L’atlante del calcio mondiale secondo Riccardo Pecini: “Il presente è nel Maghreb, il futuro sarà nel Caucaso”
Il calcio del presente è nel Grande Maghreb, per talenti, infrastrutture e passione della gente. Marocco, Tunisia, Algeria ed Egitto stanno lavorando bene da anni e tutte e quattro le Nazionali si sono qualificate per i Mondiali. Per il futuro, invece, Riccardo Pecini, ex dirigente di Serie A e oggi in giro per il mondo per l’azienda di scouting che ha fondato qualche anno fa, scommette su alcuni Paesi caucasici. Parlando con ilfattoquotidiano.it, Pecini traccia una sorta di atlante del calcio mondiale, focalizzato sull’attualità. Lo fa attraverso i dati e le analisi prodotte dalla sua Scouting Department, creata con gli ex calciatori e storici collaboratori Marco Cunico e Mattia Biso, e le centinaia di partite che vede allo stadio, cercando di capire anche il contesto in cui si svolgono. Pecini non ha alcuna intenzione di tornare a fare il dirigente. Si diverte di più così, a lavorare come consulente di scouting in outsourcing, offrendo servizi a club che non dispongono di una propria struttura, con l’esclusiva di un club per campionato.
I migliori talenti in quali Paesi si trovano oggi?
Al di là dei soliti noti, come Argentina e Brasile, voglio concentrarmi su altri Paesi, nonostante la geolocalizzazione al giorno d’oggi sia difficile, considerati i flussi migratori degli ultimi 50-60 anni. Sicuramente i Paesi sudamericani hanno continuità nella produzione di talento, con nuove frontiere ormai esplose come l’Ecuador, dove già per il Campionato Sudamericano Under 17 del 2011 hanno investito in strutture. In Ecuador, già qualificato al mondiale, ora ci sono giocatori di qualità e un campionato valido, con argentini che vanno a giocare lì anche per una scelta economica. Poi stanno emergendo Paesi dalla non eccelsa tradizione ma che hanno assimilato gli immigrati. Penso agli Stati Uniti, dove le scuole rimangono fondamentali per lo sport.
Faccia il nome di un solo Paese.
Allora dico Marocco, in relazione agli ottimi risultati delle Nazionali Giovanili, frutto di un percorso iper professionale e illuminato di programmazione che è iniziato vent’anni fa, nel quale hanno saputo investire nella gestione e nel perfezionamento del talento. I successi odierni sono la conseguenza del lavoro di vent’anni fa. Ricordo di essere stato stupito già nel 2008 quando andai a Rabat a visitare il loro centro federale. I calciatori di prima generazione di qualità sono nati in Marocco, e poi magari si sono trasferiti in Spagna, ma sono nati lì.
I soldi non sono necessari?
I soldi non servono per creare talento, ma per organizzarlo, rifinirlo, lavorarlo, insomma, per non disperderlo.
Il Paese con le infrastrutture migliori per fare calcio e nel suo caso per vederlo meglio?
Tralascio i Paesi top come la Germania e l’Inghilterra che paiono inarrivabili. Nella Serie B tedesca per esempio non si trovano biglietti per le partite: sono gli stadi che ti invogliano ad andarci alla domenica. Anche quelli vecchi sono stati resi moderni e fruibili. Diciamo che questi due Paesi giocano in un altro campionato.
Dove si sta assistendo invece a un grande sviluppo infrastrutturale?
In tutto l’Est Europa. La prima è stata la Polonia, che oggi è nettamente all’avanguardia in tema di stadi, ma anche i Paesi confinanti e quelli balcanici stanno investendo molto. Repubblica Ceca, Slovacchia, Albania, Serbia, Croazia hanno tutti inaugurato o stanno costruendo stadi nuovi e centri sportivi più moderni. È un tema sia economico che culturale: dal punto di vista economico, la crescita dei Paesi dell’Est Europa è evidente e inarrestabile. Riescono a investire in maniera proficua partendo proprio da infrastrutture come strade, parchi e gli stessi stadi, ma lo fanno con un retaggio culturale che li porta a mettere lo sport sempre al centro. Lì lo sport ha ancora una valenza sociale, non è solo intrattenimento, e questo guida le scelte strategiche. Amo poi come viene vissuta la partita nei Paesi scandinavi e specialmente in Danimarca, dove ogni stadio è moderno e funzionale ed ha aree dedicate alle famiglie e fanzone coinvolgenti, con lo scopo di trasformare l’evento gara in un ritrovo per la comunità. Anche Uzbekistan e Kazakistan stanno crescendo, ma sono un po’ più indietro. Per vedere e capire tutto questo, bisogna andare sul posto.
Il Paese con più passione per il pallone?
Dopo il Covid, c’è stato un evidente ritorno alla partecipazione un po’ ovunque, si vede negli stadi anche italiani, così come in generale negli eventi di aggregazione. Se devo valutare il calcio di strada, o il seguito popolare in generale, credo che le genti del Maghreb interpretino il sentimento di passione in maniera quasi religiosa, dal Marocco all’Egitto, passando per l’Algeria. Tutte le Nazionali di quell’area si sono qualificate per il prossimo Mondiale. E allo stesso modo, sebbene lontani dalle nostre latitudini calcistiche, anche i Persiani hanno un coinvolgimento viscerale. La passione pura si trova in Iran come in molte regioni del Sud America. Lo stadio di Casablanca sembra la Bombonera, ma è meno mediatico. Se un ragazzo di 17 anni gioca il derby lì non avrà paura di San Siro.
Alcuni Paesi corrispondono a un determinato ruolo?
In realtà sì, per tradizione, metodi di allenamento e formazione culturale, esistono Paesi che tendono a “produrre” giocatori con determinate caratteristiche. Noi lavoriamo molto sullo studio e sulla ricerca per essere sempre aggiornati in questo genere di analisi e i trend sono ancora piuttosto chiari per i Paesi meno soggetti a migrazioni significative. Nei Paesi nei quali, invece, i giovani figli di immigrati di seconda generazione si affacciano alle prime squadre, i riferimenti stanno cambiando molto come conseguenza di una commistione che comunque rappresenta secondo me sempre un arricchimento, sia calcistico che culturale
Faccia degli esempi.
Quando ho bisogno di un portiere vado in Repubblica Ceca. Una volta ne trovo uno per il Chelsea, una volta per lo Spezia, ma porto a casa sempre qualcosa. Questo per struttura, scuola e retaggio culturale. Per un centravanti per non sbagliare si va in Argentina, ma per gli attaccanti di profondità si va in Nigeria. Una volta per i difensori si rimaneva in Italia, oggi si cercano quelli veloci, che si trovano in Africa, magari di formazione europea. Questo avviene in un calcio in cui la ricerca tattica è inferiore rispetto a qualche anno fa.
Non si fa scouting di allenatori?
Noi lo facciamo.
Ci sono Paesi che hanno maggiore facilità a produrre mister di qualità?
Vedo maggiore “vivacità”, intesa come ricerca, sperimentazione e apertura al cambiamento, nei Paesi che si sono aperti ad allenatori, dirigenti e staff stranieri, più che nei Paesi arroccati nella difesa delle proprie tradizioni. La Premier ne è l’esempio più eclatante, ma oggi, a un livello inferiore, la Danimarca ha iniziato a produrre allenatori perché si è aperta alla conoscenza e alla commistione prima di altri. Oggi ci sono allenatori danesi di ottimo livello in tutta Europa, a parte in Italia. Anni fa hanno portato in casa allenatori stranieri. Vedo in Francia attualmente lo stesso processo: in un Paese che ha sempre prodotto pochi allenatori di livello, l’essersi aperti a tecnici stranieri ha creato stimolo e spinta anche per i francesi stessi per uscire dal loro retaggio culturale ultra-protezionista e, mi permetto, un po’ limitato.
Ci sono Paesi in cui si vede con maggiore frequenza un “bel gioco”, senza necessariamente trovare calciatori?
Cosa è il bel gioco? Se chiedi a Giampaolo e a Ranieri ti rispondono in maniera diversa. Io mi sono divertito con entrambi. A me da dirigente interessava vincere, non la maniera. Poi certe piazze pretendono un certo tipo di gioco. Oggi comunque non esiste un allenatore che non è bravo ma che è nel posto sbagliato nel momento sbagliato. Più che definire il bel gioco, che ha un’accezione comunque soggettiva, io definirei il DNA culturale del Paese in questione. In linea generale, ogni Paese esprime il prodotto della propria tradizione e delle proprie conoscenze in un determinato momento storico.
I Paesi con cui a livello finanziario è meglio fare affari?
La differenza è nella tassazione di un Paese. Cambiano le regole e le tassazioni sono molto differenti da Paese a Paese. Questo può influire sulla concorrenza, rappresentare a volte un vantaggio per un lavoratore, ma in termini di business per le società, non vedo grandi differenze quando si compra. Quando si vende, invece, cambia: vendere fuori rispetto a vendere in Italia, dove tendenzialmente è meno vantaggioso.
Quale è il Paese in cui i calciatori sono pronti prima?
La risposta più facile! Quello nel quale giocano prima e dove l’errore è concesso. Succede nei paesi di formazione e dovrebbe diventarlo anche in Italia. Oggi i classe 2009 giocano in Norvegia e in Danimarca. Gli scandinavi hanno capito il meccanismo prima di tutti, e facendolo tutti, a livello competitivo non cambia. Noi purtroppo siamo un popolo che giudica tutto, anche al ristorante. È proprio una questione culturale.
Paesi dove i bambini giocano per strada non ne esistono quasi più?
Invece sì. Al di fuori dell’Europa Occidentale, direi ovunque, nei modi che ogni cultura e ambiente permette e accetta, che sia nei parchi, in spiaggia, nelle strade, o nelle scuole. Va sottolineato che noi rappresentiamo meno del 5% della popolazione mondiale, quindi non è corretto dire che non si gioca più per strada, ma forse è più giusto sottolineare che, in una esigua minoranza di Paesi nel mondo, sono state create sovrastrutture che impediscono ai giovani di giocare per strada. Quindi rispondo di sì, che c’è ancora. In Africa sì, nei Paesi caucasici (penso per esempio a Yerevan) sì. Per strada ovviamente intendo giocare al di fuori degli spazi e dei tempi di un club. Tutto ciò è funzionale per saper giocare a pallone, per tutte le ore passate a controllare il pallone che va da tutte le parti. Allo stadio dello Slavia Praga, che non è nuovo ma modernizzato, ci saranno 30 campetti con bambini che giocano, ma senza fare le diagonali, giocano! Bambini del club e di scuole calcio affiliate.
Eleggiamo quale sarà il Paese calcistico del futuro?
Nel calcio il futuro dovrebbe essere oggi o al massimo domani. I tempi sono estremamente brevi, talvolta, specie in Italia, si pensa alla programmazione purtroppo con l’arco temporale di una settimana, quindi è difficile definire il futuro. Se faccio un’analisi generale, usando indicatori di natura geopolitica per quanto possibile, economica e sociale, credo che i Paesi del Maghreb siano già il presente, mentre per il futuro penso ai Caucasici o dell’Asia Centrale. Avranno maggiori margini di crescita e possibilità di proporsi nei prossimi cinque-dieci anni.
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