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L'addio di Superman Zanni, la leggenda friulana del rugby saluta tutti: «Il mio erede? Lazzaroni»

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L'addio di Superman Zanni, la leggenda friulana del rugby saluta tutti: «Il mio erede? Lazzaroni»

TREVISO. «Superman è nato a Udine: grazie Ale». Nello stadio Monigo deserto, dove le Zebre hanno battuto la Benetton (13-17) nel primo match di rugby dopo sei mesi, lo striscione si vede ancora meglio. Lui, Alessandro Zanni, sta fermo vicino ai pali di sinistra, lo sguardo verso il maxischermo su cui stanno scorrendo le immagini della sua carriera. Udine in serie A, Calvisano in Eccellenza per 4 anni, poi 11 alla Benetton, 119 volte azzurro (58 gare di fila, un record mondiale). Fermo, le mani sui fianchi, è un monumento. Se il suo cuore si sta agitando non si vede. D’altra parte non è mai capitato che mostrasse le sue emozioni, friulano fin nel profondo, pochissime parole, sempre cavate a fatica. «Ci faresti un’intervista a Zanni?». È una di quelle richieste che potevano metterti in ambasce. «Sì, ma breve».

Lo sapeva anche Zanni. Sollecitato sul perché lui, un esempio in campo e fuori, non fosse stato scelto per fare il capitano, rispose: «Non parlo molto, il capitano deve parlare. Non è un ruolo che mi si addice». Poi un sorriso, quasi a scusarsi di aver fatto una battuta.

Parlava poco, davvero, ma diceva sempre le cose come stavano. Niente scuse, analisi impietose delle partite. Anche venerdì sera, alla fine del primo tempo, con il fiatone prima del riposo: «Abbiamo vanificato il nostro possesso, non sfruttato le azioni palla in mano, dovevamo mantenere di più il pallone come avevamo detto nella preparazione dell’incontro». Preciso, inappellabile. «Non è semplice abbandonare uno sport che è stato il tuo per 25 anni», dice ora. E forse, nel profondo, qualcosa si muove. Come in campo, quando a fine gara sono arrivate Francesca, la sua compagna, e le figlie Greta, 9 anni, e Giada 3, per una foto di famiglia da mettere in cornice. Linguaccia di Giada al fotografo compresa.

Piccolo flash: Nuova Zelanda, mondiale del 2011, Francesca viaggia con Greta di 5 mesi al seguito, i giornalisti vengono coinvolti nel trasporto del passeggino fra un aereo e l’altro. Lui, papà Alessandro, esce dal ritiro per dare il biberon. Era alla seconda Coppa del mondo dopo quella in Francia, alla fine, con Inghilterra e Giappone, sono state quattro. In Nuova Zelanda, con la Russia segnò anche una meta. Si era a Nelson, città più a nord dell’isola sud. «La meta? Ma, non so, mi pare che me l’abbia passata Gori. Ma importa?».

Cronista spiazzato. Cambiare argomento. Però la prima che aveva segnato con gli azzurri se la ricordava: con il Canada, a Fontanafredda, Pordenone, 25 novembre 2006. «Ero a casa».

Sono passati 14 anni, siamo ai titoli di coda. «Difficile descrivere l’emozione che ho provato stasera, all’uscita dal campo. Sono sentimenti contrastanti, complesso condensarli in un discorso, trovare le parole. Non è stato facile capire che era l’ultima partita della mia carriera. Le emozioni di stasera resteranno per sempre dentro di me. E anche durante la settimana, preparando la gara, ho rivissuto i gesti fatti mille e mille volte durante la mia carriera».

Un altro flash: 31 gennaio scorso, bar dell’Hilton, Cardiff. Abbiamo comprato una minitorta di compleanno, domani si gioca Galles-Italia: Alessandro Zanni fa 36 anni, domani 118 cap. «Non credevo che sarei stato a questo Sei Nazioni, che mi chiamassero ancora in azzurro». Il biglietto dice “Happy Brexit”, ma Brexit è stato cancellato e c’è Birthday scritto sopra. Le firme sono quelle dei cronisti che in questi anni hanno seguito gli azzurri. «Non so che dire, grazie!». Uscendo, un collega: «Ma che si è commosso?».

Avrebbe potuto andare anche lui a giocare all’estero, come tanti suoi compagni. Ha preferito restare nella sua comfort zone, mai troppo lontano da casa. «Su questo non ho rimpianti, su altro un po’ d’amaro ce l’ho. La mia generazione è arrivata tardi all’alto livello, avevamo 25 anni, ci siamo impegnati, ma è stata più dura che per gli altri. Poi m’è rimasto dell’amaro sulle tante partite che ci sono sfuggite per un niente: un piccolo errore, una disattenzione».

Le gioie più grandi? «Su tutte la vittoria con la Francia nel 2011. Mai successo prima nel Sei Nazioni. Il Flaminio, quel giorno, trasmetteva un’energia formidabile. Poi, certo, l’esordio in nazionale, Prato, 12 novembre 2005, contro Tonga, ultimi 20 di partita, entrai al posto di Parisse. E il match con gli All Blacks all’Olimpico, 2012, contro mostri come Kieran Read e Jerome Kaino, anche se la terza linea che ho sempre ammirato di più è l’irlandese Jamie Heaslip, un avversario tosto e leale».

C’è un altro Zanni all’orizzonte? «Ogni giocatore ha sue caratteristiche, ma per la crescita che ha avuto in campo e fuori direi Federico Ruzza. Ma anche Lazzaroni può essere un leader». Marco Lazzaroni, terza linea, anche lui di Udine. E Zanni? Resterà nel rugby. «Mi piacerebbe occuparmi di preparazione atletica».

Sul maxischermo il filmato è finito, i giocatori di Zebre e Benetton intonano: «E per Ale, hip hip hurrà».

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