Il Sudafrica-Arcobaleno vince il Mondiale di Rugby
Una palla ovale, una nazione, un destino. Il Sudafrica vince il Mondiale di rugby che si è tenuto in Giappone, il terzo della sua storia dopo i titoli del 1995 e del 2007. E quando succede entrano sempre in gioco risvolti sociali e politici. Battuta 32-12 l’Inghilterra, in una finale che è già leggenda. Tre decenni fa gli «Springboks» – così sono chiamati i rugbisti sudafricani – diventarono il simbolo dell’apartheid.
Era il Paese del neopresidente Nelson Mandela, il cui intento primario – avviare un processo di riconciliazione nazionale – trovò il suo momento epocale nella vittoria del titolo mondiale, che nel 1995 si giocò proprio in Sudafrica. Quella squadra – celebrata dal film «Invictus» di Clint Eastwood con protagonista Matt Damon nel ruolo del capitano Francois Pienaar – era formata da tutti atleti bianchi, con un solo giocatore nero, Chester Williams, scomparso quest’anno, come se anche la Storia volesse trovare un senso ciclico a questo successo.
Per la prima volta, infatti, il capitano degli «Springboks» è nero. Ha lo stesso numero di maglia – il 6 – dello storico capitano degli «Sringboks», quel Francois Pienaar premiato da Mandela nel 1995. Si chianma Siya Kolisi e la sua foto mentre alza la coppa ha già fatto il giro del mondo ed è diventata in poco tempo l’immagine di un paese che cerca simboli di unità nazionale e che – nonostante il delicatissimo momento di crisi sociale ed economica – trova nel rugby (ancora una volta, proprio come nel 1995) un motivo di speranza. Siya e i suoi compagni hanno trionfato davanti al loro presidente, Cyril Ramaphosa.
La storia di Siya Kolisi, in questo senso, è molto significativa. Povero, con due fratelli in orfanotrofio, cresciuto dal padre e della nonna; Siya viveva a Zwide, una township di Port Elisabeth e il suo unico pensiero era «Trovare qualcosa da mangiare». Oggi racconta che la sua vita è cambiata grazie al rugby. Capì di avere una possibilità quando – nel 2007 – vide alla televisione il capitano del Sudafrica, Brian Habana, alzare al cielo la coppa del mondo. L’altro giorno Siya Kolisi ha coronato il suo sogno. Al suo fianco c’era – vinto dalla commozione – proprio Brian Habana. «Il rugby deve dare una speranza alla nostra gente – ha detto il ct Erasmus.
«Siamo stati più forti delle difficoltà – ha detto Siya Kolisi – Abbiamo dimostrato al mondo di cosa è capace il Sudafrica. Il primo capitano nero nella storia degli «Springboks» diventa così il simbolo di una rivoluzione mite, una scintilla cominciata rincorrendo una palla ovale – oggi come nel 1995 – e che sta lentamente portando il Sudafrica in un’epoca nuova. Nella squadra del primo titolo (1995) c’era un solo giocatore di colore, Chester Williams, e in quella del secondo (2007) due, Pietersen e Habana. Ora ce ne sono undici, guidati da Siya Kolisi. E’ la vittoria del Sudafrica, nazione-Arcobaleno; è il sogno di Nelson Mandela che continua ad avverarsi.