lunedì 12 luglio è partito dal Lido Po di Boretto con destinazione il Delta del Grande Fiume, raggiunto giovedì dopo tre giorni e tre notti di navigazione trascorsi in barca. In tutto, 233 i chilometri percorsi. Prima di cimentarsi con il viaggio, Palladini si è adeguatamente preparato. Tra i suoi “consiglieri” più fidati, l’amico Stefano Grassi che gli ha svelato i segreti e le insidie di ogni singolo tratto (e che lo ha aiutato a mettere in acqua la barca a Boretto insieme alla compagna Jennifer Bacchi, con cui gestisce la “River Passion”, impresa di turismo fluviale) e Paolo Lodigiani, che nel 2019 ha percorso la tratta Pavia-Trieste con due piccole imbarcazioni a vela.

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Erbazzone in cambusa. A bordo della barca lunga 5 metri e 70 centimetri (comprata grazie a un annuncio su Facebook da un carpigiano e poi ristrutturata, per un investimento totale di poco più di mille euro) Palladini ha portato lo stretto necessario: un bel pezzo di erbazzone, tonno, grissini, sgombro, frutta secca, ananas in scatola e ovviamente anche tanta acqua, stimandone un consumo di circa 3 litri al giorno. Poi tendoni mimetici per coprirsi di notte, un materassino, il cuscino di casa (unico vero “lusso”) e poco altro.

In solitaria. Partito dunque da Boretto, il navigatore solitario nella prima giornata ha percorso una sessantina di chilometri, giungendo nei pressi di Ostiglia. Un ruolino di marcia superiore alle previsioni grazie all’acqua alta (qualche giorno prima i livelli erano di poco aumentati per via delle piogge), che comporta un aumento della corrente.

Il fiume dimenticato. «Quando non tira il vento – racconta Palladini – il Po è letteralmente un forno. Tant’è che l’acqua è molto calda in superficie, per sentirla fresca bisogna immergere bene il braccio. La difficoltà di un tratto così lungo è quella di dover cambiare sponda molto spesso, in modo da seguire il canale navigabile e restare a favore di corrente. Emozioni? Quello che più ho provato è stata una sensazione di pace, vivere in completa solitudine in mezzo alla natura è qualcosa di inspiegabile. Arrivi quasi a sentirti come gli animali e sei portato a non fare rumore per non disturbare l’ambiente che ti circonda. Alla fine di questa avventura mi sento di dire che il Po è più vivo che mai, è in buone condizioni ma bisogna tornare a viverlo: sulla mia strada ho trovato soltanto un sacco di tedeschi e qualche pensionato, è un vero peccato che chi vive sulle sue sponde non lo apprezzi fino in fondo».

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Palladini svela un simpatico aneddoto accaduto durante la prima tappa. «Quando ero partito da poco – afferma – sono stato contattato da Radio Bruno per raccontare il viaggio. Poi, sotto sera, presso un piccolo molo vicino a Ostiglia, un vecchietto mi ha affiancato con la sua barchetta a motore. Faticava a raggiungermi perché ero ben lanciato, e mi ha detto di aver sentito la mia storia alla radio. Mi ha “gufato” di brutto, mettendomi in guardia da tutti i pericoli, ma alla fine ce l’ho fatta». E infatti, nella mattinata di giovedì 15 luglio, il navigatore solitario ha iniziato a intravedere da lontano il faro di Punta Maestra a Pila (Rovigo), simbolico arrivo della sua escursione. Una volta superato il faro, è sceso a sud di ulteriori 18 chilometri fino alla spiaggia di Barricata e sabato mattina – in compagnia dell’amico che lo ha riportato a casa in macchina – ha effettuato un’avventurosa “bolinata” di risalita nella Sacca di Scardovari.

Dunque, tre giorni di fiume e tre giorni di mare, per quella che si è rivelata un’esperienza velica completa. «Sono stato fortunato – aggiunge – perché ho trovato condizioni perfette. Se non ci fosse stato vento, sarebbero serviti due giorni in più».

Col cefalo in barca. Nel corso degli oltre 200 chilometri percorsi, Palladini – tesserato per l’Asd Pontos di Campogalliano (Modena), associazione per la divulgazione della vela, che pratica corsi e mette a disposizione barchette sociali – ha vissuto momenti da ricordare. Come quando, ad esempio, è stato colpito alla gamba da un cefalo che gli è saltato in barca. «In generale – sottolinea Palladini – il Po è in buona salute. Lo testimonia il ritorno di specie che non si vedevano da anni, come le alborelle, o le rane, mi addormentavo col loro gracchiare in sottofondo». Terminata questa avventura, Igor è già pronto per la prossima, e tra qualche giorno partirà per la Croazia. «Questa esperienza mi è rimasta dentro – conclude – e la consiglio a tutti. Mi piacerebbe ripeterla l’anno venturo, è probabile che alla spedizione si aggiungano anche alcuni amici. Finita qui? Certo che no. Affinché questi giorni non restino solo un mio ricordo, sto scrivendo un diario di viaggio per condividere le mie emozioni con quanti più appassionati possibile».

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