Notizie

Sui green irlandesi volano le palline e le anime dei Druidi

Irlanda verde come le sue praterie ruvide, segnate da muri e alberi solitari, estese sulle antiche foreste ingoiate da questa terra: qui correvano bardi e templari celtici, cantori di mille leggende legate alla natura. È cangiante e nitida la luce delle vie di Dublino, patria di James Joyce, Jonathan Swift e di Bram Stocker, l’inventore di Dracula. I cieli solcati da nubi vaganti da ovest ad est, bianche e leggere come piume, a volte grigie e gonfie di pioggia atlantica.

In questo Paese rimasto nei secoli cattolico nel cuore della rivoluzione protestante al fine di conservare identità e fede, “le uniche costanti sono il mare, il gioco della luce e la medesima verde curva di colline che i Vichinghi videro quando vi arrivarono”, ha scritto un viaggiatore. Tutto il resto cambia di momento in momento, come il temperamento degli irlandesi ora pronti a rivisitare da protagonisti, cioè, cantando e suonando, musica nobile e musica folk; ora a farsi prendere dall’improvvisa voglia di bere, che viene e va, per strappare allegria al bicchiere, ora impegnati a narrare e a ciarlare nei pubs. Qui tutto cambia come il cielo, ora soleggiato e ora plumbeo, l’aria improvvisamente immobile o aggrovigliata nelle folate dell’Atlantico che sibilano sulle rocce.

In Irlanda tutto si muove velocemente come sono cambiati, in 150 anni, il bisogno o la voglia di andarsene in Usa o in Gran Bretagna. Più di 40 milioni di americani (si chiamino Reagan o Kennedy) sono di origine irlandese. Il livello di benessere è cresciuto negli ultimi decenni, dicono i conservatori, grazie ai forti interventi liberisti. Il tempo corre qui come in una gara di golf, nella quale il prezioso controllo della pallina, per un giocatore medio, si fa vivo attorno ai quattro colpi su dieci.

Il gioco dell’imprevedibilità e quindi delle emozioni, incerto e mutevole per eccellenza importato dai cugini scozzesi, ha tradizioni secolari, giocato su campi selvaggi come i links della costa occidentale, aspri e difficili, in riva all’oceano. Oppure su campi maestosi, offerti oggi agli occhi di una ventina di giornalisti golfisti d’Europa e d’America, trenta chilometri sotto Dublino, nella contea di Wicklow, definita banalmente dalle guide turistiche ‘il giardino d’Irlanda’.

Irlanda dello swing: più di 5 milioni di abitanti e 400 campi da golf, più di 40 attorno alla capitale che ha un milione e duecentomila abitanti compresi quelli dei sobborghi. Per capirci, l’Italia ha circa 60 milioni di abitanti e 100 mila presunti golfisti distribuiti su 300 campi e campetti. In Europa, nel golf, siamo fra gli ultimi e gli irlandesi tra i primi, per loro è una passione nazionale, praticata da chiunque abbia soltanto voglia di comprarsi un set di ferri.

Oggi si gioca al Powerscourt Golf Club. Powerscourt, a Enniskerry, è una grande proprietà sorta attorno al 1600. Il suo nome, se fossimo in Francia, sarebbe Domaine des pouvoirs, in Italia sarebbe qualcosa come Corte dei principi. Il castello ha attorno giardini degni di questo nome, con toni colorati e disegni gioiosi, ben disposti all’occhio del forestiero come il carattere degli irlandesi. Nel 1603 castello e
terre finirono nelle mani di un inglese, Richard Wingfield, divenuto poi maresciallo d’Irlanda.

La famiglia vi abitò per 350 anni godendo della piccola reggia e di un suggestivo paesaggio agreste. Pascoli e boschi alternati a coltivazioni da collina: latte, birra, cereali e bottini di guerra furono all’origine di tanto splendore. Degrada dal palazzo verso valle una sequenza di statue, terrazzi con pavimenti in marmo e bronzo, aiuole collegate da sentieri in perfetta geometria, con grandi chiazze di rose bianche, giardini in stile italiano e giapponese, stagni e tritoni. Nel parco, c’è l’antico cimitero degli animali domestici, quelli più amati, sepolti nel verde.

A nord del castello, accanto a tanta bellezza, ecco le 18 buche del campo, il Powerscourt Golf Club, luogo di competizioni internazionali. Vi si può dormire, c’è un buon ristorante di circolo, lo standard è eccellente e, sopra, ha il cielo d’Irlanda che quando è azzurro è un bene prezioso che non costa niente il che, per un irlandese, è importante come per uno scozzese.

Le buche si insinuano tra le colline. La 4 sovrasta una piccola valle, la 6 scende su prati sempreverdi la cui irrigazione è fornita gratis dal cielo, un giorno sì e uno no, precisa perché irrorata col computer di un clima millenario. Per questo, qui il golf lo praticano quasi tutti: acqua e prati abbondano, così che si abbattono i costi di manutenzione. La temperatura, grazie alla corrente del golfo, non scende sotto gli 8 gradi sui links dell’ovest anche d’inverno.

La 10 punta verso boschi di abeti: siamo in alto. Isolati tra gli antichi pascoli troneggiano faggi austeri con tronchi dalla circonferenza gigantesca. Accanto al green della 12 c’è un rovo dai piccoli fiori bianchi, isolato e indisturbato. La mia pallina rotola poco distante e quando mi appresto a tirare alla bandiera col pitch wedge, Ian Cruickshank, hcp 18, redattore di un periodico sportivo di Toronto, mi dice di fare attenzione.

C’è un’insidia. Il rovo in fiore è un covo delle fate e la leggenda irlandese, una delle mille, mi dice, prevede che chi lo ferisce venga colpito da sfortuna. Dai, Ian, non esagerare. Sto in guardia, do per sbaglio una sciabolata a qualche petalo e per andare in buca consumo altri tre colpi, troppi. Che le fate si siano offese davvero?

Chiudiamo alla 18 mentre arrivano nuvole basse che ingoiano la dorsale della collina, dal fairway si alza una leggera bruma, i raggi trasversali del sole al tramonto fanno risaltare le mille tonalità del verde. Una pinta di birra scura, al bar del circolo, ci concilia col punteggio.

Il giorno dopo, via su un altro campo prestigioso. La club house del Druids Glen Golf Club, a Newtownmountkennedy, ha 400 anni. Il resort è a mezzora d’auto da Dublino e ha ospitato più volte gli Open d’Irlanda, cioè la più importante competizione nazionale.

La facciata bianca, neoclassica, guarda verso il mare dal quale sorge il sole e fa da sfondo alla buca 18 che finisce in salita, come nella
migliore tradizione anglosassone, sotto le sue vetrate vittoriane.

Il percorso è un capolavoro di architettura golfistica di Tom Craddock e Pat Ruddy. Le colline intorno affondano in un mare di prati e boschi. “Questo campo”, disse Colin Montgomerie, campione scozzese, “è una vera palestra di golf”;.

Qualche anno fa fu messo in cima alla classifica dei migliori del mondo, con i mitici Pebble Beach di California, preferito dal presidente Clinton, e il Pinehurst Resort del Nord Carolina.

La luce sotto le querce ha riverberi d’altri tempi: il percorso dal nome incoraggiante, Druids Glen (Valle dei Druidi), porta il nome degli antichi sacerdoti.

Indovini e medici, maestri di filosofia e diritto, i Druidi conoscevano le forze misteriose che muovono il mondo della natura e vi leggevano le espressioni dello Spirito Creatore, guardiani del “sacro ordine naturale”. Divisi in tre ordini, con tre gradi d’iniziazione, costituivano in tutto il mondo celtico un fiero collegio sacerdotale, erano potenti in Gallia, nella foresta dei Carnuti, in Britannia, a Mona, e in Irlanda. Erano, per capirci, quelli della Norma di Bellini. Coltivavano vischio e felci, arbusti per loro sacri. Si ispirarono alla loro cultura mille leggende popolari e i costruttori dei monumenti megalitici irlandesi come la tomba di Newgrange, nella
contea di Meath, la tomba di Creevrykeel Court Cairn, nell’alta contea di Sligo e le strane figure scolpite nella pietra sull’isola di White, nel lago Erne, nella contea di Fermanagh.

San Patrizio, patrono cattolico di questa terra, se li trovò di fronte ancora nel 432 dopo Cristo. Ridotti in minoranza dalla diffusione del cristianesimo, si rifugiano nelle foreste. I cristiani li incalzarono, avevano un linguaggio che sembrava minasse la nuova fede, i luoghi cambiarono nomi e le genti le usanze ma i paesaggi conservavano l’antica sacralità ambientale. Come qui, su questo campo da golf.
Prima di liberare l’isola con un miracolo da ogni tipo di serpe (l’Irlanda non ne ha), San Patrizio si rifugia a meditare sul Croagh Patrick, la montagna intitolata al dio pagano Crom, nella contea di Mayo. Combatte per 40 giorni e 40 notti contro una
legione di diavoli, poi dichiara che la vetta è consacrata al Dio cristiano: tutti possono renderle omaggio anche con fede diversa e conservando le ritualità pagane.

Ancora oggi, l’ultima domenica di luglio, chiamata la domenica del Nero Crom, decine di migliaia di irlandesi vi si recano in pellegrinaggio. Il golf, per chi lo ama, è anche atmosfera e ambientazione culturale.

Alle 11,30, alla partenza, debbo far fronte, con i miei due compagni di gioco, a folate di vento improvviso. Il sole non scalda più. Maciniamo le splendide 4 e 5, a fianco di muri e piccole strade, scorci di campagna antica. La 7 riporta alla club house e da lì si vedono le aiuole di felci della 9. Siamo nel cuore della Valle dei Druidi. Queste felci sono piante umbrofile, dicono i botanici, che crescono nei boschi attorno alle radici di vecchi alberi, nelle fessure delle rocce e dei muri.

Sono numerose nelle penombre di questa terra ricca d’acque, nascono anche nelle torbiere e formano qui, in un’alternanza di verde e di colori ocra, il magico disegno di singolari aiuole a doppia spirale di dieci metri di diametro ciascuna.

“La felce era ornamento sacro che faceva cornice al dialogo con le forze della Natura”, spiega Bronagh Kelleher, direttore marketing del campo, “erano il simbolo della proiezione nella materia dell’eterna spiritualità. Dalla torba alla luce, facevano da cornice alle magie dei sacerdoti, sciamani nobili di un’antica civiltà agreste.

Attorno c’erano gli uomini della terra e gli animali, verde e acqua, creta e vento e Sull’ara il fuoco sacro, simbolo di purificazione e rinascita”.

Di fronte al tee della 8, un par 3, ho uno stagno limpido, uno specchio di cento metri di silenzio tra me e la bandiera. Il green al di là dell’acqua, tremila anni fa avrebbe potuto essere un luogo di preghiera. Vi si accede da un ponticello di legno, una cascata canta sommessa più a valle. Trattengo il fiato: c’è un nearest to the pin…

Le aiuole attorno ripropongono il disegno della spirale, la stessa immagine che è sulle rocce preistoriche del Maghreb, sulle pendici delle Prealpi padane e nelle tundre asiatiche. Ce la farò, mi chiedo, a passare lo stagno con un colpo solo? Susan
Grunwald Aschenbrenner, giornalista alemanna, mi guarda perplessa. Mister Joe Lynam, terzo del team, è andato in profondità.

Tocca a me. George, maestro dalla chioma rossa, mi assesta la posizione dei piedi per garantire un colpo diritto. È qui per dare una mano e tira prima lui, con successo, per incoraggiare il dilettante. Voloooo! Raggiungo la tabella che segna i risultati dei team precedenti. Soltanto Tom Cleary, cronista americano, hcp 2, un’ora prima ha fatto meglio di me: si è fermato a un metro e cinquanta dalla bandiera. Io,
hcp 20, che sono, cioè, 18 volte meno bravo, ho sbagliato il bersaglio soltanto di trenta centimetri…in più. Un trionfo. Crom, dio druidico, è stato generoso.

Il lettore mi perdonerà se chiudo le prime 9 ancora con i fantasmi e le leggende, come farebbe un irlandese con le fiabe e con le canzoni, con la lira o con il banjo. Mi aspetta un drive perfetto. Sono sulla 9 (numero che, usato come moltiplicatore, dà un risultato le cui cifre formano sempre 9), simbolo dell’assoluto e dell’immutabilità. Dal nero al bianco. Ora ho il vento in poppa e finisco la buca con soli quattro colpi, che qui, a metà del percorso della Valle dei Druidi, sono previsti per i bravi. Laggiù, il mare del canale di San Giorgio, che ci separa dall’Inghilterra, è spazzato da folate di vento autunnale.

L'articolo Sui green irlandesi volano le palline e le anime dei Druidi proviene da Aigg Magazine.

Comments

Комментарии для сайта Cackle
Загрузка...

More news:

ASD Golf Club Centanni
Oasport: Nuoto paralimpico: Super-Italia a Berlino! Morlacchi, medaglie e record
Associazione Italiana Giornalisti Golfisti (AIGG)

Read on Sportsweek.org:

Altri sport

Sponsored