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AZZURRI PER SEMPRE – José Dirceu, il brasiliano che accese Napoli prima dell’arrivo degli dei

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C’è un tempo, nella storia del Napoli, in cui la città sembrava in attesa di qualcosa che non sapeva ancora nominare. Anni di fuoco e malinconia, di talento e disordine, di illusioni che si accendevano come fiammate e svanivano altrettanto velocemente. In quel tempo sospeso arrivò un ragazzo brasiliano con il passo leggero e lo sguardo triste dei poeti tropicali.

José Dirceu Guimarães.
Per tutti: Dirceu.

Lo portò il vento del Sudamerica, quello che soffia attraversando spiagge, favelas e campetti sterrati, e che a volte spinge verso l’Italia calciatori che non sono solo atleti, ma storie. Dirceu era uno di questi. Trequartista atipico: più artista che regista, più sensibile che spavaldo, più armonia che esplosione. Una specie di musica densa e malinconica, nata per essere suonata su erba bagnata.

Arrivò nel 1982 dal Verona, in un Napoli che ancora cercava la sua anima definitiva. E lui gliene diede una provvisoria, ma splendida: la fantasia.

Dirceu non correva: scivolava.
Non passava il pallone: lo consegnava, come si consegna un segreto a qualcuno di cui ti fidi.
Aveva un sinistro che era una promessa e poi una carezza; una capacità quasi crudele di far sembrare semplice ciò che semplice non era affatto.

Il San Paolo lo capì subito. La gente non si inganna mai quando si tratta di riconoscere l’arte. E Dirceu, dentro quel Napoli che arrancava tra problemi e speranze, era un pianista in un locale fumoso: non salvava il mondo, ma lo rendeva più bello.

I suoi dribbling non erano sfacciati come quelli di un funambolo, ma morbidi, insinuanti, quasi educati. Il calcio, per lui, era un dialogo più che una sfida. Però quel dialogo sapeva improvvisamente diventare un urlo quando il pallone usciva dal suo sinistro: tiri improvvisi, arcuati, velenosi. Quelli che fanno trattenere il respiro a un intero stadio per un istante eterno.

Eppure la sua parentesi a Napoli fu breve. Effimera, quasi cinematografica: uno di quei personaggi che entrano in scena, illuminano l’inquadratura, e poi scompaiono lasciando una scia di rimpianto. Dietro di lui restò la sensazione di un talento che meritava una squadra più stabile, un contorno più degno del suo istinto gentile e incendiario.

Un anno dopo, in quella stessa terra dove aveva lasciato tracce luminose, sarebbe arrivato Diego. Ma chi c’era allora ricorda bene: prima del dio, ci fu il poeta.

E nella memoria degli azzurri, Dirceu rimane così:
un brasiliano col cuore triste, arrivato a Napoli per ricordarle che anche nei tempi difficili si può ancora sognare con un pallone ai piedi.

Azzurro per sempre, anche se per poco.
Perché non conta quanto resti: conta cosa lasci.

Ma la storia di José Dirceu non si chiude negli stadi né nei ricordi degli appassionati. Si chiude, purtroppo, su una strada, in un pomeriggio qualunque del 1995, quando un incidente automobilistico lo strappò alla vita a soli 43 anni. Un destino crudele, improvviso, che sembrò spegnere per sempre quella musica lieve che aveva portato nel calcio.

La notizia rimbalzò in Italia come un pugno allo stomaco. A Napoli, chi lo aveva visto danzare sul pallone non dimenticò mai quel momento: fu come perdere un amico lontano, uno di quelli che non senti da anni ma che, quando se ne vanno, ti lasciano un vuoto preciso. Dirceu se n’è andato così, all’improvviso, come quei giocatori che entrano nella tua vita per poco e poi spariscono, ma restano impressi.

E forse è per questo che la sua figura, oggi, ha una luce tutta particolare:
la luce fragile e indimenticabile di chi ha regalato bellezza senza chiedere nulla in cambio.

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