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SERE NERES

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La notte dell’Olimpico non doveva essere questa. Dopo settimane di calcio brillante, ritmi alti e fiducia in espansione, la Roma si è inceppata proprio nel momento in cui serviva confermarsi. Il Napoli di Conte passa 1-0, con merito sul piano dell’intensità e con qualche ombra su quello arbitrale, e si prende la vetta lasciando ai giallorossi una serata da dimenticare.

La partita è stata brutta, ma la Roma più brutta ancora. Ritmi bassi, giro palla scolorito, idee annebbiate e un’inconsueta fragilità tecnica che ha fatto da filo conduttore alla serata. L’inerzia l’ha presa il Napoli, che ha fatto le cose semplici e giuste: gamba, aggressività e tre uomini davanti capaci di ribaltare il campo. Hojlund ha lavorato di sponda meglio di Ferguson, mentre Lang e Neres hanno acceso ogni ripartenza azzurra.

Il gol decisivo nasce proprio da una di queste ripartenze: Neres punta la porta e non sbaglia. Ma l’azione lascia strascichi pesanti: Rrahmani recupera palla con un intervento al limite su Koné, Massa lascia correre e il VAR non interviene. È l’episodio che orienta la partita, ed è difficile liquidarlo come semplice “contatto di gioco”, perché cambia tutto: senza quel pallone recuperato così, il Napoli non riparte. E la Roma non va sotto.

Ma l’alibi finisce lì. Perché una grande squadra, dopo un episodio storto, reagisce. La Roma invece si spegne. Si muove lenta, prevedibile, facilmente imbrigliata dai raddoppi azzurri sulle fasce. Soulé e Pellegrini (il migliore dei giallorossi) restano intrappolati, Ferguson prima e Baldanzi poi non trovano mai il filo del match, e gli attaccanti girano a vuoto. La squadra non ha uno strappo, non ha un uno contro uno, non ha profondità. Una serata che doveva essere magica e che invece resta senza scintille.

L’unica vera occasione arriva al 90’, quando Baldanzi ha sul destro il pallone del pari: tiro pulito, ma non cattivo, e Milinkovic-Savic ci mette la mano che vale tre punti. Senza quel killer instinct — parola che comincia a essere un tema ricorrente — restano solo rimpianti.

Il dato più preoccupante non è solo il gol subito e la sconfitta in sé, ma l’incapacità sistemica di ribaltare le partite. La Roma, quando va sotto, raramente torna su. E negli scontri diretti il bilancio è impietoso: tutte sconfitte, tranne la prima giornata col Bologna. In un campionato così corto, dove sette squadre sono raccolte in cinque punti, questi dettagli pesano come macigni.

Le parole di Gasperini nel post-partita non alzano l’umore: «Aiuto dal mercato di gennaio? Non ho molta fiducia», dice con il tono di chi non si aspetta un salto di qualità dagli arrivi. La speranza è tutta nel recupero definitivo di Bailey e Dybala, perché l’attacco — così — non basta. E la Roma non può permettersi di affrontare il resto della stagione senza un’arma pesante davanti.

La classifica resta corta, verissimo. Ma la Roma, scivolata al secondo posto, ha mandato un segnale da non sottovalutare: in un torneo “a eliminazione” come l’ha definito lo stesso Gasperini, gli scontri diretti non sono un dettaglio. Sono il fattore che decide chi resta agganciato al treno e chi invece è costretto a rincorrere. I giallorossi escono dall’Olimpico con più domande che certezze. Non è un crollo, ma è un avviso. E in un campionato che non aspetta nessuno, non c’è tempo per rimpiangere una serata storta: bisogna ripartire subito, con idee più chiare e un livello più alto. Solo così la corsa resta aperta.
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Giallorossi.net – Andrea Fiorini

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