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Combinata nordica, basta piagnistei! Nessuno sgarbo dal Cio. È ora di rianimarsi, altrimenti dal 2030 addio Olimpiadi

Venerdì 24 giugno, il Cio ha comunicato le proprie decisioni in vista dei Giochi olimpici invernali di Milano-Cortina 2026. L’annuncio di non includere nel programma la versione femminile della combinata nordica ha sollevato un gran polverone, generando indignazione tra i più, a cominciare dai diretti protagonisti della disciplina stessa, i quali si sono subito stracciati le vesti per l’ingiusta bocciatura delle ragazze. Anziché proseguire in questo ipocrita gioco delle parti, perché di questo si tratta, è bene apprfondire quanto accaduto in maniera analitica e razionale.

In primis va rimarcato come la controversa decisione fosse annunciata, o quantomeno temuta, da settimane. Le voci di corridoio lasciavano poche speranze. Non a caso, sui social network, l’account ufficiale Fis dedicato alla combinata nordica già da fine maggio ha lanciato una martellante campagna, sottolineando la necessità di consentire alle donne di diventare parte della famiglia olimpica. Che bisogno ci sarebbe stato di farlo se non si fosse subodorato il “No” del Cio? Nessuno si è mosso per domandare l’inclusione nel programma di Milano-Cortina della gara femminile di salto con gli sci su trampolino grande, oppure del doppio “rosa” di slittino. Perché non c’erano dubbi sul loro inserimento. Invece la combinata nordica ha sentito la necessità di produrre decine di post in vista “del giorno del giudizio”. Una chiara mossa preventiva per preparare il terreno in caso di probabile bocciatura e poter recitare la parte della povera vittima, sbranata da un Comitato olimpico cinico, senza cuore e retrogrado.

Dimentichiamoci la retorica e siamo realisti. Far passare il messaggio di cui sopra è patetico. Potrà trovare terreno fertile su media generalisti oppure demagoghi, ma chi conosce bene le dinamiche olimpiche sa bene come il Cio avrà anche mille difetti, ma non certo quello di non porre l’accento sull’inclusività e sulla parità di genere. Anzi! Negli ultimi due decenni non esiste istituzione sportiva che abbia spinto maggiormente in questa direzione. L’evoluzione avuta dalle manifestazioni a Cinque cerchi, siano esse estive o invernali, nel XXI secolo ne è la prova. Dunque, provare a dipingere il Comitato olimpico come misogino e nemico dello sport femminile è una panzana colossale.

 

La grande domanda da porsi è quindi la seguente. “Perché il Cio, da 20 anni promotore dell’assoluta parità sessuale nello sport, ha preso una decisione in contrasto con la sua stessa politica?. La risposta è semplice ed è stata data, seppur con un giro di parole, durante la conferenza stampa del 24 giugno stessa. Il Comitato olimpico ha fatto capire che la parità di genere è solo rimandata e nel 2030 sarà sicuramente raggiunta. Resta solo da capire in che modo. O verrà inserita la versione femminile, oppure lo sport sarà rimosso in toto. Nel caso qualcuno non abbia capito (sarebbe grave) o stia facendo finta di non capire (sarebbe ancora più grave), è la combinata nordica nella sua interezza a essere messa in discussione.

Il perché è stato spiegato a chiare lettere dal Cio stesso. La distribuzione geografica non supporta più la presenza nel programma olimpico e ci sono troppe poche nazioni competitive. Possiamo dargli torto? Prendiamo la classifica generale dell’ultima Coppa del Mondo. Nelle prime 30 posizioni troviamo 7 norvegesi, 7 tedeschi, 7 austriaci e 5 giapponesi. Il vero dramma sportivo è che le seconde linee di questi Paesi sono più competitive degli uomini di punta di quasi tutte le altre! Se nei team event partecipassero Norvegia II, Germania II e Austria II arriverebbero comodamente davanti alla squadra titolare della Finlandia, quinta forza in campo.

L’involuzione avuta dalla disciplina è evidente. Fino a una dozzina d’anni fa, c’erano sette quartetti in grado di vincere una prova a squadre, ora siamo scesi a tre (volendo stare larghi). D’altronde la Finlandia ha perso lo status di superpotenza, movimenti un tempo di vertice, quali Francia e Stati Uniti sono l’ombra di quelli del passato. Nazioni di secondo piano capaci di esprimere alcuni atleti di altissimo livello, come Italia e Repubblica Ceca, sono in ginocchio, oppure nel caso della Svizzera hanno addirittura completamente smesso di investire nella combinata nordica. La Polonia, apparentemente emergente qualche anno fa, si è rivelata un fuoco di paglia. La ripresa della Russia è stata un bluff. Nel frattempo i numeri di Estonia e Slovenia si sono contratti notevolmente, tanto che per entrambe è ora impossibile presentarsi al via di una prova a squadre.

Insomma, un inaridimento diffuso e, come insegnano i giardinieri, i rami secchi vanno tagliati. Sinora la combinata nordica si è salvata grazie al suo blasone e alla sua storia, che affonda le proprie radici addirittura nel XIX secolo e nell’edizione inaugurale dei Giochi olimpici di Chamonix 1924. Non si può però pretendere vivere di rendita in eterno ed è questo ciò che il Cio ha fatto capire. “L’incredibile sviluppo” del settore femminile, vaticinato da certi manager, è posticcio. Se si parte da zero qualsiasi sviluppo è “incredibile”. La verità è che le liste di partenza della Coppa del Mondo non arrivano a 30 atlete e non si possono disputare prove a squadre perché troppe poche nazioni hanno quattro ragazze in attività.

Indro Montanelli una volta scrisse: “Le democrazie non vengono mai uccise. Le democrazie muoiono. Dopodiché si da’ la colpa a chi le seppellisce, ma la verità è che si suicidano”. Ebbene, potremmo parafrasare questo concetto, affermando che “Gli sport olimpici non vengono mai uccisi. Gli sport olimpici muoiono. Dopodiché si da’ la colpa al Cio perchè li seppellisce, ma la verità è che si suicidano”.

È esattamente quanto sta accadendo alla combinata nordica, il cui management, anziché regalarci lacrimevoli dichiarazioni sconcertate, dovrebbe dimenticare le parole e passare ai fatti. Sempre sia in grado di farlo. D’altronde cosa si può pretendere da chi per anni non ha mosso un dito per evitare di finire nella situazione attuale? Cosa si può chiedere a chi ha scelto Tara Geraghty-Moats quale ambasciatrice presso il Cio? Un’atleta che, nel momento in cui si è resa conto di non essere più competitiva, ha abbandonato la nave per imbracciare la carabina e cercare fortuna nel biathlon, praticandolo con lo stesso insuccesso che in precedenza l’aveva spinta a effettuare il percorso inverso. Se questi sono i testimonial, come si può pensare di essere convincenti?

Nel film Margin Call si raccontano le vicende di un’ipotetica società di investimenti all’alba della crisi dei mutui subprime del 2008. Nel momento in cui si realizza la gravità della situazione, l’amministratore delegato, magistralmente interpretato da Jeremy Irons, convoca una riunione in piena notte, aprendola con la frase: “Mi è stato detto che questa faccenda deve essere trattata urgentemente. Quindi ‘urgentemente’ significa che avrebbe dovuto essere trattata settimane fa, ma ormai il latte è versato”.

Se la Fis avesse veramente a cuore il destino della combinata nordica dovrebbe approntare un piano di rilancio e prendere in tempi rapidi decisioni senza precedenti, perché a partire dal 2030 c’è il rischio concreto di scendere da 7 a 6 sport olimpici. Se chi dirige la disciplina non è all’altezza, allora la Federazione Internazionale dovrebbe fare tabula rasa del management attuale, creando una sorta di “commissario d’emergenza”. Una specie di plenipotenziario di conclamata fiducia al quale verrebbe affidato il compito di rianimare una specialità rinsecchita in campo maschile e la cui branca femminile potrebbe appassire prima ancora di fiorire. Attenzione, non si parla necessariamente di qualcuno proveniente dall’ambiente combinata, ma di un manager di indiscussa capacità.

Già, ma la Fis è in grado di farlo? Oppure l’attenzione è assorbita dalle beghe politiche interne che hanno generato il ricorso contro l’elezione del presidente Johan Eliasch? Anziché impegnarsi a cambiare il proprio nome da “Federazione Internazionale dello Sci” a “Federazione Internazionale dello Sci e dello Snowboard”, non sarebbe il caso di dedicarsi anima e corpo a salvare quel ramo, antico tanto quanto i Giochi olimpici, prossimo a essere potato perché ormai vicino alla morte?

Foto: La Presse

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