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La virata di Silvia: in barca a vela contro il tumore

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La virata di Silvia: in barca a vela contro il tumore

Velaterapia è una bellissima parola. Perché contiene in sé significati che vanno ben oltre la semplice struttura linguistica. Pronunciandola si evocano potenti emozioni, per qualcuno è un segnale di ritorno alla vita. Ed è il caso di Silvia Vivoli, che ormai da qualche anno combatte una dura battaglia contro il carcinoma al seno. Per lei, prendere il largo in barca a vela, è un’esperienza che consente di attingere forza, e cambiare l’approccio con la malattia.

Silvia, 53 anni, frequenta il Cerion di Villa delle Rose a Firenze (Centro di riabilitazione oncologica ISPRO-LILT), che attraverso il Servizio di Psicologia attiva una serie di percorsi riabilitativi speciali. Tra questi, appunto, la velaterapia: un weekend a Castiglioncello, nella marina di Cala De’ Medici, reso possibile grazie alla collaborazione con l’associazione sportiva "L’Isola della Vela". La barca che ospita i pazienti oncologici si chiama "Giovedì trippa", è in acciaio, lunga 14 metri e pesante 14 tonnellate. Un open space, di progetto australiano, ma costruita da fabbri di Montepulciano. Ha una linea fondamentale per favorire l’interscambio. La scelta di portarla a Cala dei Medici nasce proprio col progetto in questione.

«L’idea del corso di vela - racconta Silvia Vivoli - era venuta fuori durante una delle nostre riunioni del martedì al Cerion e mi era piaciuta subito. La riabilitazione fisica, il sostegno psicologico e le tante attività che ho seguito nel tempo mi hanno aiutata e mi hanno offerto nuove opportunità. Oggi posso affermare che il tumore ha dato una virata alla mia vita, ma più in senso positivo che negativo. E la velaterapia fa parte delle cose belle che mi sono accadute». Una volta appreso dell’interessante opportunità, Silvia non ha perso nemmeno un minuto ad effettuare l’iscrizione. Il pensiero sconfinato del mare aperto, partendo dalla meravigliosa cornice di Castiglioncello, l’ha conquistata. «Al porto ci siamo ritrovate in quattro, tutte donne, ognuna con la propria storia legata alla malattia. Con noi c’erano anche due psicologhe della Lilt. Una volta a bordo, abbiamo raggiunto il largo e in quel momento si sono spenti i motori. È calato il silenzio ed è stata un’emozione fortissima. Ero in mezzo al mare, con persone sconosciute ma legate a me da un filo comune».

Durante la navigazione il capitano illustra dettagli tecnici, dà consigli ai presenti per affrontare l’avventura. «E a ogni sua parola era come se capissi qualcosa di più anche di me. Stare in barca è un invito alla leggerezza. Lasci a terra tutto ciò che non ti serve, riscopri l’essenziale, ti concentri meglio sulle emozioni. Se i rumori intorno si placano, fai silenzio anche dentro di te e inizi a cogliere le sfumature delle cose, anche quelle più impercettibili. In barca è molto utile avere sguardo e orecchio allenati ai piccolissimi cambiamenti, ai movimenti, alle increspature delle onde, alla direzione del vento. Sono segnali di speranza, oppure contrattempi da fronteggiare». È questione di sopravvivenza, ed il cerchio si stringe. Il mare come espressione figurata dell’esistenza. «E io ho pensato: che bello sarebbe avere questo grado di consapevolezza anche a terra, nella vita di tutti i giorni. La vela mi ha insegnato a tirare fuori le mie capacità e a non dare mai niente per scontato». Come detto l’associazione "L’Isola della Vela", favorisce l’iniziativa. «Questa esperienza - spiega Maurizio Moesch, presidente - funziona perché c’è una collaborazione con la Lilt Firenze, in cui nessuno primeggia, al centro ci sono le pazienti. Siamo tutti bravi, ma ognuno deve svolgere il suo ruolo in maniera corretta. In alcune circostanze noi istruttori siamo il punto di riferimento, in altre lo sono le psicologhe. E la sera diventiamo un corpo unico, finendo in una realtà di comunione. Facciamo dei corsi di vela, certo, ma insegniamo ad essere marinai. C’è un’atmosfera in cui l’arte marinaresca vale molto, l’equipaggio è fondamentale».

Moesch sottolinea il valore della velaterapia. «Straordinaria da un punto di vista terapeutico. Il vicino di barca un giorno mi ha detto spontaneamente "le persone che scendono dalla nostra barca, lo fanno con grandi sorrisi". La metafora del mare è vicina ai problemi che loro vivono, l’assenza di punti di riferimento. In barca ognuno è utile a se stesso e agli altri, passaggio essenziale per recuperare l’autostima. Ed il lavoro che fanno le psicologhe è davvero incredibile». --

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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