«La verità su Becciu e l’intrigo vaticano»
Ha ripreso ad allenarsi in palestra e in tre mesi, lei che è cintura nera terzo dan di judo, ha perso 15 chili, ritrovando la silhouette dei tempi in cui Papa Francesco l'aveva inserita, unica (giovane) donna nella Cosea (la pontificia commissione referente di studio e di indirizzo sull'organizzazione della struttura economico-amministrativa del Vaticano). Da allora è caduta e si è risollevata più volte. Perché la trentanovenne Francesca Immacolata Chaouqui, sangue calabrese e marocchino nelle vene, ha la «capa tosta». La Papessa, come viene soprannominata, nel 2015 è stata condannata dal Tribunale della Santa sede a 10 mesi con l'accusa, da lei ritenuta ingiusta, di aver aiutato un monsignore a diffondere documenti riservati. Mentre era in aula incinta all'ottavo mese affermò di essere finita sotto processo per «volontà del cardinale Becciu» e che questo lo sapevano tutti.
Da allora non si è arresa e ha deciso di riconquistare la fiducia di Papa Francesco. Per questo, come una cacciatrice di taglie, si è messa sulle tracce di quelli che considerava i veri nemici del Pontefice e poco per volta ha trovato indizi e materiali contro di loro. Nei mesi scorsi, mentre procedevano le indagini sul cosiddetto sistema Becciu, quello messo in piedi dal cardinale oggi accusato, in concorso con altri, di diverse ipotesi di peculato, subornazione e abuso d'ufficio, è stata avvistata molte volte negli uffici della Gendarmeria e dei promotori di giustizia con cui, come risulta a Panorama, ha iniziato un'intensa collaborazione. Anche perché è stata la prima a intuire i presunti impicci avvenuti nella Segreteria di Stato vaticana che hanno portato alla richiesta di rinvio a giudizio di diversi consulenti finanziari, da Enrico Crasso, a Raffaele Mincione, da Gianluigi Torzi a Fabrizio Tirabassi, che per anni hanno contribuito a gestire i fondi riservati della stessa Segreteria, il cosiddetto Obolo di San Pietro.
La Papessa ha scoperto che un misterioso intermediario angolano che aveva proposto un affare petrolifero in Africa, aveva versato nella società di Mario Becciu, fratello del cardinale, 700 mila euro a fondo perduto. Così ha messo il naso negli affari dei congiunti del cardinale con la Caritas e le nunziature. Quindi è venuta a sapere dell'«affare» del palazzo londinese acquistato dalla Segreteria di Stato a prezzo non proprio di favore: quasi 400 milioni di euro. «Una cosa mi era chiara ed era l'unica che mi interessava. Alle spalle del Papa stava per consumarsi qualcosa di squallido» ci ha detto.
Per questo ha continuato a scavare e a fare da consulente agli inquirenti. Il 3 luglio scorso il Vaticano ha diffuso la notizia che il presidente del Tribunale Giuseppe Pignatone ha disposto la citazione a giudizio di dieci imputati, tra cui anche il cardinale Angelo Becciu (nel suo caso, per mandarlo alla sbarra, è stato necessario, come prevede il diritto canonico, l'«assenso del Sommo pontefice», arrivato lo scorso 19 giugno) e monsignor Mauro Carlino, e ha reso pubblica la monumentale (488 pagine) richiesta di emissione di decreto di citazione da parte del promotore di giustizia Gian Piero Milano, dell'aggiunto Alessandro Diddi e dell'applicato Gianluca Perone. Il processo inizierà il 27 luglio e la Segreteria di Stato, di cui Becciu è stato sostituto (ovvero il numero due) si è costituita parte civile a causa dei milioni di euro di fondi riservati provenienti dalle sue casse che sarebbero stati sperperati.
Il 1° ottobre 2019 la Gendarmeria ha effettuato una perquisizione nella Segreteria di Stato e la Chaouqui è stata sentita come prima testimone dai promotori di giustizia 27 giorni dopo. Il secondo teste è stato convocato ben tre mesi dopo.
Il 29 aprile 2020 è stato sentito l'ex direttore della sezione amministrativa della Segreteria di Stato, monsignor Alberto Perlasca. Il quale inizialmente aveva negato responsabilità sue e del cardinale, sostenendo di non conoscere neppure Cecilia Marogna, la strettissima collaboratrice del porporato, accusata di aver sperperato in beni voluttuari decine di migliaia di euro destinati al riscatto di una suora colombiana.
Ma poi qualcosa in Vaticano cambia. Perlasca, che era rimasto a vivere a Santa Marta, pur non avendone ufficialmente più diritto, vede sempre più frequentemente la Chaouqui entrare e uscire dal palazzo in cui vive il Papa e intuisce che, in un certo senso, era stata riabilitata. A quel punto Perlasca deve aver capito che il potere terreno di Becciu stava traballando e nei primi giorni di agosto di un anno fa decide di scrivere una lettera a Francesco per informarlo di aver compreso che era arrivato il momento di dire la verità e di accettarne le conseguenze. Il Pontefice risponde a Perlasca con un «Tu fidati di me». Il monsignore si fida. Inizia a chiedere di essere ascoltato dagli inquirenti e il 26 agosto 2020 scrive un memoriale di oltre 20 pagine dove dettaglia i suoi anni come primo collaboratore e amico di Becciu. Parla della Marogna, del palazzo di Londra, dei fratelli Becciu, dei rapporti del cardinale con la stampa, dell'attività di dossieraggio compiute ai danni di chi chiedeva trasparenza. Il 31 agosto viene convocato dalle autorità vaticane e inizia ad aprire il libro dei segreti. Dopo pochi giorni, nonostante le indagini siano ancora all'inizio, il Papa, a conoscenza del memoriale e di altre informazioni, decide di «scardinalare» Becciu (che comunque ha conservato il titolo pur avendo perso le prerogative di cardinale), ancora prima che i magistrati abbiano concluso le loro investigazioni. In pratica Francesco agisce come una giustizia parallela, più rapida di quella portata avanti dai promotori di giustizia e dalla Gendarmeria. E a quanto risulta a Panorama in questo filone d'inchiesta condotto personalmente dal Pontefice avrebbe avuto un ruolo proprio la Papessa, la vecchia collaboratrice di cui tanto Jorge Mario Bergoglio si era fidato e di cui aveva ricominciato a fidarsi.
In un cocente martedì di luglio la incontriamo negli uffici della sua agenzia di comunicazione romana, vicino a Torre Argentina. È un moto perpetuo. Tra un appuntamento e un altro ci fa sapere che sta per aprire una filiale della sua società a New York e che ha assunto sette persone a tempo indeterminato in piena pandemia, ma si lamenta che di questo «non parla nessuno». La interrompiamo e passiamo alle nostre domande.
Signora Chaouqui sembra proprio che dietro la conversione di monsignor Perlasca ci sia il suo zampino…
Che cosa intende? Io non vedo Perlasca da sei anni, dai tempi della Cosea. Forse ha ricevuto informazioni sbagliate…
Lo sa che i dieci comandamenti vietano di dire le bugie…
Allora preferisco non affrontare questo argomento. Posso ipotizzare che abbia saputo del risultato delle mie indagini e abbia capito da che parte stesse la ragione.
Insisto: come mai Perlasca ha deciso di collaborare?
Le posso dire che leggendo la richiesta di rinvio a giudizio mi sono resa conto che Perlasca si è trovato di fronte a una scelta non semplice: proteggere il cardinale, come aveva fatto nel primo interrogatorio, oppure dire la verità tutelando l'interesse della Santa sede e del Santo padre e su questo so che un importante sprone glielo hanno dato i suoi genitori. Evidentemente Perlasca non se l'è sentita di dargli questo dispiacere, a loro che sono così fieri di lui, accettando di fare l'imputato per salvare il cardinale. Alla fine la sua nuova versione era così dirompente che Becciu ha provato a farlo ritrattare chiedendo al vescovo di Como di dire a Perlasca che rischiava condanne per falsa testimonianza.
Qual è il suo giudizio finale sul cardinale?
È una persona di grande intelligenza, veloce e pratico, con una capacità di lavorare 15 ore consecutive e di farsi amare dai collaboratori. Queste qualità sono state apprezzata anche dal Papa che ha creato con lui un rapporto di fiducia totale. Peccato che Becciu quelle doti le abbia asservite alla propria ambizione.
Che cosa intende?
Non ho conosciuto nessuna persona abile come il cardinale a creare reti di relazione, che però venivano selezionate senza badare al fine ultimo di proteggere la Santa sede: c'erano soggetti senza scrupoli che un qualunque controllo da parte della Gendarmeria avrebbero evitato di far avvicinare a Francesco.
Come ha conquistato il suo potere Angelo Becciu?
Innanzitutto ha sfruttato un equivoco di fondo da lui alimentato: faceva credere di aver un rapporto più forte con il Santo padre di quello che aveva lo stesso Segretario di Stato Pietro Parolin.
E come ci riusciva?
Approfittando del fatto che anche Parolin avesse fiducia in lui. Al ritorno da ogni viaggio del Pontefice all'estero Becciu organizzava dei pranzi a casa sua, nel palazzo apostolico, a cui il Papa partecipava e a cui veniva ammesso un selezionato gruppo di persone, tra cui politici, giornalisti, imprenditori, magistrati. Entrare in quel circolo ristretto era l'ambizione di molti.
Faccia qualche nome.
Marco Minniti, Paolo Gentiloni, Giancarlo Giorgetti e molti altri. Oggi mi risulta che per questi incontri venga utilizzato una casa privata di un monsignore che si trova in via della Pigna a Roma... Speriamo che in questi cenacoli non si strumentalizzi troppo il nome di Bergoglio, come ha fatto Becciu.
Il cardinale parlava a nome di Francesco?
Nell'atto di accusa c'è scritto che ci sono messaggi in cui sembra che sia così, ma che attribuiscono al Santo padre decisioni altamente improbabili, come sottolineano anche i promotori di giustizia.
Loro difendono il «datore di lavoro»…
È difficile immaginare che Francesco possa avere autorizzato l'investimento sulla biografia cinematografica di Elton John.
Veniamo alla cosiddetta Lady Becciu, al secolo Cecilia Marogna, che il cardinale dice di aver conosciuto tramite mail e che sarebbe stata, a suo dire, vicina al Dis, il Dipartimento italiano delle informazioni per la sicurezza.
In Curia era conosciuta come Cecilia Zulema. Il cardinale dice di averla dirottata alla Gendarmeria per fare operazioni di intelligence e dicono entrambi, lui e lei, che il Santo padre sapesse della sua esistenza. Ma io non ci credo.
Lei come ha avuto contezza della presenza di questa donna in Vaticano?
Nel 2018, pochi mesi dopo l'arrivo della Marogna Oltretevere, mi avvicinò un importantissimo generale dei servizi segreti interni (Aisi). Non si presentò con la sua vera identità: si faceva chiamare Massimo e, senza che io glielo chiedessi, mi dava notizie su cose che accadevano Oltretevere. Mi parlò di una sorta di selezione che stava avvenendo per costituire una specie di intelligence parallela che facesse capo a Becciu e che aveva al suo interno una donna. Mi stava parlando, senza dirmi il nome, della Marogna. Ma quello che mi fece capire che un grande caos stava per esplodere nella Santa sede e che ogni sua frase aveva come premessa formule del tipo «l'ha autorizzato il Papa», «lo sa il Papa», «lo vuole il Papa». Quando mi disse che questa cellula di intelligence parallela avrebbe dovuto liberare ostaggi a pagamento, utilizzando anche i servizi italiani, ho capito che Bergoglio era veramente in pericolo.
Nelle carte risulta che a indagini già iniziate la Marogna abbia soggiornato nel palazzo del Santo uffizio, dove si trova la dimora di Becciu. Come è possibile che il cardinale non l'abbia allontanata da sé dopo che Perlasca aveva iniziato a collaborare?
La stampa ha lasciato intendere che tra i due ci fosse un rapporto anche intimo. Questo lo escludo totalmente per una serie di ragioni. Io so che cosa significhi essere donna in un mondo di uomini e le voci che questa cosa può suscitare.
Ma in questo modo la Marogna resta un mistero dogmatico…
Più che un mistero dogmatico, quella della Marogna è una vicenda triste. A mio giudizio ci troviamo di fronte a due debolezze che si sono incontrate: da una parte Becciu si era convinto di aver trovato la sua Mata Hari personale, una donna che potesse essere i suoi occhi e le sue orecchie in ambienti diversi e in abiti borghesi, dall'altra lei era affascinata da un lasciapassare che la trasformava da venditrice di telefonini in Sardegna a diplomatica sotto copertura in Vaticano...
Come è giunta a Becciu la «venditrice di telefonini»? Davvero via mail?
Non è la Marogna che è arrivata a Becciu, è Becciu che è arrivato alla Marogna… Alla sua corte il cardinale aveva tutti, gli mancava la «spia», bella, sexy e spregiudicata. Mi risulta che gli sia stata presentata da un lobbista molto vicino ai servizi segreti. Ma non avendo la prova preferisco non fare nomi.
La Marogna ha detto di essersi rivolta a Giuliano Tavaroli, controverso esperto di security, per farsi presentare l'ex dirigente del Dis Marco Mancini, di cui tanto si è parlato per un incontro in autogrill con Matteo Renzi.
Tavaroli, che conosco da anni, mi chiese se la Marogna avesse veramente il ruolo in Vaticano che diceva di avere. Fui costretta, a malincuore, a confermarglielo, ma gli dissi anche di starle alla larga. Alla fine Tavaroli non le presentò Mancini, ma, con mio grande disappunto, continuò a frequentarla. E questo ci ha allontanati.
Nel suo cellulare sono state trovate le registrazioni delle sue conversazioni con Tavaroli in cui discutevate della Marogna…
Gli dicevo di consigliarle riservatezza assoluta con la stampa sull'argomento degli ostaggi perché temevo che se si fosse saputo che la Santa sede pagava avrebbero iniziato a rapire numerosi preti e suore. Le feci suggerire di collaborare con le autorità vaticane sull'inchiesta in corso e di affrontare certe tematiche, come quelle dei sequestri, solo con loro anziché con i servizi segreti italiani, che non c'entravano nulla.
In questa vicenda, i prelati coinvolti hanno sempre una donna alle spalle: Becciu la Marogna, Francesco lei, monsignor Perlasca la misteriosa Genoveffa Ciferri.
Sicuramente Perlasca è quello a cui è andata meglio, visto che si vocifera che Genoveffa o «Geneviève» come preferisce essere chiamata sia una donna bellissima, estremamente intelligente, scaltra e con contatti molto importanti. Io non l'ho mai conosciuta, ma mi piacerebbe molto prendere un caffè con lei. Mi risulta che abbia avuto un ruolo nel ripensamento di Perlasca.
Nella richiesta di citazione a giudizio si legge che monsignor Perlasca, uno dei più stretti collaboratori di Becciu, avrebbe sottolineato la «particolare abilità del cardinale di gestire la comunicazione per veicolare le notizie verso giornalisti compiacenti».
Questa attitudine l'ho sperimentata sulla mia pelle. Quando venni nominata in Cosea il cardinale commissionò, e ne sono certissima, a un giornalista un articolo intitolato Una bomba sexy che imbarazza il Vaticano, utilizzando delle mie foto di quando ero molto giovane, prese dai social network. Becciu per rendermi innocua «pompò» sulla stampa un mio profilo di persona poco seria con un marito che non era il mio.
Nei mesi scorsi l'alto prelato ha trovato sui giornali importanti avvocati difensori. C'è stato addirittura un noto direttore di quotidiano che a puntate ha provato a smontare le accuse contro Becciu.
Il cardinale ha messo in campo importanti ghost writer che hanno scritto, ma non hanno firmato. Pensi che, come si legge nella richiesta di citazione, ha provato a screditare anche gli inquirenti che indagavano su di lui e io ho dovuto sventare diversi di questi attacchi. Persino all'Espresso, dove non avendo amici particolari, il porporato ha trovato una manina compiacente che gli ha consegnato la copia cartacea del settimanale con un'inchiesta su di lui prima che il magazine andasse in edicola. Oggi, comunque, non mi pare che i giornalisti che hanno provato a difenderlo sino alla fine siano in grado di smontare l'atto di accusa di 500 pagine degli inquirenti. Io avevo suggerito a molti di questi cronisti di essere più prudenti nei giudizi, soprattutto quando si parlava di riabilitazione del cardinale. I fatti mi hanno dato ragione.
Perché Becciu ha trovato tante penne pronte a prendere le sue difese?
Ogni giornalista difende le sue fonti e Becciu è stata una fonte per molti. Basti pensare che tutti i suoi nemici non godono di buona stampa a partire da me. Io per esempio negli anni ho dovuto querelare diversi cronisti, da Fabio Marchese Ragona a Francesco Grana, da Vik van Brantegem ad Angela Ambrogetti e a Paolo Liguori...
A noi risulta che, però, i cronisti vicini a Becciu non fossero solo quelli da lei denunciati.
In effetti ce ne sono molti altri, che, però, non ho denunciato. Anche al Corriere della sera Becciu aveva tanti amici che adesso sembrano essere spariti.
Aveva pure il sostegno della stampa romana.
Il metodo era semplice: far credere ai vaticanisti di poter entrare nella segreteria per la comunicazione della Santa sede. Tra gli uomini a lui vicini c'era anche il direttore di Rai Vaticano Marco Simeon. Con lui venni alle mani quando lo sentii usare epiteti infamanti nei confronti del Papa. So per certo che Becciu gli fece correggere la tesi di laurea da Perlasca.
A volte, per screditarla, evocano i suoi rapporti con ambienti di destra, vicini alla Lega, e certe frequentazioni particolari, come quelle con il lobbista Luigi Bisignani.
Lui è un mio caro amico e ogni tanto quando penso ai suoi figli mi immagino come sarebbe stata la mia vita se fosse stato lui mio padre. Per quanto riguarda la Lega, forse la voce è legata alla mia amicizia con Matteo Salvini e Maria Giovanna Maglie.
A parte le donne, dietro a tutta questa vicenda aleggia anche la cosiddetta lobby gay...
Che vergogna. La lobby gay, però, è meno pericolosa della lobby finanziaria.
A un certo punto sembrava che Bergoglio avesse riabilitato Becciu, con la celebre «lavanda pedibus» nella casa del cardinale.
Io ho trovato stupendo quel gesto del Pontefice. Anche Gesù ha lavato i piedi all'uomo che lo ha tradito, Giuda.
Durante le sue indagini c'è stato un momento in cui ha avuto paura per se stessa e i suoi familiari?
Nei giorni successivi allo «scardinalamento» di Becciu. Una persona distrutta dal dolore come era il cardinale in quel momento non è lucida e lo so perché l'ho provato. Mi attribuiva responsabilità che non avevo. Oggi non solo l'ho perdonato, ma umanamente ne ho compassione. Se non avesse fatto gli errori che ha commesso, posso assicurarle che sarebbe stato il prossimo Papa.