C’era una volta il calcio che profumava d’ottanta
Roma-Napoli ci riporta alla mente le epiche sfide tra Falcao e Maradona
di Vincenzo Letizia
C’era una volta il calcio che sapeva di domeniche lente, di radioline gracchianti e di pomeriggi che sembravano non finire mai. Un calcio fatto di maglie pesanti, colori pieni e campioni che non si limitavano a giocare: raccontavano storie, lasciavano impronte. Gli anni ’80, per chi li ha vissuti, non sono una data: sono un sentimento. Un battito diverso. Un’aria che oggi non c’è più.
Bastava entrare in uno stadio per capire che tutto aveva un’altra vibrazione, quasi una forma di magia. Roma-Napoli, per dire, non era solo una partita: era un film d’autore, una sfida che univa talento, carisma e una sceneggiatura che neanche il destino avrebbe saputo scrivere meglio. All’Olimpico, quando il sole calava alle spalle della Curva Sud, sembrava di entrare in un teatro antico, dove ogni gesto diventava epico.
C’erano loro, i signori del tempo: Paulo Roberto Falcao, “il Divino”, che camminava per il campo come se avesse un’aureola invisibile. Giocava in punta di pennello, dipingendo linee di passaggio che ancora oggi sembrano impossibili. Accanto a lui il passo elegante di Toninho Cerezo, che dava al centrocampo la cadenza di un samba lento, preciso, irridente.
E poi c’era Bruno Conti, che galleggiava sull’erba come una libellula impazzita, capace di portarsi dietro un pezzo di storia in ogni dribbling. A guardarlo oggi nei video sgranati, sembra tutto così lontano eppure così vivo: le spalline larghe, i pantaloncini corti, la leggerezza di un calcio che non aveva bisogno di essere spiegato.
Dall’altra parte, Napoli portava in dono una rivoluzione chiamata Diego Armando Maradona. Era il fulmine che spaccava in due il cielo dell’Olimpico. Bastava che toccasse due palloni per capire che la partita non era più la stessa. Dietro di lui, a sostenerne il mito, c’erano uomini che il tempo ha trasformato in ricordi luminosi: Daniel Bertoni, con la sua eleganza un po’ malinconica, e Krol, la regola matematica che teneva in piedi l’intera difesa azzurra.
Quando Roma e Napoli si guardavano negli occhi, negli anni ’80, si respirava qualcosa che somigliava all’infinito. Non era solo una sfida tra città, era uno scontro tra poetiche: la Roma dell’incanto e della misura contro il Napoli dell’estro e della ribellione. Due modi diversi di vedere il mondo, che per novanta minuti finivano per specchiarsi.
Oggi possiamo raccontarlo, possiamo studiarlo, possiamo perfino misurarlo con le statistiche, ma non riusciremo mai a restituire davvero quell’atmosfera. Perché il calcio degli anni ’80 non si riavvolge: si ricorda. E nel ricordo trova la sua eterna giovinezza.
Erano anni in cui ogni partita sembrava un’alba e ogni gesto tecnico un appuntamento con la storia. Anni in cui i bambini imparavano a sognare guardando i movimenti dei grandi, anni in cui i grandi diventavano eterni semplicemente facendo ciò che amavano: giocare.
E così, tra un controllo di Falcao e un lampo di Maradona, tra una carezza di Cerezo e una scivolata pulita di Krol, tra un dribbling di Conti e una fuga di Bertoni, ci siamo accorti che il calcio non era solo sport. Era memoria. Era futuro. Era vita.
E ancora oggi, quando Roma e Napoli tornano a sfidarsi, da qualche parte nel vento si sente un’eco degli anni ’80. Un’eco che profuma di magia. E che ci ricorda che certi amori, certi campioni, certi momenti… non finiscono mai.
L'articolo C’era una volta il calcio che profumava d’ottanta proviene da PianetAzzurro.it, news sul Calcio Napoli e sul mondo delle scommesse.

